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2. la scrittura 57

una forma corsiva rapida, detta “ieratica”, cioè sacra, usata nei testi religiosi, letterari e negli affari. Si traccia scrivendo da destra verso sinistra. Dal 700 a.C. fino al periodo romano si afferma una grafia corsiva detta “demotica”, cioè popolare, perché usata dalla popolazione colta per la corrispondenza privata, gli affari e la letteratura. Per la scrittura in corsivo si usano fogli di papiro, ma anche schegge di pietra e ostraca (cocci, frammenti di vasi d’argilla), pelli, stoffe e tavolette di legno. Per scrivere si usa l’inchiostro rosso e nero, a mezzo di penne ricavate da una cannuccia appuntita, o con un pennello.

Naturalmente, nell’arco di tre millenni la parlata si evolve e, sebbene in ritardo, ciò si riflette nei documenti scritti: a partire dal XVI sec. a.C. entrano nell’uso comune molte parole straniere; in tempi più recenti è rilevante l’influenza esercitata dalle comunità greche. Si estende anche l’uso della scrittura: dalle epigrafi e dalle iscrizioni funerarie si passa ad usarla anche per contratti di affitto, di compravendita, racconti mitologici, storie fantastiche, testi liturgici.

Originariamente, i geroglifici sono pittogrammi. In un successivo stadio evolutivo, ogni raffigurazione viene usata per il suo valore fonetico. L’insieme di questi fonemi concorre a formare la parola voluta, così come oggi si fa con i rebus. Va precisato che il valore fonetico riguarda solo le consonanti. Le vocali che noi attribuiamo ai testi egizi sono del tutto convenzionali, e non abbiamo la certezza che la nostra ricostruzione della parola corrisponda alla parola originaria. Per esempio, se noi avessimo “CRT” potremmo inserire vocali a piacimento e formare: carta, corte, creta, carota, ecc. Per dare un’indicazione più precisa, possiamo disegnarvi accanto una carota; ciò non toglie che, a distanza di millenni, pur riconoscendo l’esatto suono delle tre consonanti e l’oggetto rappresentato (la carota), sia quasi impossibile ricostruire l’esatta “dizione”.