Dalle dita al calcolatore/II/7
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7. Nasce la numerazione posizionale
Il nostro sistema di numerazione è strettamente posizionale; cioè, la cifra assume un preciso valore che è determinato dal posto che occupa nell’ambito del numero stesso. Limitandoci ai numeri interi, il valore dipende dalle potenze successive di 10, andando da destra verso sinistra.
L’uso dello zero è decisivo, ai fini dell’interpretazione del numero. Lo zero sulla destra, essendo l’ultima cifra che forma il numero, ci dice che quella è la Valori nella numerazione posizionale decimale. posizione delle unità semplici, perciò il numero 2 immediatamente alla sua sinistra vuol dire 2 decine. A sinistra del 2 troviamo ancora una casella vuota: la cifra 0 indica che mancano le centinaia e nello stesso tempo ci permette di capire che il 3 appartiene alle unità di migliaia. Senza l’impiego degli zeri sarebbe Valori nella numerazione posizionale sessagesimale; esempio. quanto mai arduo capire il valore indicato con le sole cifre 3 e 2: 3200? 3002? 320? 302? 32?
I matematici e gli astronomi babilonesi, depositari del sistema di numerazione sessagesimale, scoprono il principio posizionale intorno al 1900 a.C.; questo permette loro di scrivere tutti i numeri con i soli segni del chiodo e del cuneo. Per variarne il valore basta cambiare la posizione.
Inserendo nello stesso schema il numero sessagesimale 2;34;26;7, possiamo ottenere con facilità il corrispondente valore decimale: 555.967.
Tuttavia le confusioni sono sempre possibili. Innanzitutto può essere difficile capire se un gruppo di segni cuneiformi va ripartito su più posizioni.
Difficoltà nell’interpretazione di un numero.
In parte, la difficoltà viene superata lasciando piccoli spazi fra i gruppi di cifre di ordini diversi, oppure inserendo dei segni di separazione già impiegati nei testi scientifici e letterari.
Un altro limite della notazione posizionale babilonese è rappresentato dalla mancanza dello zero. Sembra che intorno al 1000 a.C. i matematici e gli astronomi babilonesi ignorino ancora l’uso di un simbolo indicante l’assenza di unità di un certo ordine. In altre parole, se noi diciamo 2 centinaia e 3 unità, sappiamo che il numero corrispondente si scrive nella forma “2” “0” “3”, in cui lo zero indica la mancanza di decine. Scrivere “23” sarebbe solo un errore. Molte tavolette babilonesi risultano ambigue o di difficile interpretazione proprio perché non si conosce l’uso dello zero nella scrittura dei numeri. In qualche caso è possibile risalire al valore effettivo in base al contesto.
L’annotazione sessagesimale 2;20, così come è scritta, significa 2 x 60 + 20 = 140; ignorando l’uso dello zero, può anche essere l’espressione del numero 2;0;20 e cioè 2 x 602 + 0 x 60 + 20 = 7200 + 0 + 20 = 7220.
In vari casi lo scriba risolve la complicazione lasciando uno spazio vuoto. Ad essere pignoli resta ancora un dilemma, poiché non si sa se lo spazio vuoto indica l’assenza di unità di un solo ordine o di più ordini vicini.
In alcune tavolette matematiche databili al II sec. a.C., forse copie di tavolette più antiche, gli ordini “vuoti” intermedi vengono segnalati con l’uso dei segni di separazione, con indubbi vantaggi per la comprensibilità del numero.
Introduzione dei segni di separazione.
In tavolette astronomiche dello stesso periodo, invece, lo “zero” viene usato anche in posizione finale o iniziale. In quest’ultimo caso è possibile annotare senza ambiguità le frazioni sessagesimali dell’unità.
Il sistema sessagesimale dei Babilonesi è ripreso dai popoli vicini, con gli adattamenti resi necessari dalla diversità della scrittura. Adottato per misurare il tempo (ore, minuti e secondi) e gli angoli (con impieghi non solo in geometria, ma anche nella navigazione marittima ed aerea, in astronomia, ecc.), è giunto fino a noi.
Al contrario, l’invenzione di un segno con significato “zero” è talmente in anticipo sui tempi che non viene recepita da nessuno, a parte gli astronomi del periodo ellenistico; eppure rappresenta una scoperta fondamentale per qualsiasi sistema di notazione posizionale.