Capitolo III

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Platone - Critone (IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Francesco Acri (1925)
Capitolo III
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III.

Critone. Per essere, è chiaro. Ma va’, o divino Socrate, dammi retta stavolta; salvati; chè se muori tu, sarà per me la più gran disgrazia ch’io avessi mai: perchè, oltre a perdere un amico quale io non ritroverò più, la gente, quelli che non ci conoscon bene, diranno che se io aveva voglia di metter fuori danari, ti poteva campare e non l’ho fatto1. Oh! si può essere più infamato, che quando la gente crede che tu fai più conto de’ danari che dell’amico? perchè i più non si faranno mai una ragione, che sei tu, che, con tutta la ressa che ti facciamo noi, non te ne vuoi andar via di qua2. [p. 31 modifica]

Socrate. Ma, beato uomo, che fa a noi ciò che si pispiglia dalla gente? I savii, ai quali noi si conviene avere l’occhio, crederan bene che la è andata come l’è andata3.

Critone. Intanto, lo vedi, bisogna mettersi pensiero dell’opinione del popolazzo. Il caso tuo dice chiaro che male ne può egli fare, e non poco ma quanto immaginar si possa al mondo, a un povero uomo addentato che è dalla calunnia4.

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Socrate. Oh! che bellezza se il popolo, come potesse far male, potesse fare altresì bene; ma egli nè può l’una cosa nè l’altra, perciocchè fare non ti può nè savio nè stolto, e quello che fa, fa a casaccio5.

Note

  1. Qui è tutto Critone. Non reggerà al dolore, se Socrate dovrà morire; ma tra le ragioni per le quali vuole che Socrate scampi, pone anche che non vuol far cattiva figura: non vuol che gli dicano che per avarizia ha lasciato morir Socrate. Volgarità da pover’uomo che si preoccupa dei giudizi della folla, insieme col più sincero, col più struggente affetto per l’amico e coetaneo suo.
  2. Chi crederà mai che sia Socrate a non voler fuggire, avendone modo? Anche a lui, Critone, par così strana, così bizzarra l’ostinazione di Socrate. Ma lui, Critone, sa che tipo è, e come non c’è verso di persuaderlo. Ma gli altri? Riterranno che gli amici, per avarizia, per non arrischiare danaro, non abbiano nulla tentato per farlo fuggire; e che vergogna sarà mai questa! — Il dolore che Socrate muoia è grande; ma il pensiero della vergogna è anche maggiore. Qui è tutto Critone, quale Platone l’ha scolpito e effigiato.
  3. Che ciascuno pensi e giudichi a suo modo, come evitarlo? Per ciò si distingue chi ha senno da chi non ne ha, e al giudizio dei primi si dà retta, alle ciance dei secondi non si dà ascolto.
    Si badi che Socrate s’era trovato di fronte all’analisi, condotta dai Sofisti, dell’infinita disparità delle umane opinioni; ed alla conclusione, pure sofistica, che se ognuno la pensa a un modo, ciascuno ha ragione per suo conto, e dal suo punto di vista. Socrate aveva reagito col suo più vigoroso buon senso: «ognuno la pensa a un modo: ma non sono egualmente sennati questi uomini, così discordi tra loro: e tutti convengono che c’è un senno, diverso e migliore della dissennatezza; l’opinione dei sennati, ecco quella che vale; quel che salta in testa ai dissennati, è pensato invano, non ha séguito, non deve aver séguito». Donde l’energica affermazione che va posto un limite ben preciso tra savi e sciocchi, tra chi parla da senno e chi parla a caso, come gli pare; e il còmpito di richiamare, possibilmente, tutti a una severa coscienza dei propri concetti, controllati e scrupolosamente vagliati.
  4. Socrate ha detto che il volgo non merita che i suoi giudizi siano ascoltati, perchè non coglie giusto, s’inganna. Ma Critone fa tutt’altro discorso: «conviene dar retta al popolo; quanto male può fare con le sue calunnie! Sono errate? magari; ma nuocciono lo stesso, anzi di più. E C’è lì l’esempio: Socrate, che deve morire per le calunnie onde l’hanno colpito». Critone vede le contingenze della vita, e solo quelle; Socrate vede anzi tutto il dovere, che per lui è di restare nella prigione: quel che ne seguirà, non conta. Il che stupisce Critone, e gli scompiglia tutte le idee.
  5. Socrate è tutto fuori dei calcoli prudenti di Critone. Per Socrate bene è esser savio, male è essere stolto. Il popolo calunnia, trae a morte? ma non può rendere dissennato chi già sia sapiente. Male, dunque, non può fare: male vero, di quel che nuoce davvero, perchè menoma, degrada, corrompe. Che poi tragga a morte, questo è un caso: che non può nemmeno dirsi doloroso, perchè dovrebb’esser certo che, morendo, si peggiori: e chi può affermarlo? Il popolo non può nuocere davvero; così potesse! Chè potrebbe anche giovare; anche render savi gli stolti! Ma esso, come agisce d’impulso, inconsapevole e senza vigilarsi nè controllarsi, così non puo far savio nessuno che non sia tale; e non può nemmeno togliere, a chi lo possegga, il solo bene vero, la saviezza.