III.

Critone. Per essere, è chiaro. Ma va’, o divino Socrate, dammi retta stavolta; salvati; chè se muori tu, sarà per me la più gran disgrazia ch’io avessi mai: perchè, oltre a perdere un amico quale io non ritroverò più, la gente, quelli che non ci conoscon bene, diranno che se io aveva voglia di metter fuori danari, ti poteva campare e non l’ho fatto1. Oh! si può essere più infamato, che quando la gente crede che tu fai più conto de’ danari che dell’amico? perchè i più non si faranno mai una ragione, che sei tu, che, con tutta la ressa che ti facciamo noi, non te ne vuoi andar via di qua2.



  1. Qui è tutto Critone. Non reggerà al dolore, se Socrate dovrà morire; ma tra le ragioni per le quali vuole che Socrate scampi, pone anche che non vuol far cattiva figura: non vuol che gli dicano che per avarizia ha lasciato morir Socrate. Volgarità da pover’uomo che si preoccupa dei giudizi della folla, insieme col più sincero, col più struggente affetto per l’amico e coetaneo suo.
  2. Chi crederà mai che sia Socrate a non voler fuggire, avendone modo? Anche a lui, Critone, par così strana, così bizzarra l’ostinazione di Socrate. Ma lui, Critone, sa che tipo è, e come non c’è verso di persuaderlo. Ma gli altri? Riterranno che gli amici, per avarizia, per non arrischiare danaro, non abbiano nulla tentato per farlo fuggire; e che vergogna sarà mai questa! — Il dolore che Socrate muoia è grande;