Cristoforo Colombo (de Lorgues)/Libro III/Capitolo I
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Traduzione di Tullio Dandolo (1857)
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CAPITOLO PRIMO
§ I.
Il 30 maggio 1498, le sei caravelle ancorate nel porto di San Lucar di Barrameda avevano spiegato le vele. L’Ammiraglio era partito sotto l’invocazione della Santissima Trinità1, avendo fatto il voto d’imporre l’augusto nome di Lei alla prima terra che scoprirebbe2.
Colombo non andava più in cerca d’isole: non voleva più investigare le spiagge della gran terra di Cuba, creduta principio delle Indie: andava allora ad interrogare gli spazi sconosciuti dell’Oceano a mezzogiorno, e si avanzava risolutamente alla ricerca di un Nuovo Continente, che la sua intuizione gli diceva dover essere sotto una latitudine più avanzata vers’Occidente. Le sue speranze collocavano quasi pari questo nuovo viaggio quanto all’importanza, alla sua prima scoperta3. Da principio si drizzò al sud per evitare una flotta francese in crociera verso il Capo San Vincenzo4.
Giunto il 7 giugno a Porto-Santo, l’Ammiraglio vi udì la Messa, fece le provviste di legne e d’acqua, e andò a gettar le ancore a Madera, ove il governatore e la maggior parte degli abitanti, che già lo conoscevano, lo ricevettero con gran pompa. Vi passò sei giorni per provveder viveri e sugo di canna, o cassonade. Di la andò alla Gomera; indi continuò la sua strada.
Preoccupato sempre dei bisogni della colonia, giunto l’Ammiraglio all’altezza dell’isola del Ferro, spedì direttamente alla Spagnola tre navi comandate da suo cognato Pedro de Arana, da suo cugino, genovese, Giovanni Antonio Colombo, e da Alonzo Sanchez di Carvajal: insegnò loro qual via dovevano tenere, indicando la più breve. Ciascuno di questi tre doveva per una settimana, e per turno avere il comando della flottiglia.
Allora Colombo colle altre tre navi mise la prora verso la zona torrida a «in nome della Santissima Trinità5.»
Un attacco di gotta, che sin dal quarto giorno er’aggravato da febbre, crebbe i suoi guai: ma colla gagliardia della sua volontà, superando la violenza del male, non cessò di dirigere la navigazione6. Quando ebbe oltrepassato l’isola sterile di Bella Vista, rifugio de’ lebbrosi Portoghesi, il mercolodì 4 luglio l’Ammiraglio voltò al sud-est. Dopo il 27 giugno non si erano potute osservare le stelle, cotanto dense regnavano le nebbie. Egli proseguiva in quella direzione, quantunque la violenza delle correnti, dirigendosi al nord e al nord-est ritardassegli penosamente la marcia. Il 7 luglio er’ancora in vista dell’isola di Ferro: tuttavia volle tenere questa direzione finchè fosse per giungere alla linea equinoziale, donde sarebbesi poi vôlto alla terraferma delle Indie- vers’occidente.
In breve scontrò erbe simili a quelle, che avevano spaventato cotanto gli equipaggi nella prima navigazione. Corse centoventi leghe al sud-est; il 13 luglio, sotto il parallelo di Sierra Leone, il vento mancò affatto: il mare si appianò; le vele pendevano immobili lungo gli alberi. Nessun soffio increspava l’ardente specchio delle acque. Le navi sembravano inchiodate sulla superficie di un mare d’argento. La calma soffocante dell’aria, l’immobilità dell’Oceano, la cui immensità non ofiriva che un colore uniforme, la sensazione di un calore intollerabile avevano abbattuto lo Spirito de’ marinai: si trovavano nella regione tuttavia sconosciuta delle calme; intorno alla quale i novellieri di bordo narravano senza fine funeste avventure.
Nel primo giorno, il sole cui niun velo di vapore temperava, parve incendiare lo spazio: ogni cosa ardeva; il catrame si dileguava. Per buona ventura, la dimane dense nubi coprirono il cielo, e cadde una breve pioggia di grosse gocciole. Nondimeno il calore era sempre soffocante. Per quell’ardore, unito all’umidità, i viveri si alteravano rapidamente, e le carni salate si corrompevano. Il lardo si liquefaceva come dinanzi al fuoco. ll frumento si raggrinzava e pareva arrostire. Seccando il legno delle botti, e riuscendo inutili i cerchi, vino ed acqua filtravano dalle fessure7. Non ostante il pericolo, era tale quell’ardore asfissiante «che niuno ardiva discendere sotto ponte a riparare le botti, e aver cura dei viveri8. Questa incandescenza durò otto giorni. La mancanza del vento impediva di potervisi sottrarre. Come usava sempre in simili circostanze, l’Ammiraglio si rivolse a Dio che lo aveva soccorso in ogni pericolo: si ricordò di aver trovato un gran mutamento nella temperatura ogniqualvolta era passato a cento leghe all’ovest delle Azorre, al punto indicato dalla famosa linea della demarcazione papale. «Per questo, dic’egli, mi determinai, se fosse piaciuto a nostro Signore di mandarmi del vento e un tempo propizio, e trarmi dai luoghi in cui mi trovava, di non andar più innanzi al mezzodì, però senza indietreggiare, ma di navigare all’occaso infino a che avessi raggiunto la temperatura che aveva trovato quando era nel parallelo delle Canarie; e allora di navigare più al sud. Piacque al Signore, in capo a questi otto giorni, di concedermi un buon vento d’est, ed io mi diressi verso ponente.»
ll fatto giustificò la congettura cosmografica dell’Ammiraglio. Avanzando verso l’ovest, trovò quell’atmosfera temperata e serena, che, sotto il meridiano indicato, aveva rinfrescato il suo petto. «Per diciassette giorni, Dio nostro Signore mi diede un buon vento.» Ma le vettovaglie erano guaste, e la maggior parte putrefatte. Le botti di vino giacevano vuote. Non rimaneva altro che un barile d’acqua in ciascuna delle tre navi. In pericolo di morire di sete, nonostante il dispiacere di allontanarsi dalla sua strada, l’Ammiraglio fece governare al nord, verso le isole Caraibe, nella speranza di prender quivi viveri, acqua, e di far racconciare le caravelle. Gli equipaggi trovavansi in uno stato miserabilissimo. Mentre tutti erano in preda ai più vivi timori, al mezzodì del 31 luglio, un marinaio di Huelva, Alonzo Ferez Nizzardo, famiglio dell’Ammiraglio, salito a caso in cima all’albero maestro, vide spuntare all’occidente tre cime di montagne che parevano unite alla base.
Era la terra tanto desiderata!
Essa pareva lontana circa quindici leghe9; e per una prodigiosa singolarità, sembrava a tale distanza presentare misteriosamente l’emblema della Trinità, di cui l’Ammiraglio aveva fatto il voto d’imporle il nome!
§ II.
Le strane circostanze di questa scoperta, le tre vette uscenti dalla medesima base, e ricordanti in una maniera così precisa il voto dell’Ammiraglio hanno percosso di stupore i cronisti contemporanei, e gli storiografi regi. Pietro Martire, nel raccontare l’avvilimento degli equipaggi oppressi dai più gran timori, e tormentati dalla sete, descrive la gioia che suscitò la vista improvvisa di quelle tre cime elevatissime10. Oviedo riferisce che l’isola della Trinità fu «così chiamata dall’Ammiraglio, perchè aveva deliberato di nominare la prima terra che scoprirebbe a quel modo, e aggiunge; che vide tre montagne in una medesima ora, molto vicine le une alle altre11.» In due suoi scritti sulle Indie occidentali, Herrera prova questa strana coincidenza tra’l voto dell’Ammiraglio, e l’apparizione di quella terra sconosciuta. «Il marinaro dalla gabbia vide tre punti di terra, in modo che il nome dell’isola si riferì interamente al voto dell’Ammiraglio12.» Munoz, il quale ebbe sott’occhi relazioni e documenti, che dappoi, si smarrirono, c’insegna che Colombo attribuì quella scoperta ad un benefizio segnalato di Dio13; considerava quali miracolose le circostanze di tempo, di luogo, e l’aspetto, delle tre cime, apparizione in così intimo accordo col suo disegno di consacrare alla Santa Trinità la prima terra di cui farebbe la scoperta.
Nella sua relazione ufficiale, l’Ammiraglio espone ai Re cattolici, succintamente, colla sua sublime semplicità, le circostanze penose in mezzo alle quali la Provvidenza lo soccorse. Egli si limita a dire: «e siccome il Signore mi ha sempre usato misericordia, un marinaro salì per caso sopra un albero, e vide a ponente tre monti riuniti14. Abbiamo cantato il Salve Regina ed altre orazioni, e rendemmo azioni di grazie a nostro Signore».
Incontanente l’Ammiraglio, cessando di navigare al nord, si volse verso la terra che gli era additata, e la chiamò la Trinità, secondo il voto da lui fatto in uscir dal porto di San Lucar. All’ora di compieta, giunse ad un capo, che per la sua forma fu detta «Punta della Galera:» vi trovò una baia attorniata di terreni coltivati, disseminati di abitazioni.
La vegetazione esuberante e balsamica dei dintorni ricordava gli orti di Valenza in primavera. A suo malincuore Colombo non vi potè entrare perchè le ancore non facevano presa su quel fondo: andò lungo la sponda a mezzodì per cinque leghe; e, scontrato un luogo acconcio, vi si fermò, ed empiè una botte di acqua.
La dimane, l agosto 1498, rimise alla vela, e seguì la costa per cercare un porto, affine di racconciare una nave, riparare le botti, empiere i tini e procacciarsi viveri. Giungendo ad un promontorio, che l’Ammiraglio chiamò «il Capo di Sabbia» fu veduto un porto comodo, e gli equipaggi discesero a terra per riposarsi delle loro fatiche: trovarono alcune impronte di passi umani, reti e utensili di pesca, ma non videro alcuno: notarono altresì molte tracce di animali dai piè forcuti, e nondimeno non ne videro che uno, il qual era morto, specie di daino, assai comune in quell’isola. Secondo la sua invariabile abitudine, Colombo fece piantare una croce elevatissima sulla riva, e glorificò il nome di Gesù Cristo. Questa circostanza ommessa da Las Casas, e dal curato di Los Palacios, risulta dalle parole dell’Ammiraglio nella sua relazione ai Re Cattolici15.
L’indomani giunse dall’est un canotto montato da ventiquattro uomini tutti giovani, armati d’archi, di frecce, e aventi ciascuno uno scudo: recavano la testa coperta di un fazzoletto di cotone tinto a varii colori, e portavano altresì un simile tessuto intorno alle reni in forma di gonnella: avevano i capelli neri, lunghi e tagliati quasi alla moda di Spagna. La loro pelle era più bianca di quella degl’isolani sin allora noti. Quando il canotto fu a portata della voce, i rematori si fermarono, e chiamarono a parlamento la caravella dell’Ammiraglio, ove nessuno comprese le loro parole. L’Ammiraglio fece ad essi segno di avanzare; ma parve che diffidenza li trattenesse. Per oltre due ore stettero osservando; talvolta si avvicinavano per esaminare gli specchi, le corrazze rilucenti ed altri oggetti brillanti di cui veniva lor fatta mostra per attirarli; poscia, in quella appunto in cui si erano accostati da vantaggio maggiormente si allontanavano di nuovo improvvisamente. Volendo l’Ammiraglio guadagnarli coll’attrattiva di un allegro spettacolo, raccolse sulla parte anteriore della nave tutti i giovani marinai per farli danzare a suon di flauto e di un piccolo tamburo: ma appena gli Indiani videro eseguire i primi passi, deponendo incontanentei loro remi, imbracciarono gli scudi, afferrarono gli archi e cominciarono l’attacco. Secondo la loro abitudine di entrare in campo con una danza di guerra, avevano veduto in quell’allegro esercizio degli stranieri, un preludio ostile, ed accettavano la sfida. A quell’improvviso assalto l’Ammiraglio rispose con due colpi di balestra, il che bastò a moderare l’ardore degli assalitori. Essi andarono ad ordinarsi sotto la poppa della caravella vicina, il cui piloto discese coraggiosamente nel loro canotto, e diede a colui che parvegli essere il capo, un abito ed un berretto scarlatto. Essi gli fecero segno di venire a terra, che gli darebbero tutto quanto volesse, e se ne andarono ad aspettarlo sulla riva. Non osando scendervi senza averne prima ottenuta licenza dall’Ammiraglio, mosse a chiedergliela. Appena gli isolani lo videro salir la nave ove si era ballato, sospettando qualche tradimento, si gettarono nel canotto e fuggirono a furia di remi16.
Nell’avanzare, l’Ammiraglio notò fra l’isola della Trinità ed una terra vicina, che reputò essere un’isola, una violenta corrente, accompagnata da romore fin allora sconosciuto, e sommamente spaventevole. «L’acqua veniva, diceva egli, dal levante all’occaso colla impetuosità che ha il Guadalquivir allora che straripa.» Vide che quella direzione dell’est all’ovest continuava senza interruzione con una forza e velocità di due miglia e mezzo all’ora17: temette di non poter nè andare avanti a motivo de’ bassi fondi indicatigli da quel fracasso, nè dar indietro a motivo della violenza della corrente. Mentre, ad ora molto avanzata della notte, la veglia, l’inquietudine e il suo desiderio di osservare lo rattenevano sul ponte, nonostante la sua oftalmia,udì improvvisamente un terribile romore che si levava dal lato di mezzodì: esamino con grand’ansia, e vide il mare che veniva da ponente, formando una montagna alta quanto gli alberi delle navi e venendo contro di lui. A quel romore si mescolava il tumulto d’altre correnti. Tuttavia la massa liquida si abbassò, sollevando la caravella, ed all’imboccatura del canale, rimase per qualche tempo ammucchiata nella lotta contro la corrente opposta. L’Ammiraglio sentì così vivamente l’imminenza del pericolo, che varie settimane dopo ne provava ancora le penose impressioni18. Tutti si erano reputati perduti irrimediabilmente. La dimane, fece fare lo scandaglio dalle scialuppe, le quali trovarono sei o sette braccia di fondo e riconobbero una doppia corrente, una per entrare e l’altra per uscire. «Piacque al Signore di darmi buon vento, diceva, traversai l’interno di quella imboccatura; dopo di che trovai la tranquillità.» L’Ammiraglio diede a questo pericoloso passo il nome di «Bocca del Serpente.»
§ III.
È generalmente ammesso che il primo punto del Nuovo Continente che scoprì Cristoforo Colombo fosse la costa di Paria. Questo è, nondimeno, un errore confutato anticipatamente dall’Ammiraglio medesimo nella sua relazione ai Re Cattolici.
Non è affatto privo d’interesse l’appuntare scrupolosamente la prima riva del Nuovo Mondo, che si offerse agli avidi sguardi degli Europei: e lo si può fare con certezza mercè la relazione di Colombo su questo terzo viaggio.
Prima di uscire dal terribile passo che nominò la «Bocca del Serpente,» l’Ammiraglio aveva alla sua destra, un po’ innanzi alla prora, l’ultimo capo occidentale della Trinità, e sulla sinistra, così innanzi come indietro, l’estremità superiore del Delta dell’Orenoco, fiume immenso che si scarica nell’Atlantico per sette gran bocche e quaranta uscite, sopra un’estensione di circa cinquanta leghe, che tagliano isole ed isolotti di diverse grandezze. Una fitta e gagliarda vegetazione vi fa pompa della sua confusa prodigalità. Era impossibile di non credere isole e isolotti que’ terreni allora quasi coperti dall’acqua, fra cui nessuna corrente regolare indicava lo scaricarsi di un fiume: per lo contrario, i venti stabiliscono quivi false correnti, e fanno rimontare invece di discendere. L’uniformità di quella prodigiosa vegetazione rende siffatte isole così simili pel loro aspetto, che spesso i Guarauni19, navigando continuamente per gl’interstizii delle isole ove abitano sugli alberi, si smarriscono in tai labirinti20.
Lo sguardo dell’Ammiraglio si volse primieramente su que’ cumuli di cupa verzura, che parevano uscire dalle acque, e sollevarsi grado grado sino a circoscrivere l’orizzonte. Quantunque nessun indizio potesse far supporre che quelle isole occupassero la imboccatura di un fiume, pur egli indovinava alcunchè di nuovo, di strano, d’inesplicabile rispetto la natura di que’ luoghi; perocchè lungi dal dare un nome collettivo a tali isolotti, impose loro nome di «Terra di Grazia,» perchè la sola grazia di Dio lo aveva là condotto; nè parlò d’isole in questa parte della sua relazione. Si vede che non era sicuro, nonostante le apparenze di quel frastagliamento, di aver da fare con un vero arcipelago.
Il primo punto del Nuovo Continente che fissò necessariamente l’attenzione di Cristoforo Colombo, quando volle oltrepassare la punta Jeacos per riconoscere la costa interiore della Trinità, giace compreso tra il capo del Morto e il capo de Medio, nel Delta dell’Orenoco. Allo spessore di quella vegetazione colossale, a qualche cosa di immenso e di potente che rivelavasi alla sua intuizione, il rivelatore del globo sentiva di non esser più sotto l’azione predominante dell’umidità salina, che l’influenza dei mari cedeva all’abbondanza dell’acqua dolce; e che si trovava giunto finalmente alla terraferma.
Siccome questa prospettiva di uniforme verzura non gli offriva alcun punto di riconoscimento, così lo cercò altrove. Scoprì discosto dodici leghe al nord-est, la cresta di un promontorio, che credeva una continuazione della terra di Gracia, lo che era esatto: fece attinger acqua nel mare, e la trovò tanto dolce da poterlasi bere: andando da quel lato sentì una corrente che lo spingeva verso l’est-nord-est; ed accostandosi, riconobbe presso il capo Lapa un’imboccatura molto più stretta di quella della Bocca del Serpente: il romore e l’agitazione delle onde non erano minori. Diede addietro così per trovare un’altra uscita, come per comunicare cogli abitanti del paese, e seguì la costa occidentale. Quanto più si avanzava, e tanto più trovava l’acqua dolce e gradevole. Appena scoperti dei terreni diboscati e messi a coltura, l’Ammiraglio mandò a terra Pietro di Terreros con una schiera di uomini: trovarono sentieri praticabili, fuoco, pesce ed una casa senza tetto: videro una gran copia di scimmie, ma nessun abitante. L’Ammiraglio navigò ancora oltre la riva per otto leghe, e mandò di nuovo genti a terra. Furono trovati eccellenti porti, molte terre coltivate, alberi da frutti succulenti ed una specie di uva; ma senza potere scoprire alcun indigeno. Esercitando sin dall’infanzia i loro sensi, gli indigeni acquistavano una tale superiorità. di veduta e di odorato, che vedevano gli stranieri prima di essere da loro veduti, udivano i loro passi, riconoscevano le loro tracce, e così toglievansi al loro incontro: per questo alla terra di Grazia, e nell’isola della Trinità, gli Spagnuoli non avevano potuto sorprenderne alcuno.
Essendo quel giorno una domenica, Colombo comandò di celebrarla su quella nuova terra, di cui prese possesso nella solita forma. Fu alzata una gran croce21 nel punto culminante della riva, e il nome del Redentore risuonò su quella plaga sconosciuta: l’Ammiraglio fuvvi rappresentato dal suo virtuoso maggiordomo, il capitano Pietro de Terreros22, perchè la sua oftalmia lo costringeva in quelle ore a rimaner chiuso al buio. Il primo europeo che ponesse il piede sul Nuovo Continente fu dunque Pietro di Terreros, e il secondo, Andrea di Corral.
La dimane, lunedì 6 agosto, l’Ammiraglio costeggiò. Un piccolo canotto montato da cinque Indiani passò presso la piccola caravella, il Corriere, la cui leggerezza permetteva di accostarsi molto alla riva. L’ufficiale chiamò gli Indiani, e fece loro segno che voleva scendere a terra insiem con loro. Essi lo compresero e si approssimarono per prenderlo. Questi saltando nel loro leggero batello, lo fece a bello studio capovolgere. Gli Indiani volevano salvarsi a nuoto, ma gli Spagnuoli gettatisi in mare impedirono loro il passo; li presero, eccettuato un solo, e li condussero all’Ammiraglio23.
Que’ selvaggi erano robusti e ben proporzionali nelle loro membra: il lor colore ricordava la loro origine. L’Ammiraglio diede ad essi le solite cosucce di vetro, pezzi di zuccaro, sonaglietti, tutte cose che li colmarono di gioia; indi comandò che fossero ricondotti a terra. Secondo la sua previsione, gli abitanti edotti dalla buona accoglienza fatta ai loro compatrioti, empierono in breve la spiaggia. Tutti volevano andare alle caravelle, recavano pane, acqua, una bevanda verde, specie di vino, scudi, archi, e perfino frecce avvelenate. Consideravano con uno stupore indicibile gli Spagnuoli; li guardavano curiosamente; palpavano le loro vesti, le loro scialuppe e le bagattelle che davano loro24: trovavano in quegli stranieri un sentore gradevole25. La dimane, a otto leghe di là, vers’occidente, l’Ammiraglio vide il capo dell’Ago e vi trovò la campagna magnifica e la spiaggia assai popolata. «Io feci gettar l’ancora, dice, per avere il diletto di contemplare quella verzura, quel bel paese e i suoi abitanti26.»
Ma era solo alla sfuggita ch’egli poteva gettare il suo sguardo su quel ricco paese; perchè la sua oftalmia lo impediva di abbandonare la sua stanza: interrogava ed era a lui reso conto: tentava giudicare, ma solo sull’altrui giudizio. Quel luogo parvegli delizioso, perciò lo chiamò i Giardini. Molti Indiani vennero a pregarlo, da parte del loro re, di scendere a terra: Colombo non poteva rispondere a tal invito: la sua apparente indifferenza raddoppiò la curiosità. «Siccom’essi videro che io non prestava loro attenzione, andarono in grandissimo numero alle navi.» La loro statura er’alta, i loro capelli neri e flessibili, si coprivano in parte con una stoffa brillante, di cui cingevano anche il loro capo: non avevano altra veste che un fazzoletto circondante i lombi: quello delle donne era più lungo. I canotti dei capi, grandi, leggeri e costrutti’meglio degli altri, avevano verso il mezzo una cabina ove que’ capi stavano colle loro mogli. La maggior parte recavano al collo lastre d’oro della grandezza di un ferro di cavallo: andavano alteri di tale ornamento; e nondimeno non ve ne fu neppur uno che non lo cedesse volentieri per un campanello. Si videro altresì donne che portavano braccialetti di perle fine, «che fecero spalancar gli occhi ai Castigliani27.» L’Ammiraglio adoprò ogni arte per sapere d’onde traevano l’oro: tutti indicavano una terra molto alta verso l’occaso, ma poco lontana; tuttavia non lo consigliavano ad andarvi perchè vi si mangiavano gli uomini: Colombo dimandò loro ove raccoglievano le perle; ed essi additarono nuovamente l’occaso ed il nord. Nonostante il suo desiderio di condursi a que’luoghi, Colombo dovette rinunziarvi: le stringenti necessità della colonia lo empievano di inquietudine: i viveri che aveva imbarcati per gli abitanti dell’Hispaniola si andavano sempre più corrompendo. La caravella che montava, a motivo del suo gran peso non er’acconcia per una esplorazione di questo genere. La sua salute rovinata dalle veglie continue, i suoi occhi in uno stato vicino alla cecità gli facevano sentire il’bisogno di arrivare all’Hispaniola, donde avrebbe mandato suo fratello Bartolomeo a continuar le scoperte.
Cristoforo Colombo comandò volgere al ponente, e seguì questa direzione finchè non si ebbero che tre braccia di profondità: gettata l’áncora spedì innanzi il Corriere, per vedere se il passo era aperto. Il Corriere giunse sino al mezzo di un golfo grandissimo, circondato da altri quattro golfi minori, ne’ quali si scaricavano le acque di varii fiumi; il Paria, Il Guarapiche, Il Fantasima, il Cacao, il Caripe. Si trovarono dappertutto cinque braccia di fondo: l’acqua era dolcissima: «Io non ne ho mai bevuto di simile,» diceva l’Ammiraglio: chiamò questa specie di mare interiore, «il golfo delle Perle,» oggi detto golfo di Paria. Sperava trovare uno stretto al nord; perchè non v’era uscita ned a ponente ned a mezzodì: ma si vide chiuso da tutte parti dalla terra. Il dì 11 agosto, levando le áncore, Colombo tornò indietro per tentare tra il capo Paria e l’isola della Trinità il passo del pericoloso stretto all’est-nord-est, da cui si era prudentemente allontanato il 5 agosto. Le correnti lo spingevano sì forte, che non potè riguadagnare la riva de’ Giardini: in ogni luogo l’acqua era dolce e chiara. La dimane riuscì ad ancorarsi presso il capo Paria, in un porto che nominò Porto delle Scimmie, a motivo della gran copia di quegli animali che vide posati sugli alberi. Egli vi si fermò per santificarvi la domenica, coll’intenzione di uscirne il lunedì, e di valicare il terribile stretto.
§ IV.
Il lunedì, 24 agosto, le navi si accostarono allo stretto.
L’estremità nord-est della Trinità non prospetta immediatamente il sud-ovest del capo Paria. Fra la punta dell’isola e la punta della terraferma giacciono più isole, che non lasciano fra loro che passi impraticabili alle navi: ma fra la più grande di queste isole e il continente americano, si apre un passo largo circa una lega e mezzo, il solo che sia meno sconsideratamente accessibile, e che sbocca nel mare Caraiba. Tuttavia, nei mesi di luglio e di agosto, la copia delle pioggie e lo straripamento de’ gran fiumi che si scaricano nel golfo di Paria danno alle correnti di acqua dolce un impulso terribile. Questa gran copia d’acqua fluviale urta le isole che si oppongono alla sua uscita; e dalla lotta tra’ flutti di acqua dolce, e le onde salate ne conseguita un affronto romoroso, che imita il fragor sordo delle onde che si rompono fra gli scogli.
Se per entrare in questo vero mare interiore, che si chiama il golfo di Paria, aveva Colombo avuto bisogno del soccorso della Provvidenza, l’assistenza di lei non gli fu punto manco necessaria per uscirne. Noi insistiamo sulle particolarità di questo sbocco nel mar Caraiba, perchè non fu mai riferito con esattezza. Il veridico Herrera riconosce il fatto. «Quivi l’Ammiraglio durò non minor pena di quella che aveva patito nella Bocca del Serpente, allorchè penetrò nel golfo: solo che il pericolo fu maggiore28.
Un po’ avanti il mezzodì, le tre caravelle si trovarono vicine al passo. Si vedevano i flutti in uno spaventevole sconvolgimento. L’acqua fluviale sospinta verso il mare si trovava combattuta dall’acqua salata, che la marea spingeva fortemente contro l’entrata del golfo. Le onde si agitavano con tale violenza che si levavano in montagne, e con sì gran fragore da spaventare i più ardimentosi. Colombo congetturò che a «i letti della corrente e le colline d’acqua che uscivano ed entravano in quel canale con un rumore così terribile, procedevano dall’urto dell’acqua dolce coll’acqua salata. L’acqua dolce si opponeva all’entrata dell’acqua salata; e questa si opponeva all’uscita dell’altra29.» Quietando il vento i piloti non potevano aiutarsi colle vele, e temevano di essere gettati dalla violenza delle correnti sui bassi fondi, e rotti contra gli scogli. L’Ammiraglio confessò che se riuscivano a cavarsi dal mal passo, potrebbero dire a ragione di essere stati liberati dalla boca del Drago; e gliene rimase il nome30.
Non ostante l’imminenza del pericolo, giovandosi l’Ammiraglio di un venticello di terra, fece avanzare le caravelle. «Ma appena erano le navi entrate in quella specie di terribile stretto che il vento cadde interamente; ed esse correvano ad ogni istante il rischio di essere gettati contro gli scogli31.» Colombo non invocò invano il suo protettore. Nel momento del maggior pericolo, gli venne dall’alto il soccorso. Il vento si levò con forza: l’acqua dolce ingrossò le sue onde come colline. «Finalmente volle Iddio che questa medesima acqua dolce, superando la salata, gettasse le navi fuori dello stretto.» La potenza del vento fu quella che provvide alla loro salute. Ma tal era la sicurezza dell’Ammiraglio, e la sua fiducia nella «misericordia della sua Alta Maestà,» che in quel momento solenne si occupava tranquillamente di osservazioni idrografiche. Abituato ai prodigi dell’assistenza divina, non mentova neppure quel soccorso maraviglioso, e si restringe a provare la sua osservazione colla sua eroica semplicità: dice solamente: «Io uscii per l’imboccatura nord, e trovai che l’acqua dolce era sempra vittoriosa: e quando io passava, il che avvenne per la forza del vento, trovandomi sopra una di queste liquide colline, notai che nei letti della corrente, l’acqua della parte interiore era dolce, laddove quella della parte esteriore era salata32. Durante lo scandaglio gli equipaggi si erano a fatica riavuti dalla loro costernazione.
Appena le tre caravelle ebbero valicata la spumante Bocca del Drago, Colombo diede pubblico sfogo alla sua gratitudine, ringraziando altamente il Signore di averlo sottratto ai pericoli dell’abisso33.
Da principio navigò al nord-ovest: riconobbe la costa esteriore di Paria; segnalò in faccia al capo «dei tre picchi» le tre isole che chiamò i testimoni, alludendo sicuramente ai tre avvenimenti miracolosi di questo terzo viaggio, intrapreso in nome della Trinità. Indi, lasciando al nord-est due isole più lontane che chiamò, in onore della Santa Vergine, l’una la Concezione e l’altra l’Assunzione, giunse alla Margherita, vero gioiello della natura, vestita di una verzura sontuosa, piena di amenità, ricca dei doni del suolo, delle produzioni del mare, e tutta seminata di abitazioni34. Di là andò a Cubaga, piccola isola vicina, arida e cupa, indi famosa per la pesca delle perle.
Sedotto da queste scoperte, l’Ammiraglio avrebbe continuata la sua navigazione, e sarebbe entrato nel golfo di Venezuela, passando per la costa di Caracas, al di là di Cumana, il cui orizzonte, eternamente puro, offre all’ammirazione dell’uomo, nel sereno costante delle notti, diverse costellazioni dei due mondi, e riunisce sul limite aereo dell’antico emisfero le sorprese del cielo australe. Di là si scoprono all’estremo nord gli astri familiari all’Europa, il Carro, la Lira, Arturo, Sirio, Cassiope, Orione, mentre nei campi dello spazio folgoreggiano le stelle zenitali dell’Aquila e del Serpentario, la splendida Nave, la Corona, la magnifica Croce del sud, e scernonsi da lungi, simili a luminoso vapore, le nubi magellaniche.
Ma l’Ammiraglio dovette rinunziare a questi godimenti. La corruzione scemava ogni giorno più i viveri che aveva ottenuti con tanta pena: la sua cecità quasi intera si opponeva alle sue osservazioni: non poteva ritrarre dal suo viaggio nozioni intere; e la salute degli equipaggi correva gravi pericoli se avesse prolungata questa ricognizione del Nuovo Continente. E però l’Ammiraglio volse decisamente le prore verso la Spagnuola.
- ↑ Cristoforo Colombo. — «Partì en nombre de la santisíma Trinidad, miercoles, 30 de mayo, de la villa de San Lucar.» — Relazione del terzo viaggio indirizzata ai Re Cattolici.
- ↑ Oviedo y Valdez, Historia natural y general de las Indias, lib. III, cap. iii.
- ↑ «Una empresa tan importante y gloriosa en su idea como el primer descubrimiento.» — Muñoz, Historia del Nuevo Mundo, lib. VI, § 23.
- ↑ Herrera dice che questa flotta era portoghese, ma Las Casas accerta ch’essa era francese; ed anche la relazione di Colombo non ammette dubbio in riguardo a ciò.
- ↑ Herrera, Storia generale delle Indie occidentali. Decade I, lib. III, cap. ix.
- ↑ Fernando Colombo, Vita dell’Ammiraglio, cap. lxv.
- ↑ Fernando Colombo, Storia dell’Ammiraglio, cap. lxv. — Muñoz, Historia del Nuevo Mundo, lib. VI.
- ↑ «Y entre en tanto ardor y tan grande que crée que se me quemasen los navios y gente, que todo un golpe vino à tan desordenado, que no habia persona que osase descender debajo de cubierta á remediar la vasija y mantenimientos, etc.» — Cristoforo Colombo, Relazione del terzo viaggio indirizzata ai Re Cattolici.
- ↑ Fernando Colombo, Storia dell’Ammiraglio, cap. lxv.
- ↑ «Nauta quidem speculator tres montes altissimos sublatis præ lætitia ad cœlum vocibus se conspicere proclamat.» — Petri Martyris Anglerii, Oceaneœ Decadis primae, lib. sextus.
- ↑ Oviedo y Valdez, Storia naturale e generale delle Indie, lib. III, cap. iii. — Traduzione in francese di Giovanni Poleur, cameriere di Francesco I.
- ↑ Herrera, Descrizione delle Indie occidentali, che oggidì chiamansi Nuovo-Mondo, cap. vii, pag. 16. — Edizione d’Amsterdam, 1622.
- ↑ «El presente attribuyó à un señalado beneficio de Dios; mirando como milagroso el tiempo, el modo y la vista de tres cumbres, etc.... » — Muñoz, Historia del Nuevo Mundo, lib. VI, § 23.
- ↑ «Y como Su alta majestad haya siempre usado de misericordia conmigo, por acertamiento subió un marinero á la gavia, y vido al Poniente tres montañas juntas.» — Per modestia, senza dubbio, Colombo non dice qui, che il marinaio che ebbe la ventura di veder ciò pel primo, era Alonso Perez Nizzardo, suo domestico.
- ↑ «Y en todo cabo mando plantar una alta cruz, y á toda la gente que hallo notifico, etc.» — Relazione del terzo viaggio indirizzata ai Re Cattolici.
- ↑ Cristoforo Colombo, Relazione del terzo viaggio indirizzata ai Re Cattolici.
- ↑ Annotazione idrografica di Navarrete.
- ↑ Nel momento in cui dettava al suo segretario la sua relazione pei Re Cattolici.
- ↑ Impropriamente molti scrittori danno a questi indigeni il nome di Guarani. Gli Indiani Guarani sono al Paraguaj. I Guarauni differiscono dai Guarani pel linguaggio e pei costumi del paro che per la regione da essi occupata. — Dauxion-Lavaysse, Voyage aux iles de Trinidad, de Tabago, de la Marguerite, et dans diverses parties de Vénézuéla, t. I, p. 3.
- ↑ Depons, Viaggio alla parte orientale della Terra Ferma nell’America meridionale, t. III, p. 274.
- ↑ «Una gran cruz hincada en tierra.» — Deposizione di Hernando Pacheco, nell’ottavo interrogatorio del processo.» — Pleyto, Probanzas del Almirante.
- ↑ Muñoz, Historia del Nuevo Mundo, lib. VI, § 26.
- ↑ Herrera, storia generale dei viaggi e delle conquiste, ecc., nelle Indie occidentali. Decade I, lib. III, cap. ix.
- ↑ Muñoz, Historia del Nuevo Mundo, lib. VI, § 27.
- ↑ Herrera, storia generale dei viaggi, ecc., delle Indie occidentali. Decade I, lib. III, cap. xi.
- ↑ Cristoforo Colombo, Relazione del terzo viaggio indirizzata ai Re Cattolici.
- ↑ Herrera, Storia generale dei viaggi e conquiste dei Castigliani nelle Indie occidentali. Decade I, lib. III, cap. xi.
- ↑ Herrera, Storia generale dei viaggi e conquiste nelle Indie occidentali. Decade I, lib. III, cap. xi.
- ↑ Cristoforo Colombo, Relazione del terzo viaggio indirizzata ai Re Cattolici.
- ↑ Herrera, Storia generale dei viaggi nelle Indie occidentali. Decade I, lib. III, cap. xi.
- ↑ Washington Irving, Vita e viaggi di Cristoforo Colombo, lib. X, cap. iii.
- ↑ Cristoforo Colombo, Relazione del terzo viaggio indirizzata ai Re Cattolici.
- ↑ Cólon dadas infinitas gracias al Señor que le habia librado, etc. — Muñoz, Historia del Nuevo Mundo, lib. VI, § 29.
- ↑ Herrera, Storia generale dei viaggi nelle Indie occidentali. Decade I, lib. III, cap. xi. — Oggidì la Margherita, affatto spogliata delle sue foreste, ha perduto la sua freschezza e la sua bellezza. Ivi è coltivato il cotone, la canna di zuccaro, nelle parti meno aride; il rimanente dell‘isola sembra triste e sterile.