Così parlò Zarathustra/Parte quarta/Il grido di «soccorso»

Il grido di «soccorso»

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Friedrich Nietzsche - Così parlò Zarathustra (1885)
Traduzione dal tedesco di Renato Giani (1915)
Il grido di «soccorso»
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Il grido di «soccorso».

Il domani Zarathustra sedeva tuttavia sul suo sasso dinanzi alla caverna, e i suoi animali erravano lontano in cerca di cibo, — e anche di nuovo miele: poichè Zarathustra aveva sperperata e prodigata la sua provvista sino all’ultimo granellino. Ed ecco che mentre se ne stava così seduto, disegnando con una bacchetta nella sabbia l’ombra della propria figura, e meditando, — invero! non intorno a sè o alla sua ombra — a un tratto sobbalzò sgomentato: giacchè vicino alla propria ombra egli ne scorse un’altra. E mentre guardava a torno sorgendo in piedi, vide presso di sè l’indovino, lo stesso che un giorno aveva pranzato alla sua mensa, l’apostolo della grande stanchezza, il quale insegnava: «Tutto è uguale; nulla deve esser tenuto in conto; il mondo è senza significato; la scienza [p. 231 modifica]soffoca». Ma la sua faccia s’era fra tanto mutata, e poichè Zarathustra l’ebbe fissato negli occhi, il suo cuore ne provò un nuovo spavento: tanti annunzi infausti e tanti lampi si avvicendevano su quel volto. L’indovino, accortasi di ciò che avveniva nell’anima di Zarathustra, passò la mano sul proprio volto come per cancellarne qualche cosa; lo stesso fece Zarathustra. E poichè entrambi in tal guisa ebbero riacquistata la loro calma, rinfrancati si strinser la mano per segno d’essersi riconosciuti.

«Sii il benvenuto», disse Zarathustra, «o tu profeta della grande stanchezza: non sia mai detto che tu sei stato invano il mio commensale e il mio ospite. Mangia e bevi anche oggi con me, e perdona se un vecchio soddisfatto siede teco alla mensa!». — «Un vecchio soddisfatto?» rispose l’indovino scotendo il capo: «ma chiunque tu sia o voglia mostrar d’essere, o Zarathustra, quassù tu puoi dire d’aver finito d’esserci stato — la tua navicella in breve non si troverà più all’asciutto».

— «E che? mi trovo io forse all’asciutto?», chiese ridendo Zarathustra.

— «Le onde intorno al tuo monte salgono, e sono le onde della grande miseria, della universale tristezza: esse solleveranno in breve anche la tua navicella e ti travolgeranno».

Zarathustra tacque, meravigliato. — «Non odi ancor nulla?», prosegui l’indovino: — «non senti un fremito e un ruggito salire a te dalle profondità?».

Zarathustra tacque un’altra volta e porse ascolto; poi udì un grido infinitamente lungo, che i burroni ripercossero e propagarono, poichè nessuno voleva serbarlo in sè: tanto era di triste augurio.

— «O cattivo messaggero», disse finalmente Zarathustra, «codesto è un grido che invoca soccorso, è un grido umano che forse sale dal livido mare. Ma che importa a me dei pericoli umani? L’ultima ora che mi fu serbata — sai tu come si chiama?».

— «Pietà!» esclamò l’indovino sollevando ambo le mani, o Zarathustra, io venni per sedurti alla tua ultima ora!».

E aveva appena pronunciate queste parole quando un nuovo grido, più lungo e più angoscioso, si fe’ sentire più da presso. [p. 232 modifica]«Odi tu, o Zarathustra?», esclamò l’indovino, «a te è rivolto quel grido, te esso invoca: vieni, vieni, vieni, è tempo, è il tempo estremo!».

Zarathustra si sentiva turbato profondamente; infine domandò, come uno che esita a risolversi: «E chi è costui che mi chiama laggiù?».

«Ma se tu lo sai», rispose l’indovino concitato, «perchè cerchi di nasconderlo? L’uomo superiore è quegli che gridando t’invoca!».

«L’uomo superiore? — esclamò Zarathustra colto da errore: — che cosa vuole colui? Che cosa vuole colui? L’uomo superiore! — e che mai cerca egli qui?». — E la sua pelle si bagnò di sudore.

Ma l’indovino non rispose alle domande angosciose di Zarathustra, ascoltando con l’orecchio teso verso la profondità. Al fine, dopo un lungo silenzio, egli rivolse lo sguardo a Zarathustra, e lo scorse immobile e tremante.

«O Zarathustra», diss’egli con voce triste, «tu non te ne stai come quegli cui avvolge la felicità: tu dovrai danzare, per non cadere!

Ma quand’anche tu volessi danzare dinanzi a me e intrecciar le più folli capriole, nessuno potrà dirmi: Ecco, qui danza l’ultimo uomo contento!

Chi cercasse un tal uomo, ascenderebbe invano a questa Altezza: egli troverebbe bensi caverne e caverne, e ricettacoli per chi si nasconde, ma non già miniere di felicità e ripostigli di tesori e nuove vene auree di gioje.

Felicità! ma come sarebbe possibile scoprirla presso tali sepolti solitari! Devo forse cercare l’estrema felicità nelle isole beate e lontane, in mezzo a mari dimenticati?

Ma tutto si rassomiglia: nessuna cosa merita, d’esser tenuta in conto, non giova il cercare; non esistono isole beate!».

Così sospirava l’indovino; ma all’ultimo sospiro Zarathustra si rifece sereno e calmo, come chi da un profondo abisso esca alla luce del sole. — No! No! Tre volte no!» — gridò a gran voce lisciandosi la barba — «di ciò io m’intendo meglio! vi sono ancora isole beate!

Non parlarne tu, piagnone, impenitente! [p. 233 modifica]

Cessa di guazzare in ciò, o tu, nube foriera di pioggia del mattino! Non me ne sto io forse già qui, bagnato dalla tua angoscia e fracido come un cane?

Ora mi scuoto e fuggo da te: non devi meravigliartene! Ti sembro scortese? Ma questa è la mia cortesia.

Ma per ritornare al tuo uomo superiore, ebbene! Io corro a ricercarlo in quelle foreste: di là mi giunse il suo grido. Forse qualche belva lo stringe da presso.

Egli si trova entro i confini del mio regno e nessuna disgrazia deve colpirlo.

E invero ci sono molte belve feroci intorno a me».

Ciò dicendo, Zarathustra si volse per andarsene. Allora l’indovino disse: «O Zarathustra, tu sei uno scaltro!

Io lo so già: tu cerchi di liberarti di me! E per ciò ami meglio recarti nelle foreste ad inseguire gli animali feroci.

Ma che ti giova? La sera mi riavrai ancora; io resterò seduto quassù nella tua stessa caverna, paziente e grave come un ceppo — e attenderò!».

«Sia pure come tu dici!», gridò Zarathustra nel partire: «ciò che è mio, nella mia caverna, tu puoi considerarlo come cosa tua, giacché sei mio ospite!

E se vi trovi ancora del miele, ebbene, leccalo pure con la tua lingua, o tu orso brontolone, e raddolcisci la tua anima! E sono certo che ce la spasseremo insieme — lieti che questo giorno abbia avuto termine! E tu dovresti accompagnare il mio canto in figura dell’orso che balla.

Tu non ci credi? Tu scuoti il capo? Ebbene! Orsù! Vecchio orso! Non sono forse anch’io un indovino?».

Così parlò Zarathustra.