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232 | così parlò zarathustra - parte quarta |
«Odi tu, o Zarathustra?», esclamò l’indovino, «a te è rivolto quel grido, te esso invoca: vieni, vieni, vieni, è tempo, è il tempo estremo!».
Zarathustra si sentiva turbato profondamente; infine domandò, come uno che esita a risolversi: «E chi è costui che mi chiama laggiù?».
«Ma se tu lo sai», rispose l’indovino concitato, «perchè cerchi di nasconderlo? L’uomo superiore è quegli che gridando t’invoca!».
«L’uomo superiore? — esclamò Zarathustra colto da errore: — che cosa vuole colui? Che cosa vuole colui? L’uomo superiore! — e che mai cerca egli qui?». — E la sua pelle si bagnò di sudore.
Ma l’indovino non rispose alle domande angosciose di Zarathustra, ascoltando con l’orecchio teso verso la profondità. Al fine, dopo un lungo silenzio, egli rivolse lo sguardo a Zarathustra, e lo scorse immobile e tremante.
«O Zarathustra», diss’egli con voce triste, «tu non te ne stai come quegli cui avvolge la felicità: tu dovrai danzare, per non cadere!
Ma quand’anche tu volessi danzare dinanzi a me e intrecciar le più folli capriole, nessuno potrà dirmi: Ecco, qui danza l’ultimo uomo contento!
Chi cercasse un tal uomo, ascenderebbe invano a questa Altezza: egli troverebbe bensi caverne e caverne, e ricettacoli per chi si nasconde, ma non già miniere di felicità e ripostigli di tesori e nuove vene auree di gioje.
Felicità! ma come sarebbe possibile scoprirla presso tali sepolti solitari! Devo forse cercare l’estrema felicità nelle isole beate e lontane, in mezzo a mari dimenticati?
Ma tutto si rassomiglia: nessuna cosa merita, d’esser tenuta in conto, non giova il cercare; non esistono isole beate!».
Così sospirava l’indovino; ma all’ultimo sospiro Zarathustra si rifece sereno e calmo, come chi da un profondo abisso esca alla luce del sole. — No! No! Tre volte no!» — gridò a gran voce lisciandosi la barba — «di ciò io m’intendo meglio! vi sono ancora isole beate!
Non parlarne tu, piagnone, impenitente!