Considerazioni sulla importanza militare e commerciale della ferrovia direttissima Bologna-Firenze/Capitolo 3/Rampe

A).Le rampe Porrettane e la stazione di Firenze (S. M. Novella).

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Capitolo 3 Capitolo 3 - Ferrovia Longitudinale

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A). Le rampe Porrettane e la stazione di Firenze (S. M. N.).

§ I. Sguardo generale. — Abbiamo visto gli inconvenienti a cui è soggetto il servizio ferroviario sulla Porrettana, tanto nel caso di un eccezionale movimento di viaggiatori pel servizio ordinario, quanto nelle gravi emergenze di un concentramento di truppe da effettuarsi durante la guerra; ora vediamo quali sono le condizioni della linea indicata rispetto al servizio ordinario ed a quelle della viabilità sulle altre ferrovie che hanno analoghi obiettivi.

A tale scopo converrà allargare il nostro orizzonte, poiché gli interessi favoriti o danneggiati da una ferrovia importante come la Porrettana si estendono grandemente al di là delle due città sorelle che essa congiunge, ed abbracciano addirittura il movimento generale da un estremo all'altro della penisola.

Per fissare le idee, prenderemo come punti estremi della grande arteria longitudinale italiana Milano e Napoli, che si possono considerare come i centri di gravità del traffico delle due più fertili e ricche regioni estreme della penisola in cui si trovano quelle importanti città, le più popolose d’Italia. Sul percorso Milano-Napoli trovasi anche Roma, che è toccata da tutte le ferrovie longitudinali, eccezione fatta della linea per Foggia; perciò i ragionamenti che faremo non solo ci permetteranno di tener conto del traffico verso le provincie meridionali tirrene, le quali sono destinate ad influire potentemente sul movimento attraverso l’Appennino centrale; ma saranno anche applicabili alle comunicazioni fra la valle del Po e la Capitale del Regno.

§ II. Da Milano a Napoli. — Il transito Milano-Napoli si può effettuare per quattro vie diverse, passando cioè per Genova, o per Firenze, o per Falconara-Orte, o per Foggia, nelle condizioni di sviluppo riportate nel quadro seguente, in cui sono anche indicate le particolarità altimetriche relative alle traversate degli Appennini (vedi fig. 1).

Distanze da Milano a Napoli sulle ferrovie in esercizio.

Numero
d’ordine
VIA PERCORSA Lunghezza TEMPO IMPIEGATO
dai treni diretti accelerati
PARTICOLARITÀ
della via
nel
percorso
nelle
fermate
in
totale
Pendenze
massime
per mille
Elevazione
dei punti
culminanti
sul mare
Kilom. Ore min. Ore min. Ore min. Metri Metri
1 Genova-Civitavecchia 910 20 38 2 57 23 35 36 360
2 Bologna-Pistoia 924 21 03 4 10 25 13 26 620
3 Foggia-Caserta 941 22 06 2 14 24 20 22 548
4 Falconara-Orte 958 22 28 2 45 25 13 22 525

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Da questo quadro e dall’esame dell’orario attuale delle ferrovie apparisce che, mentre la via di Genova è più breve della Porrettana di soli 14 chilometri, i treni diretti accelerati impiegano passando per Firenze un tempo di gran lunga superiore a quello dovuto al maggior percorso.

Più sconfortante è il parallelo colle vie Adriatiche; imperocchè il viaggio si compie nello stesso tempo tanto passando per Firenze quanto per la via di Falconara, più lunga di 34 chilometri; e per la via di Foggia il viaggio dura un’ora di meno, nonostante il maggior percorso, rispetto alla prima, di 17 chilometri.

Se, a tutte queste condizioni di superiorità delle vie littoranee, si aggiungono gli svantaggi che presenta la Porrettana, per la noia del fumo nelle gallerie dell’Appennino, per gli inconvenienti delle forti rampe, e l’incomodo del trasbordo alla stazione di Firenze, si può conchiudere che questa via è la più sfavorevole al transito longitudinale, quantunque per le sue condizioni di sviluppo abbia il secondo posto.

Ricercando le cause per cui il movimento dei viaggiatori risulta deviato verso le linee littoranee, ed abbandona il suo corso naturale per le plaghe più ricche di memorie, più amene e più salubri d’Italia, troviamo che l’inferiorità della via per Firenze, rispetto alle sue rivali favorite e preferite, è dipendente dalle eccezionali condizioni della traversata dell’Appennino e della stazione di Firenze (S. M. N.), che costituiscono le più grandi piaghe del movimento longitudinale centrale della penisola.

§ III. Rampe Appenniniche. — Infatti, il tempo impiegato dai treni indicati a percorrere i 40 chilometri di forti rampe che dividono Porretta da Pistoia è di 103 minuti; mentre il percorso sulle tratte di uguale lunghezza che comprendono le forti rampe si compie: in minuti 74 per la linea di Genova (Novi-Pontedecimo), in minuti 80 per la linea di Falconara (Fabriano-Fossato e Spoleto-Terni), ed in minuti 76 per la linea di Foggia (Bovino-Montecalvo).

E qui conviene avvertire che le minori pendenze delle linee di Falconara e Foggia, rispetto alla Porrettana, e le curve più ampie permetteranno di diminuire la durata del viaggio, quando si voglia spingere la velocità dei treni al massimo limite.

Quindi, e pel tempo impiegato, e per la noia delle gallerie, e per quella dei freni, o per i maggiori pericoli, la traversata della Porretta è la più sfavorevole fra quelle percorse dai treni diretti.

§ IV. Regresso. — Vediamo ora l’influenza della stazione centrale di Firenze sul movimento longitudinale.

Primieramente conviene osservare che questa è la più infelice fra le grandi stazioni d’Italia per ristrettezza di piazzali interni ed esterni, sale d’aspetto, caffè ecc., e per la distribuzione del servizio. Per essa la legge sui lavori pubblici (art. 266), ov’è detto che l’ampiezza delle sale di aspetto sarà proporzionata al concorso dei viaggiatori, e il loro arredo sarà conveniente alle classi cui vengono destinate, è lettera morta. Tutte le classi a Firenze sono trattate alla pari. Il viaggiatore in partenza, o di transito, è obbligato co’ suoi bagagli a prender posto, se lo trova, sopra le panche di legno del vestibolo pubblico, finchè non sia giunta l’ora di salire in treno. I binari e gli scambi sono addossati gli uni agli altri in modo tollerabile appena per gli scali delle merci nelle anguste stazioni marittime; mancano assolutamente i marciapiedi intermedi, e lo spazio fra due binari contigui è non solo [p. 28 modifica]inferiore al minimo stabilito per le stazioni di ultima categoria, ma pericoloso per chi debba transitarvi durante le manovre.

E, come se ciò non bastasse, la stazione, essendo testa di linea e di breve lunghezza, ha tutti i binari disposti a ventaglio, con un tale intreccio di scambi, sparsi dappertutto, che il servizio si compie non sul binario regolare, ma sopra questi delicati organi che dovrebbero essere indipendenti dai binari di servizio e visibili ad ogni istante. Invece gli scambi rimangono sepolti fra la selva dei carri e dei treni, vincolati l’uno all’altro dalla breve lunghezza della stazione, fino a raggiungere lo scambio d’entrata, il quale a sua volta è vincolato a tutte le manovre da farsi colla locomotiva, le quali richiedono l’apertura e chiusura di un’infinità di tali deviatoi, con interruzione del transito sui binari di corsa, e con continui pericoli di scontri ed urti.

Ma vi è di peggio ancora. In tutta la stazione vi sono solamente quattro binari fiancheggiati da marciapiedi, e due di questi sono così brevi che i viaggiatori posti alla coda del treno devono scendere, anche quando piove, all’aperto, in mezzo alle leve degli scambi. Se poi il numero dei treni in arrivo od in partenza è maggiore del consueto, o qualche convoglio in ritardo sconvolge le previsioni, i viaggiatori sono trattati alla pari delle merci: si scaricano dovunque, od aspettano.

Il trasbordo e la lunga fermata dei treni diretti, che passano da questa stazione, sono il resultato di tale deplorevole stato di cose, che non ha riscontro sulle altre linee. Infatti da Milano a Roma, per tutte le vie possibili, non incontrasi alcuna stazione in cui i treni diretti facciano una sosta così lunga come a Firenze. Tutto ciò apparisce chiaramente dal quadro indicato, nel quale si osserva che le fermate complessive da Milano a Napoli risultano di minuti 134 per la via di Foggia, 165 per la via di Falconara, 177 per la via di Genova e 250 per la via di Firenze.

Sommando il tempo impiegato nelle varie linee per il transito su eguale lunghezza di strada comprendente le forti rampe appenniniche e quello corrispondente alle fermate nelle stazioni, si ha: un totale di minuti 210 per la linea di Foggia, 245 per Falconara, 251 per Genova e 353 per Firenze: risultato che non ha bisogno di spiegazioni! — Tuttociò per il servizio dei viaggiatori.

§ V. Veicoli a freno. — Ora vediamo quel che avviene rispetto al movimento delle merci. Il trasporto delle merci che pare debba essere inclinato a preferire la via meno lunga, senza badare alle condizioni altimetriche della strada, ed alla durata del viaggio, ha invece esigenze di gran lunga superiori a quelle dei viaggiatori. Per questi, invero, è poca fatica lo scendere al piede delle rampe per prender posto in più ristretto numero di veicoli, od abbandonare una carrozza senza freno perchè sia sostituita con altra munita di tale organo. Per le merci le cose corrono ben altrimenti: esse non possono cambiar posto senza grave spesa e perdita di tempo; ed i vagoni suggellati devono giungere intatti alla loro destinazione. Perciò le merci dall’originaria stazione di partenza devono essere caricate su carri a freno nelle proporzioni volute per superare le forti rampe. Questo è un incaglio gravissimo, sia per la scarsità di tali veicoli che vi può essere nelle stazioni, sia perchè sono rese più difficili le spedizioni senza scarico delle merci provenienti da linee di pianura, o di quelle che, già avviate per tali linee, lo speditore durante il viaggio volesse far proseguire attraverso l’Appennino. [p. 29 modifica]

Un privato, ad esempio, che riceva a Napoli, da Castellamare di Stabia, un treno completo di vitelle di Sorrento, non potrà farlo proseguire per Bologna se una metà dei veicoli non è munita di freno; condizione difficile a verificarsi quando dallo speditore di Castellamare non sia stata prevista tale deviazione della merce. Perciò probabilmente i veicoli saranno in gran parte senza freno; ed il negoziante di Napoli dovrà accontentarsi che facciano a Pistoia la sosta occorrente perchè, a due o tre vagoni per volta, frammisti ad altri veicoli a freno, possano poi essere rimorchiati sull’Appennino, assoggettandosi, ben inteso, alle maggiori spese di accompagnamento e mantenimento del bestiame.

Evidentemente tali maggiori spese, il ritardo e gli inconvenienti derivanti dalla traversata della Porretta sono tali e tanti che il negoziante di Napoli preferirà di avviare il suo treno per la via di Foggia, ove le minori pendenze renderanno più agevole il transito dei suoi veicoli, compensando ad usura la spesa corrispondente alla maggior lunghezza di tale via (17 chilometri).

Lo stesso avverrebbe se la spedizione fosse fatta da un negoziante di Roma, il quale potrebbe egualmente trovare la convenienza a far percorrere ai suoi vitelli 34 chilometri di più, passando per Falconara, ove trova minori ostacoli alla traversata dell’Appennino.

E che queste non siano semplici ipotesi, ma realtà, ce lo prova un fatto che ha una grande importanza, non solo presentemente, ma più ancora per l’avvenire.

Sulla via di Porretta non si vedono transitare i vagoni refrigeranti con cui il Cirio porta nell’Alta Italia ed all’estero i prodotti delle provincie meridionali, i quali invece a treni interi giungono a Bologna per la via Adriatica.

E la ragione è evidente; i vagoni del Cirio pesano e costano molto; ed egli forse ha creduto bene di limitarne il peso ed il costo col procurarsi in maggioranza veicoli senza freno. Egli perciò è obbligato a preferire le linee a minor pendenza, anche quando sono più lunghe; e da Napoli egli non troverà mai la convenienza di far passare i suoi veicoli per la Porrettana, quantunque più breve della linea di Foggia, per la duplice ragione della minor velocità sull’Appennino e delle maggiori soste1.

Lo stesso avviene allo speditore di Napoli che non ha veicoli propri. Se questi richiede 10 carri, potrà più prontamente averli quando non occorra che siano muniti di freno; e per caricare e spedire prontamente la sua merce, accetterà i carri senza freno, riducendo le soste coll’avviarli per la linea di Foggia. Tuttociò è avvenuto, avviene ed avverrà in proporzioni assai più colossali quando, costruita la succursale dei Giovi (colla pendenza del 16 per mille), anche le merci dirette verso la media valle del Po saranno colà richiamate, per la semplice ragione che il traffico è soggetto alle stesse leggi che regolano il corso delle acque, le quali seguono la via più facile quand’anche sia la più lunga.

§ VI. Danni e pericoli. — Se tutti gli inconvenienti accennati riuscissero a vantaggio dell’economia dell’esercizio ferroviario, meno male, ma accade precisamente il contrario. [p. 30 modifica]Infatti, l’infelice disposizione della stazione centrale di Firenze obbliga a tenere divisi i servizi delle varie reti con danno della economia generale e minore utilizzazione del ristretto spazio disponibile tanto al coperto che allo scoperto. Questo danno è aggravato dall’ essere tale stazione testa di linea, ragione per cui tutti i treni devono essere scomposti e ricomposti per poter proseguire la via, e tutti i viaggiatori sono assoggettati al trasbordo.

Inoltre la ristrettezza degli scaricatoi per le merci obbliga a fare il servizio di queste in tre diverse località, cosicché i veicoli in arrivo coi treni misti sono soggetti ad inutili percorsi dall’uno all’altro scalo.

Per queste ragioni, per la ristrettezza dei piazzali e degli scaricatoi, per l'insufficienza di binari e per la moltiplicità degli scambi, ne risulta una grave e maggiore spesa per la sorveglianza e per le manovre, le quali devono eseguirsi a passo d’uomo ed interrompersi ad ogni partenza od arrivo di treno.

Si aggiungano ancora i continui pericoli di errori ed equivoci nella manovra degli scambi e la possibilità di disastri. Di questi si ebbe nello scorso anno una dolorosa prova, che si ripeterebbe ogni giorno se il personale della Stazione centrale non avesse, nel servizio cui è addetto, una speciale attitudine, sulla quale però non si dovrebbe contare, nell’interesse dell’ Amministrazione e del pubblico. Invero, se il disastro accennato anziché colpire un treno misto, contenente pochi viaggiatori, fosse avvenuto ad un treno diretto, quante sarebbero state le vittime, ed a quale somma sarebbero salite le indennità da pagarsi? E vi è di peggio ancora; un povero sviatore dovrà rispondere dinanzi ai magistrati delle imperfezioni e complicazioni di un sistema di meccanismi ch’egli deve adoperare; e sconterà col carcere e col dolore di chi ha la coscienza pura, il peccato originale della stazione di Firenze, la sola e vera colpevole che bisogna sopprimere perchè sia tolta una minaccia permanente alla sicurezza dei viaggiatori2. [p. 31 modifica]

§ VII. Rampe e freni. — Più grave e più esteso ancora è il danno che risente l’economia dell’esercizio ferroviario sulle linee di pianura per effetto delle rampe Porrettane, ossia pel corso forzato dei veicoli a freno; poichè, prescindendo dalla preoccupazione che deve avere il personale delle stazioni per distribuire al pubblico i vagoni a freno, ed avviarli per le varie destinazioni nelle volute proporzioni, vi è una serie infinita di guai su cui non sarà inopportuno di fissare l’attenzione.

Tali vagoni, pel meccanismo che costituisce il freno, gli accessori, e la garetta del frenatore, colla relativa scala in ferro, pesano assai più dei veicoli senza freno. Questo maggior peso è di circa 600 chilogrammi, senza computare quello del frenatore, e rappresenta la quinta parte circa del peso utile (3 tonnellate) di ogni [p. 32 modifica] veicolo, quando il carico è costituito da viaggiatori, bestiame, frutta, od altre materie che occupano molto spazio e pesano poco3.

Se un carico simile di 60 tonnellate (allorché, colla costruzione della direttissima Roma-Napoli, saranno sparite dall’Arno al Vesuvio le pendenze superiori al 12 per mille), dovesse essere inviato da Castellamare di Stabia ad Udine seguendo la via più breve, ossia per Firenze-Pistoia, bisognerebbe distribuirlo su 20 vagoni, di cui 10 a freno, per potere continuare il viaggio senza perdita di tempo sulle rampe Porrettane. Il peso dei freni risulterebbe perciò di 6 tonnellate, che dovrebbero trasportarsi da Castellamare ad Udine, per un percorso di circa 1000 chilom. al solo scopo di poter superare col carico utile di 60 tonnellate i 40 chilom. delle rampe accennate. Ossia si dovrebbe fare un trasporto in gran parte inutile del peso morto dei freni, equivalente a 6 mila tonnellate-chilometro (6 tonn. X 1000 chilom.), per poter effettuare un trasporto utile di sole 2,400 tonnellate-chilometro (60 tonnellate X 40 chilom.) sulle forti rampe. Se poi a Castellamare non si trovano disponibili gli accennati vagoni a freno, al peso morto indicato converrà aggiungere quello corrispondente al percorso a vuoto dei vagoni da richiedersi alle stazioni vicine4.

Nè qui finiscono per le Società esercenti i guai derivanti dalle forti rampe, poiché devesi anche tener conto dei seguenti aggravi:

1° Maggior costo dei vagoni a freno.

2° Spesa pel ricambio dei ceppi, lubricazione e manutenzione del meccanismo dei freni.

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3° Maggiori spese di trazione, sia nel piano che sulle rampe, per la forma poligonale che assumono i cerchioni delle ruote logorandosi collo strisciamento sulle rotaie durante la chiusura dei freni, e per la resistenza che la garetta del frenatore oppone all’aria resistenza notevole tanto sull’Appennino per i forti venti, quanto nel piano per la maggior velocità del treno).

4° Maggiori spese per tornitura e ricambio dei cerchioni delle ruote, e pel più rapido deterioramento delle rotaie, il quale è dovuto allo strisciamento accennato, ed alla martellatura che per la forma poligonale dei cerchioni si produce durante la corsa.

5° Spesa viva pei frenatori supplementari occorrenti per la circolazione dei treni sulle forti rampe.

6° Spese per manovre da farsi, al piede delle rampe, per la scomposizione e ricomposizione dei treni, e per i viaggi a vuoto dei vagoni a freno da inviarsi ove occorrono.

7° Maggiori cure nel carico dei vagoni destinati a percorrere le forti rampe per evitare pressioni laterali e spostamento del carico tanto a causa della pendenza longitudinale della strada, come della sua inclinazione trasversale nelle curve di raggio ristretto.

8° Minore utilizzazione del materiale mobile, e specialmente delle locomotive, per gli inconvenienti e danni derivanti dai molteplici gruppi delle medesime che non possono prestar servizio sulle forti rampe.

9° Spese d’impianto di grandi stazioni, con magazzini, rimesse, officine, ecc. ecc. in prossimità delle forti rampe, anche quando il servizio generale non lo richiederebbe.

10° Infine, maggiori spese di trazione, le quali sono più che doppie di quelle occorrenti sulle linee a mite pendenza, come ce lo indica il rapporto fra la potenzialità di una stessa locomotiva sulle pendenze del 12 e del 26 per mille (Ved. nota a pag. 13), e come lo provano le spese di esercizio del Semmering che sono quasi triple di quelle della parte a mite pendenza dell’intera linea Vienna-Trieste.

L’influenza degli elementi suaccennati sull’economia dell’esercizio è tanto più perniciosa in quanto che il prodotto principale delle ferrovie è quello delle merci destinate a lunghi percorsi sulle linee di pianura, ciò che può anche desumersi dal fatto che le stazioni poste sulle forti rampe od in prossimità delle medesime sono per lo più le meno produttive.

Perciò le numerose garette dei treni che passano l’Appennino rappresentano in gran parte un peso morto inutilmente trasportato sulle linee a mite pendenza, ed ogni convoglio che corre nel piano con un numero di veicoli a freno maggiore del necessario, o con un carico non proporzionato al numero dei freni, ci indica, colle garette, un’imposta che le linee di montagna fanno pagare a quelle di pianura. E questa imposta è tanto più deplorevole in quanto che non solamente impedisce il libero scambio del materiale mobile, ma cresce col moltiplicarsi del traffico e delle linee di montagna, e sconvolge tutta l’economia ferroviaria.

§ VIII. Conseguenze. — Riassumendo le cose esposte in questo e nei precedenti paragrafi, possiamo conchiudere: che le rampe Porrettane e la stazione di Firenze (S. M. N.) sono dannose non solo agl’interessi di Firenze, di Livorno e dell’Italia [p. 34 modifica] centrale, per la deviazione del traffico dalla sua antica e naturale sede, e per l’ostacolo che l’Appennino presenta alla importazione ed esportazione; ma sono anche pregiudicevoli alle principali regioni settentrionali e meridionali, le quali devono svolgere il traffico per la via più lunga al solo scopo di evitare l’attuale linea Firenze-Bologna. La quale, per la circolazione forzata di un materiale mobile speciale, per gli aggravi di tempo, di percorso, di manovre, e per i continui pericoli di accidenti e disastri, è un aggravio al servizio dell’esercizio, ed una minaccia continua di danni a questo ed al pubblico.

Note

  1. Pel valico di Porretta si calcolano 24 ore in più nei termini di resa delle merci (V. Relaz. Inchiesta ferroc., pag. 275).
  2. A conforto delle osservazioni suesposte si riporta la seguente lettera dell’autore pubblicata nel Corriere Italiano del 12 luglio 1882:
    «Ill.mo signor Direttore del giornale II Corriere Italiano,
    «Si legge nei giornali che il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici ha approvato i progetti di ampliamento delle stazioni di S. Maria Novella e Porta alla Croce, studiati in correlazione alla nuova linea per Faenza.
    «Naturalmente l’appalto di detti lavori d’ampliamento non avrà luogo tanto presto, bastando che i medesimi siano ultimati per l’apertura dell’intera linea per Faenza, la quale non potrà essere compiuta che Ira 5 o 6 anni.
    «Parmi quindi che non sia inopportuno studiare se le attuali stazioni di Firenze, e come ora si trovano, e cogli ampliamenti proposti, corrispondano ai bisogni del servizio ferroviario; e se non sia più economico e conveniente provvedere in altro modo a questi bisogni.
    «Non colla pretesa di risolvere tale questione, ma col solo desiderio di richiamarvi l’attenzione delle persone competenti, mi permetto di trasmetterle le seguenti considerazioni perchè voglia, ove la S. V. Ill.ma lo creda conveniente, farne cenno nel suo giornale.

    «Riordinamento del servizio ferroviario a Firenze.

    «Non occorre essere esperti in materia ferroviaria per riconoscere che la stazione centrale di Firenze è insufficiente ai bisogni del traffico. Invero è evidente la scarsità delle vie d’accesso, la ristrettezza dei piazzali esterni, l’infelicità dei vestiboli per la distribuzione dei biglietti, l’insufficienza delle sale d’aspetto e degli scali per la partenza e l’arrivo.
    «Questi inconvenienti diventano più gravi per essere il servizio della stazione diviso fra due Società (Alta Italia e Romane), per cui in uno spazio così ristretto sono duplicati gli uffici, le sale d’aspetto, quelle pei bagagli, gli scali di partenza e d’arrivo, i servizi merci.
    «Perciò si sono addossati i binari gli uni agli altri, in modo da non permettere l'impianto di marciapiedi intermedi; il che accresce notevolmente i pericoli e la difficoltà della circolazione e delle manovre, rendendo malagevole la partenza e l’arrivo contemporaneo dei treni corrispondenti a tutte le linee allacciate. Quando poi, per eccezionali circostanze, il numero dei treni affluenti contemporaneamente alla stazione sia maggiore del consueto il servizio non può assolutamente farsi colla celerità e comodità richieste al giorno d’oggi.
    «Così, venendo al concreto, sì nello scalo dell’Alta Italia che in quello delle Romane non vi sono che due binari muniti di marciapiedi.
    «Uno di essi serve per la partenza, l’altro per l’arrivo. Se i treni che devono partire od arrivare contemporaneamente fossero più di uno, non vi è modo di effettuare il servizio in condizioni regolari, come si verifica giornalmente pei treni diretti a Livorno, ai quali si accede per mezzo di un marciapiede di legno.
    «L’insufficienza delle sale d’aspetto è dimostrata dal fatto che i viaggiatori muniti di biglietto devono trattenersi prima di salire in treno nel vestibolo comune alle due reti ed al pubblico. Questo stesso vestibolo, che serve di sala d’aspetto alle tre classi di viaggiatori e di passatempo agli oziosi, è chiuso allorchè arrivano personaggi importanti, come accadde recentemente durante il passaggio d’un Granduca di Russia.
    «Per quanto riguarda i piazzali esterni all’arrivo, basterà osservare che non possono contenere 50 carrozze, e che non è possibile entrarvi comodamente con tiri a quattro cavalli, sicchè sono appena bastevoli nelle circostanze ordinarie. I piazzaletti alla partenza sono addirittura meschini; essi non possono contenere più di otto carrozze e quattro sole al coperto. Le latrine esterne mancano totalmente.
    «A queste pessime condizioni si aggiunga che, essendo la stazione di S. Maria Novella testa di linea, tutti i treni devono retrocedere per continuare il viaggio. Quindi il movimento sui binari già insufficienti diventa doppio di quello che, in eguali circostanze, si verifica in una stazione di transito; ed il percorso di tutti i treni di passaggio si allunga notevolmente a causa del regresso, il quale richiede ancora una parziale scomposizione e ricomposizione dei treni e delle manovre speciali, che tornano sempre a danno della celerità e comodità del viaggio.
    «Se ora si osserva che l’importanza commerciale e militare della stazione di S. Maria Novella è intimamente collegata con quella delle principali linee ferroviarie che servono alle comunicazioni fra il basso Po e la Capitale; che colla costruzione della linea per Faenza tutto il traffico Genova-Brindisi si effettuerà per la via di Firenze; che concedendo, com’è naturale, l’esercizio di questa nuova linea alla Società delle Ferrovie Meridionali aumentano considerevolmente i bisogni del traffico nella stazione attuale; è evidente che essa acquista un’importanza eccezionale, poichè in nessun’ altra città si troveranno riunite le reti di tre grandi Società ferroviarie.
    «Frattanto gli ingrandimenti previsti alla stazione centrale, non avendo per obbiettivo che di provvedere ai bisogni derivanti dalla costruzione della nuova linea per Faenza, non potranno rimuovere gl’inconvenienti lamentati. D’altra parte si sa quanto siano scarsi gli spazi liberi nelle adiacenze dell’attuale stazione, e si può quindi prevedere che tutti gli ingrandimenti possibili non possono consistere che nell’aggiunta di qualche binario, senza che sia possibile estendere i piazzali esterni, accrescere i comodi per l’arrivo e la partenza, ecc. ecc.
    «L’ampliamento progettato a Porta la Croce non ha che uno scopo militare e quindi tutto il servizio ordinario dei treni continuerà ad effettuarsi nella stazione di S. Maria Novella.
    «E questa stazione che è insufficiente ai bisogni attuali del traffico, come potrà soddisfare ai bisogni che creerà la nuova ferrovia per Faenza, a quelli più imperiosi che sorgeranno per sostenere la concorrenza delle linee che tendono a deviare da Bologna e da Firenze l’attuale movimento verso la Capitale?
    «Qualunque sia il risultato delle pratiche e degli studi per la direttissima Bologna-Firenze-Roma, bisogna approfittare delle favorevoli circostanze che ora si offrono per riordinare il servizio ferroviario in questa città, in modo tale da soddisfare a tutte le esigenze della celerità e comodità del viaggio, sia rispetto alle linee attuali, che ad ogni altra linea prevedibile in avvenire, per riuscire vittoriosi nella lotta che si dovrà sostenere contro le linee rivali progettate e da progettarsi.
    «Questa vittoria non potrà riportarsi cogli ampliamenti proposti alla stazione di S. Maria Novella, i quali non valgono ad eliminare i gravi inconvenienti enumerati, nè colla stazione militare a Porta la Croce. Anzi tutte queste stazioni, aventi diverse destinazioni, producono uno sparpagliamento di forze che ci allontana dall’unità tanto necessaria in cose ferroviarie, ed assorbiranno una somma rilevante senza soddisfare completamente ai bisogni militari ed a quelli commerciali.
    «La miglior soluzione del problema in discorso non può ottenersi che con una sola e grande stazione, come si è fatto o si va facendo non solo nelle principali città, ma anche nelle secondarie, tanto che Pisa, Ancona, Foggia, per citare le meno importanti, avranno delle stazioni di gran lunga superiori, per ampiezza e comodi, a quelle di Firenze.
    «La nuova stazione potrebbe impiantarsi nell’esteso spazio che vi ha fra la ferrovia e la cinta daziaria, nel tratto che corre fra Porta S. dallo e Porta la Croce, ove il terreno piano, privo di luoghi di delizia, offre le condizioni più favorevoli all’economia, ed i seguenti vantaggi:
    « 1° l'esecuzione dei lavori d’impianto della nuova stazione può farsi senza nuocere od incagliare il servizio dell’esercizio;
    « 2° Si può ottenere, nella nuova stazione, un rettilineo in piano orizzontale assai più lungo di quelli esistenti nelle attuali stazioni;
    « 3° Tutti i treni provenienti dall’Alta Italia per via di Pistoia e diretti a Roma possono proseguire il viaggio senza regresso, ossia evitando le manovre per la loro scomposizione e ricomposizione ed abbreviando il percorso di circa tre chilometri. Pei treni provenienti dalla nuova linea di Faenza o dalla Direttissima, in erba, Rologna-Roma non solo si elimina il regresso, ma il minor percorso sarà di circa 6 chilometri, ciò che costituisce una notevole economia di tempo e di denaro;
    « 4° Compenetrando in una sola le due stazioni esistenti e la terza prevista pel servizio militare a Porta la Croce, si ha una considerevole economia nelle spese di esercizio;
    « 5° L’attuale stazione di S. Maria Novella che verrebbe abbandonata potrebbe essere trasformata in officine per lo stesso servizio ferroviario, in opifìci industriali, in docks. Egualmente si potrebbero utilizzare in altro modo i fabbricati della stazione di Porta la Croce;
    « 6° Infine è possibile la formazione di nuove strade e piazze nelle adiacenze della nuova stazione, regolarmente collegate a quelle esistenti ed ai viali di circonvallazione, in modo da rendere i dintorni della stazione degni della sua importanza.
    «Concludendo, rimpianto della grande stazione può farsi senza nuocere al servizio attuale, senza distruggere o rendere improduttivi i fabbricati esistenti; elimina le opere da farsi in due diverse stazioni concentrandole in una sola; produce l’unità del servizio; permette di provvedere a tutti i bisogni presenti e futuri richiesti dallo sviluppo del traffico; crea un’economia nel servizio dell’esercizio, un risparmio di tempo e di spesa e maggiori comodi nei viaggi ferroviari Bologna-Roma; infine, contribuisce al miglioramento edilizio della città. »

  3. Il carico medio dei carri delle Ferrovie Romane risultò di sole tonnellate 2,36 nel decennio 1870-79 (Vedi Relaz. Inchiesta Ferroviaria, pag. 214).
  4. Se il tronco di S. Severino-Salerno (con cui si evita la forte pendenza al 25 per mille esistente fra S. Clemente e Salerno sulla linea attuale) e la linea Eboli-Reggio, saranno costruiti a miti pendenze, il ragionamento ora esposto potrà estendersi fino al Capo Sparavento, ed il peso morto trasportato a causa delle rampe Porrettane sarà quasi quadruplo di quello utile transitante sulle rampe stesse. Ciò prova quanto sia errata la teoria prevalsa sinora (V. Atti Inchiesta Ferroviaria, Parte II, Vol. II, pag. 234), sulla costruzione delle linee a forti pendenze, e come l’interposizione d’una forte rampa su una lunga linea a miti pendenze produca delle conseguenze economicamente tanto più disastrose quanto maggiore è il traffico fra i punti estremi.