Compendio storico della Valle Mesolcina/Capitolo XVII

Capitolo XVII

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CAPITOLO XVII.

(DAL 1480 AL 1496.)

Il castello di Mesocco passa ai Trivulzi; stipendiati nella Valle; introduzione di gravami; credenza nelle streghe; processo di Fazolo; usati tormenti; particolari Sacerdoti.





Pietro de Sax, parte della di cui famiglia era già domiciliata nell’Oberland, vendette nell’anno 1480 il suo mal guarnito castello di Mesocco e sue ragioni consistenti nel titolo di Conte della Mesolcina, nei pochi ancora sopravanzantigli diritti di giudizio civile, del dazio interno, di caccia e di pesca a Giacomo Trivulzio detto il Magno, nobile milanese e maresciallo di Francia per sedici mila fiorini1, dopo qual vendita Pietro de Sax si ritirò subito, col restante della sua famiglia nell’antico castello di Castris, paese nei contorni di Iante nell'Oberland.

All’atto della compera il Trivulzio sborsò al de Sax solamente dieci mila fiorini, coll'obbligo [p. 98 modifica]però di pagare il restante entro quindici giorni, spirato qual termine, si rifiutò in vece sotto diversi frivoli pretesti d’effettuare tal pagamento, per cui il nominata Pietro venne poi con mille uomini armati della Lega Grigia da lui stipendiati a saccheggiare la Valle, credendo d’obbligar così il compratore al pagamento; ma siccome essa per nulla entrava in quelle particolari contese, i suoi abitanti s’opposero energicamente contro alcune violenze degli stipendiati, difendendo i loro diritti e proprietà, motivo per cui avvenne un piccol combattimento con qualche spargimento di sangue; dopo tre giorni di dimora, gli armati si ritirarono dalla Mesolcina, ed il Trivulzio fu obbligato di pàgare agli abitanti della Valle tutti li danni è spese cagionate dagli stipendiati del de Sax.

Allorché i Trivulzi si videro padroni del castello di Mesocco, cercarono ancor essi di poter venire in possesso se non della totale, almeno d'una parte della sovranità vallerana che possedevano gli antichi Castellani Conti della Mesolcina, e per arrivare a tale loro intento, incominciarono a voler introdurre arbitrariamente dei gravami sugli abitanti col far esigere certi nuovi tributi che essi sostenevano devoluti ai proprietari del detto castello, fissando due luoghi, cioè all’entrare ed al sortire della Valle, desti[p. 99 modifica]nati per il ricevimento delle imposte che doveva pagare tutto ciò che sarebbe entrato o sortito dal paese; ma gli abitanti s’opposero a simili arbitrii, e scacciarono con energia gl’impiegati che erano stati mandati in quei due luoghi, distruggendo nell’istesso tempo tutti i materiali destinati a comporre quegli ufficj, e non vollero sottomettersi ad altri gravami di gabelle che a quelli i quali erano di ragione devoluti alla Signoria del castello di Mesocco.

Il sopraccitato Giacomo Trivulzio, il quale aveva ottenuto il privilegio di far coniare monete d'oro e d’argento, fece a tal fine, già nel primo anno in cui si stabilì nella Mesolcina, costruire in Roveredo una piccola Zecca, che più tardi fu poi adottata qual Residenza di Valle, chiamata pure la Zecca. Anche oggi giorno si vedono alcune di quelle monete d’oro e d’argento.

Incominciando dalla fine del decimo quinto secolo sino alla venuta di s.Carlo Borromeo, era pure nella Mesolcina il periodo delle superstizioni, conseguenza della massima ignoranza in cui generalmente il popolo languiva. Come punti di fede si credeva in quel tempo all’esistenza delle streghe, cioè persone le quali avessero relazione col demonio, e tenessero di notte tempo i loro berlotti2 sulle cime dei monti, nei cupi [p. 100 modifica]valloni, in folti boschi, ed in altri luoghi rimoti, ove sotto le forme di diversi feroci animali e di preferenza in quella di gatti, conferissero assieme per incantar gente, bestie, e particolarmente fanciulli; per far accadere funesti accidenti a qualcuno; far insorgere temporali, intemperie, fenomeni, e cose simili. La ridicola e pazza fede nelle streghe era tale che se qualcuno veniva incolpato dal pubblico di farne parte, era tosto denunziato e tradotto dinanzi ai tribunali, i quali agivano contro il supposto colpevole coi più crudeli ed inumani supplizi prima di condannarlo a morte, pena cui quegli innocenti ben di rado potevano evitare.

Fra le barbare procedure di tal natura di cui ancora ci rimane memoria, ne voglio, per darne un’idea, rammemorare qui una.

Nel 1492 si fece un processo contro certo Battista Fazolo della Comune di s.Vittore, il quale aveva servito nelle truppe elvetiche contro Carlo Duca di Borgogna. Quest’onesto uomo dopo d’aver partecipato alle gloriose vittorie riportate contro quel monarca, si era ritirato nella sua patria per vivere tranquillamente durante il resto dei suoi giorni, sebbene non vi possedesse che pochi beni stabili. In compagnia della sua servente egli impiegava la maggior parte del tempo in fare utensili di legname, ed in comporre pic[p. 101 modifica]cole figure di gesso, nella qaal professione era molto esperto. Pochi anni prima della deplorabile sua morte, Fazolo aveva comprato per accidente una volpicina appena nata, che l'addomesticò in maniera che sembrava un cagnolino, giacché essa non si allontanava mai dalla casa del suo padrone.

Sia causa l'invidia del pacifico e ritirato vivere di Fazolo con la sua servente, ossia per altri motivi egli venne calunniato di stregheria e sortilegio, ed il principal motivo d’accusa fu l'ammirabile addomesticamento della volpe che veniva considerato come soprannaturale. Accusato come stregone, Battista fu arrestato e condotto in Lostallo nelle profonde carceri. Intanto il criminale s’informava sulle qualità e relazioni del detenuto, e tutti s’accordavano che Fazolo era capo delle streghe, ciocché veniva anche confermato da alcuni fanatici testimonii appoggiatisi sopra inventata e falsa dichiarazione della servente che in quell’intervallo erasi rifugiata in Leventina sua patria. Il povero accusato fu più volte tradotto davanti il superstizioso ed ignorante, giudizio che lo condannava a terribili tormenti per obbligarlo a denunciare i suoi complici; ma egli intrepidamente dichiarossi sempre innocente.

In quel barbaro precesso furono complicate nove altre persone, tre uomini e sei donne, accusate [p. 102 modifica]d’intrinsichezza con Fazolo, cioè due di Mesocco, una di Soazza, una di Verdabbio, una di Roveredo, e quattro di Val Calanca, le quali tutte erano frattanto ritenute in tormentosi ceppi. Finalmente sull’assurda crudele istanza della corrotta e stupida popolazione, e dopo venti giorni d’ingiusta detenzione, di processi senza fondamento, e dopo replicati supplicii, i dieci innocenti furono in modo barbaro condannati ad essere nell’istesso giorno l’un dopo l’altro abbrucciati vivi davanti la casa di Valle, il che avvenne in aprile del citato anno alla presenza di un’affollata ed insensata giojosa popolazione.

Gl’incredibili, ma pur troppo reali orribili tormenti che si facevano soffrire a quegli indubitabili innocenti, erano pungerli con acute stanghe di ferro; morderli con dentate tenaglie; strappar loro le unghie e capelli; tagliargli le mani; passar loro sulle membra roventi lastre di ferro; lasciar cadere bollenti goccie di piombo sulle loro teste; fracassare ad una ad una le ossa ed intrecciarli alla ruota stessa; indi innalzarli, e così sospesi viventi sinchè di spasimo esalavano l’anima. Il meno era d’essere gettati vivi in ardente fornace, la quale veniva costrutta ogni volta che la spaventevole esecuzione lo esigeva, ed in cui quegli infelici restavano vittime d’un arrabbiato fanatismo. Simili crudeltà cessarono in fine dopo la venuta di s. Carlo nella Mesolcina. [p. 103 modifica]

Verso quel tempo la maggior parte delle Comuni vallerane le quali non avevano Canonici residenti si procacciarono, per loro comodo spirituale ed a loro spese, particolari sacerdoti, senza però sgravare i Capitolari di san Vittore del dovere di prestar servizio secondo i bisogni alle Cure vacanti.


Note

  1. Il fiorino veniva in quei tempi chiamato anche scudo.
  2. Così si chiamano quei supposti congressi.