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d’intrinsichezza con Fazolo, cioè due di Mesocco, una di Soazza, una di Verdabbio, una di Roveredo, e quattro di Val Calanca, le quali tutte erano frattanto ritenute in tormentosi ceppi. Finalmente sull’assurda crudele istanza della corrotta e stupida popolazione, e dopo venti giorni d’ingiusta detenzione, di processi senza fondamento, e dopo replicati supplicii, i dieci innocenti furono in modo barbaro condannati ad essere nell’istesso giorno l’un dopo l’altro abbrucciati vivi davanti la casa di Valle, il che avvenne in aprile del citato anno alla presenza di un’affollata ed insensata giojosa popolazione.

Gl’incredibili, ma pur troppo reali orribili tormenti che si facevano soffrire a quegli indubitabili innocenti, erano pungerli con acute stanghe di ferro; morderli con dentate tenaglie; strappar loro le unghie e capelli; tagliargli le mani; passar loro sulle membra roventi lastre di ferro; lasciar cadere bollenti goccie di piombo sulle loro teste; fracassare ad una ad una le ossa ed intrecciarli alla ruota stessa; indi innalzarli, e così sospesi viventi sinchè di spasimo esalavano l’anima. Il meno era d’essere gettati vivi in ardente fornace, la quale veniva costrutta ogni volta che la spaventevole esecuzione lo esigeva, ed in cui quegli infelici restavano vittime d’un arrabbiato fanatismo. Simili crudeltà cessarono in fine dopo la venuta di s. Carlo nella Mesolcina.