Compendio del trattato teorico e pratico sopra la coltivazione della vite/Parte III/IV

Parte III - Capitolo IV

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CAPITOLO IV.


Metodi pratici per distillare.




Distillazione dell’acquavite di commercio.


La caldaja, la cui grandezza è variabilissima, dev’essere disposta in modo di accelerare la distillazione presentando una gran superficie; perchè quando si fa lentamente, l’acqua-vite è colorita, ed à un cattivo gusto. Come si carica il lambicco, bisogna sempre lasciare otto, dieci pollici voti, affine che il liquore bollendo non possa inalzarsi troppo in alto, e giungere sino al serpentino. Se i vini sono nuovi, questa precauzione è indispensabile, e bisogna anche lasciargli maggiore spazio, [p. 175 modifica]perchè contengono più aria, che i vini vecchj. Subito che si à caricato, bisogna porvi il capitello, ed accendere un fuoco chiaro per far bollire prontamente il vino accrescendolo. Si luta in seguilo prontamente tutto il d’intorno del capitello, e la parte del cannello, che si riunisce al serpentino. Il mastello dev’essere ripieno di acqua, e la conca situata in maniera di ricevere l’acqua-vite. Se non è vicina a scorrere, il che si riconosce al calore del serpentino, si aggiunge del legno secco minuto, e quando l’operazione è in punto, si riempie il fornello di una carica di legno grosso, sufficiente a far passare tutta la buon’acqua-vite, e si chiude la porta del fornello.

Bisogna vegliare con attenzione tutto il tempo, che si stilla, perchè se il filo di acqua-vite è troppo piccolo, occorre accrescere il fuoco, e se per effetto di bollire troppo forte, il liquido passa nel serpentino, e forma un filo grosso e torbido, che si chiama bronzo, bisogna arrestare subito questa espansione di vapori, gettando dell’acqua sul fuoco, perchè il capitello potrebbe con quest’azione troppo viva essere lanciato da lungi, ed attaccarsi il fuoco alla caldaja, ed al laboratorio. La prima acqua-vite, che passa, sempre è la più forte: se si vuol metterla a parte, si leva la conca, quando si attenua, e si à subito dell’acquavite seconda, che si rettifica ripassandola, perchè non potrebbesi porre in commercio.

Per assicurarsi, che non passa più spirito, si getta del liquore sulla testa del capitello. Se il vapore non si accende da se solo, o presentandogli una candela, l’operazione è finita; si può cavare [p. 176 modifica]la vinaccia dal robinetto del tubo da scaricare, e ben nettare il lambicco, le parti che restano danno all’acqua-vite, che si deve rifare un cattivissimo gusto. Quando la distillazione è cominciata, non può essere interrotta, ma deve continuare la notte, malgrado gli accidenti che possono presentare i lumi tra le mani degli operaj, sulla cui prudenza è impossibile di contare. Ora, per evitare ogni pericolo, e i timori che deve avere un proprietario, bisogna attaccare un riverbero tanto alto, che l’operajo non possa arrivarlo.

I vini differiscono talmente tra loro, ch’è impossibile determinare in una maniera precisa la quantità di acqua-vite, che si deve ritirare da un’abbruciata. Nell’Angoumois, si ricavano in trenta volte da ventiquattro a ventisei pinte di acqua-vite prima, e trenta, quaranta della seconda. In Languedoc, da un’abbruciata a un dipresso eguale, si ricavano quaranta pinte di Paris di acqua-vite di prima qualità, ed altrettanta della seconda.

Per evitare le frodi nel titolo, ed avere per tutto la stessa maniera di operare, il consiglio nel 1755 pubblicò un decreto, che obbligava estrarre le acque-vite sino al quarto, compresa la guarnitura. Cioè ogni sedici boccali di acqua-vite forte, non ve ne sarebbero, che quattro della seconda. Così ogni volta che l’acqua-vite forte comincia a perdere, il fabbricatore sa colla sua misura quanta n’è entrata nella conca. Se sono venti pinte, se ne lasciano scorrere altre cinque, questo è cavare sino al quarto, e si conserva per ripassarla, l’acqua— vite, che viene dopo. Tutte le acque-vite, ottenute con semplice abbruciata, le quali [p. 177 modifica]conservano sempre un poco di asprezza, si stillano due; tre volte, tanto sole, che con vino, per farle perdere quel gusto spiacevole.


Distillazione dello spirito di vino.


Quand’anche gli usi moltiplici dello spirito di vino non assicurassero ai proprietarj il pronto smercio, non dovrebbero niente meno convertire in questa sostanza tutta la loro acqua-vite; perchè sotto questa forma esige un numero minore di botti; per il di lei piccolo volume è di un più facile trasporto, e le distillazioni, che à subite l’ànno talmente purificata, e disimbarazzata dai corpi estranei, che lungi dal ritenere la più piccola asprezza è divenuta più fina, e più odorosa. La miglior maniera di operare è quella di stillare a bagno-maria. Si riempie di acqua la caldaja, e si mette nella cucurbita la quantità di acqua-vite, che si giudica necessaria. Subito che l’acqua bolle, il liquido comincia a scorrere, e lo spirito di vino, che si ottiene è assai puro, e non è caricato che di una piccolissima quantità di olio essenziale. Ma questo metodo sgraziatamente non è il più usato, e gli si preferisce, sebbene più cattivo, quello di stillare a fuoco nudo.

L’operazione dev’essere condotta con molto lantore, ed attenzione, e il mastello continuamente raffreddato con nuova acqua, perchè senza questo l’acquavite, scorrendo con troppa rapidità per la forza del fuoco, s’infiamma, e produce un incendio, che si à gran pena ad estinguere. Si giudica [p. 178 modifica]della purezza dello spirito in molte maniere, delle quali ecco le principali.

Si mette in un cucchiajo di argento della polvere su cui si versa dello spirito di vino. Se dandovi fuoco, la polvere non s’infiamma, si può conchiudere, che predomina la parte acquosa: ma questa prova è talmente variabile, che il di lei successo dipende dai rapporti delle sostanze tra loro.

Si bagna nello spirito di vino una tela, che si accende, e che non si abbrucia, se non quando è ben purificata.

Ma il modo più sicuro, e costante consiste a versare, sopra l’alkali ben secco, dello spirito di vino, il quale non fa che bagnarlo, e non può sciogliere questo sale, come non contenga dell’acqua.


Distillazione delle fecce e dei sedimenti.


Per conservare la feccia, allorchè è sortita dal torchio si divide bene, e si rinchiude in botti otturate, e in vasi, che si ricoprono di un denso strato di terra, e si lasciano là sino al momento della distillazione: o piuttosto dopo averla posta in una tina, si bagna in maniera da umettare la massa, e distruggere le ultime porzioni del principio zuccherino, per cambiarlo in parti spiritose: ma bisogna che sia esattamente coperta per impedirne lo sprigionamento, e la volatilizzazione. Ambidue questi metodi non danno, che prodotti difettosi: bisogna trattare la feccia come se fosse vendemmia, ed aggiungervi tante libbre di miele, quanti barilotti di vino si sono ottenuti. Si scioglie il miele nell’acqua bollente, e si versa sopra la massa, e [p. 179 modifica]si ajuterà la fermentazione con tutti i modi indicati.

Questo vino piccolo, cavato dalla tina, si conserverà benissimo l’inverno in botti ben chiuse, dove non potrà che acquistare una maggiore quantità di spirito. Ma questo metodo di stillare le fecce non può essere vantaggioso, che nei paesi dove il vino è di un prezzo tanto alto, che non si può servirsene per fare acqua-vite. Il prodotto della distillazione del sedimento è poco preferibile a quello, che si ritira dalla feccia. Perciò questo processo non è impiegato, che dai fabbricatori di aceti di Paris.


Note