Commedia (Buti)/Purgatorio/Ai lettori

Ai lettori

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Purgatorio Purgatorio - Proemio

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A I   L E T T O R I





La publicazione del primo volume di questo Commento, seguìta appunto, quando in Italia si udirono le prime voci della probabilità di una vicina guerra, trovò nullameno in parecchi fogli periodici tale una lieta accoglienza, che ne riuscì a grato conforto per continuare fiduciosamente l’impresa. E nel vero come il giornalismo, occupandosi della nostra indipendenza, avria potuto trascurare la Divina Comedia dove tutto nella sua venustà e grandezza si pare uno degli elementi della nazionalità nostra; la favella? Dopo la Bibbia non è codesto il libro per noi più interessante? Dallo studio ed amore posto nel sacrato poema si può determinare il grado della coltura nella nostra penisola: imperocchè lettere, scienze ed arti si videro mai sempre di conserva sorgere e cadere. Infino dai tempi dell’Allighieri i due più grandi ingegni dopo lui; il Petrarca e il Boccaccio se ne mostrarono tanto caldi ammiratori, che il primo trascrisse di sua mano la cantica del Paradiso facendovi [p. vi modifica]delle assennate postille, e l’altro se ne porse esponitore al popolo fiorentino. Che se il secolo decimosesto ebbe a gloriarsi di Galileo, Raffaello e Michelangelo, noi non ci apporremo gran fatto se giudichiamo come non poco vi ebbero contribuito i sommi poeti di codesta età; l’Ariosto e il Tasso, i quali negli scritti loro tanta parte dei versi danteschi trasfusero, che a sè medesimi ed a lui ebbero accresciuta la rinomanza. Dal seme però gittato per questi bennati spiriti non si ricavò intero lo sperato frutto: perciocchè l’influenza spagnuola avendo accasciata la vigoria degl’intelletti, adulterò il concetto della nazionale letteratura, e così le ottime discipline eziandio forviarono. Ma potevano le menti italiche tenere lungamente questa mala via, la quale senza dubbio avrebbeci menato alla barbarie e traboccati nella più miserevole condizione? Il Graziani con le sue liriche ed il Varano colle visioni, rinvigoritisi alla scuola dantesca, mostrarono i primi quale sentiero si dovea prendere; ma le arcadiche sdolcinature, e le lettere virgiliane, dettate con la petulanza propria della setta, ne distolsero dalla onorata meta, finchè nuovi astri non comparvero nel ridente cielo d’Ausonia. Gasparo Gozzi, Giuseppe Parini, Vittorio Alfieri, Vincenzo Monti ed Ugo Foscolo ne illuminarono il novello cammino, che eglino stessi gloriosamente percorsero, seco traendo quanti del bello e del grande fossero capaci. Quanta adunque la nostra gratitudine per questi magnanimi, i quali ci ebbono rilevati e sul glorioso calle rimessi! Fu loro mercè che, risorto il culto dell’Allighieri, in Italia e fuori se ne multiplicassero le edizioni, e dovunque si cercasse agevolarne alla gioventù l’apprendimento. E qui potrà taluno ridire: Se già a trecento, o in quel [p. vii modifica]torno, sono giunte le varie stampe della Divina Comedia, che ci era egli bisogno di fornirne una nuova? E non bastava del Da Buti dare in luce il solo Commento? Se gli editori dell’attuale secolo, tranne quello di Londra (presso P. Rolandi 1842-1843, 4 vol. in 8.°) e pochissimi inoltre, non avessero quasi tutti l’uno ricopiato l’altro, punto o poco non si curando dei codici, ben camminerebbe la bisogna; ma noi ci siamo indotti a mandar fuori anche il testo per intero, arbitrando che senza il riscontro delle diverse lezioni si perverrà difficilmente a discernere quale più si approssimi al concetto del sovrano poeta. E a questo fine medesimo, oltre le varianti del codice magliabechiano segnate C. M., abbiamo pur quelle ell’antaldino C. A. riferite a piè di pagina; le quali ultime tralasciammo nella prima cantica, sperando che di giorno in giorno venisse in Italia stampato. Ora però che quel prezioso codice è stato acquistato in Inghilterra, temiamo che riusciranno vuote d’effetto le nostre speranze, e noi a tale ommissione sopperiremo, quelle più importanti riportando al termine del presente volume. D’un altra cosa eziandio vogliamo avvertiti i lettori, i quali, rinvenendo una certa differenza di grafia in questa cantica seconda, potrebbero sospettare o non forse l’avessimo alterata nella prima, o negletta in questa. Il che per fermo non si avvera in nissuna delle due: conciossiachè fedeli al proposito nostro che le scritture degli antichi (non tenendo in verun conto li sbagli dei copisti e di certe viete foggie di scrivere, come auctore, dimonstra, homo, Ioseph, scriptura, Statio, saxo, e simili che sole ci abbiamo arbitrato di ammodernare) si debbano tali e quali riprodurre, in tutte le parole del Commento [p. viii modifica]abbiamo ritenuta l’s in luogo della z al modo che si pronunzia a Pisa; donde si può dedurre che la copia di questo Riccardiano, essendo qui medesimo eseguita, vuolsi reputare altresì pregiabile per questo che la si potrebbe credere cavata dall’autografo del chiosatore. Delle noterelle poi qua e là collocate alcune sono volte ad indicare a’ giovani certe eleganze e peregrinità del volgar nostro, ed altre a chiarirne taluni vocaboli e forme secondo il gregge de’ pedanti introdotte o per licenza di poesia o per necessità di rima. La quale onta a sè e alla letteratura non avrebbero arrecato, quando avessero appreso come in sul nascere del nostro idioma siffatte maniere erano primigenie e spontanee; ma in processo di tempo molte caddero in disuso, o pure soffrirono dei cangiamenti. Tali cose ne è piacciuto premettere, affinchè ognuno rimanga persuaso del nostro intendimento; di giovare cioè alle amene lettere, alle quali offeriamo un testo che porge un senso agevole e chiaro in parecchi di quei luoghi resi difficili ed oscuri dalla imperizia dei glossatori. L’importanza di un cotal fatto si manifesterà per un po’ di raffronto che ne vogliano istituire gl’intelligenti, i quali perciò con meno di severità riguarderanno se qui o qua abbiamo offeso in errore; e l’esserci sempre noi ingegnati pel meglio sia quello che merito e grazie ne acquisti.


Da Pisa nel Gennaio del 1860.