Codice cavalleresco italiano/Libro I/Capitolo I

Offese

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Libro I Libro I - Capitolo II

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I.

Delle offese.

ART. 1.

Costituisce offesa tutto ciò che lede l’amor proprio, la moralità, i diritti o l’onore di un terzo, a seconda delle idee accettate e predominanti, nonchè delle leggi morali e civili della società nella quale vive l’offeso (in questo senso si pronunciò pure il Giurì d’onore di Milano, 18 febbraio 1892). Veggansi pure gli art. 3, 4, 31, 35.

Nota. — L’offesa si sente e si giudica a seconda della più o meno rigorosa pretesa del giusto e naturale, che ciascuno usa in rapporto a tutti gli altri, di essere valutato come persona.

Questo riconoscimento dell’entità personale costituisce il fondamento della vera stima dell’uomo, che è la sintesi dell’impulso di agire in conseguenza del proprio essere, della coscienza propria, della dignità personale, e del dovere morale di conservare immacolato il proprio onore.

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Siffatto sentimento non è calcolabile con elementi che non hanno rapporto con la dignità dell’uomo; ma è graduabile in ragione diretta del perfezionamento suo. La libertà di pensiero porta che per un individuo, avente un determinato ordine di idee, costituisce offesa ciò che per altri, avente differenti opinioni, diversa credenza, altre convinzioni, non lo è. L’offesa è tale quale si sente: e si sente in mille guise differenti, le quali dipendono dalla educazione e dall’ambiente in cui si vive. Da ciò la necessità che altri giudichi dell’offesa e della entità sua.

ART. 2.

Mancando, o venendo negata dall’offensore, o dai rappresentanti di questo, l’intenzione di offendere, decade ogni diritto a riparazione cavalleresca.

Nota. — La negata intenzione di offendere sarà sufficiente riparazione tutte le volte che la supposta o reale offesa non possa interpretarsi in modo lesivo, o quando non abbia portato lesione di sorta al carattere del supposto offeso.

Se l’offesa supposta o reale venisse negata, malgrado che questa abbia arrecato, o potesse arrecare nocumento al carattere del supposto o reale offeso, i rappresentanti di costui esigeranno qualche cosa di più della semplice negazione dell’offesa. E perciò, quando non si potesse ottenere quel «qualche cosa di più», la negazione dell’offesa dovrà essere considerata quale ampia ritrattazione dell’offesa supposta o reale, affinchè la deficienza del sentimento cavalleresco nell’offensore, supposto o reale, non abbia a porre l’offeso in condizioni moralmente inferiori a quelle di chi offese.

ART. 3.

Nelle offese con vie di fatto, nelle quali manchi l’intenzione di offendere, l’offeso può far valere i [p. 7 modifica]proprî diritti in linea penale o civile, a seconda dei casi.

Nota. — Questo articolo si riferisce in modo particolare alle aggressioni con vie di fatto, nelle quali, per errore di persona o per equivoca interpretazione dei fatti, un gentiluomo subisce l’offesa. Chi sbaglia si abbia il danno e paghi i cocci del malanno cagionato.

ART. 4.

L’intenzione di offendere può essere determinata dalla negazione dell’offesa, ma non dall’accettazione della sfida.

Nota. — Non si accettano sfide quando si ha la coscienza di non essere debitore di riparazione verso chicchessia; ed in tal caso la negativa dell’intenzione offensiva, non vale soddisfazione. Negando l’offesa, quando l’offesa veramente ci fu, si concede ampia riparazione (Art. 2) della ingiuria. Però, è sempre di spettanza e di obbligo dei rappresentanti delle parti di mettere in chiaro se vi fu o meno l’intenzione di offendere: e, al seguito delle conclusioni da essi dedotte e dall’esame della querela, pronunceranno di comune accordo, e senza partito preso, il giudizio atto a tutelare secondo ragione e giustizia l’onorabilità del supposto o reale offeso. Quindi, la nomina dei rappresentauti per rispondere alla domanda di riparazione non significa vera e propria accettazione di sfida, e tanto meno riconoscimento in chi sfidò della qualità di offeso; ma solamente un atto cortese di lealtà, col quale si lascia al giudizio di estranei la definizione del dibattito cavalleresco (v. n. all’art. 128).