XXXIII. — La Scoperta

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XXXII XXXIV

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CAPITOLO XXXIII.

LA SCOPERTA.

Eran vari giorni che Clelia. Silvia e John abitavano il Castello di Lucullo — ospiti d’Orazio e d’Irene — e non si accorgevano di starvi male. — Fra i compagni d’Orazio ve n’erano di ricchi — di nascosto dal governo ricevevano sussidi dalle famiglie di Roma e quindi potevano provvedere la loro nuova dimora di quanto abbisognava: — l’abbondante caccia della foresta — forniva ogni specie di selvaggina — e la galanteria dei nostri giovani romani, specialmente verso la perla di Trastevere, non era poca — e mi perdoni il bel sesso — per cui — vecchio come sono conservo una vera adorazione — benchè afflitta dell’assenza dell’amante che ella ama con tutta l’anima, la donna un po’ di galanteria l’accetta sempre volentieri — s’intende bene — senza far torto al lontano suo prediletto.

Clelia sarebbe stata felicissima d’avere seco il suo Attilio, anche a patto di star tutta la [p. 185 modifica] vita nella foresta; — Silvia, la buona Silvia — talora sospirava — incerta del destino del suo Manlio — e John? Oh! John poi era l’essere più felice di questa terra — Orazio lo aveva armato di una delle carabine prese ai briganti che assaltarono la carrozza di Giulia — e di più lo teneva come compagno inseparabile in tutte le sue escursioni di caccia.

Un giorno Orazio e John si trovavano nella foresta cacciando un cervo — John doveva fare la battuta ed allontanossi seguendo le istruzioni del suo compagno — Orazio rimase alla posta — le disposizioni d’Orazio furono efficaci — poichè dopo circa mezz’ora un grande cervo venne a pascere sulla sua posta — col primo tiro lo colpì — ma l’animale non cadde; allora Orazio lasciò andare il secondo colpo — e la belva diede un lamento e stramazzò.

Aveva appena Orazio scaricato i due tiri della sua carabina — quando un movimento dei cespugli lo fe’ accorto che qualche cosa s’avanzava verso lui dalla parte più folta del bosco. — Non poteva essere John — egli era troppo lontano ancora. — Un sospetto balenò alla mente d’Orazio ed un brivido involontario lo percorse nel sentire le due canne della carabina vuote. [p. 186 modifica]

Non s’ora ingannato: appena aveva posto il calcio dell’arme a terra per ricaricarla — un ceffo molto più somigliante a quello d’una tigre die d’un uomo — sbucò dalla macchia a pochi passi di distanza.

Sui valorosi — ancorchè colti all’improvviso — il timore non ha forza, e col pugnale alla mano — il nostro Coclite s’avanzava impavido contro l’apparizione — quando questa gli gridò: ferma! — con tanta autorità e sangue freddo — che ne fu sorpreso il nostro prude Orazio — e fermossi.

Armato da capo a piedi — il nuovo venuto aveva un aspetto veramente straordinario. — Un cappello puntato alla calabrese copriva il suo capo — irsuto di folta capigliatura bianca come la neve. — La barba bianca, sprizzata qua e là di qualche ciocca del primitivo colore — ed irta come quella d’un cignale, copriva l’intero volto ad eccezione degli occhi. — Eretta e posata su poderosa spalla — gli anni non eran stati capaci di piegare quella testa maestosa e selvaggia. — Sul largo suo petto teneva affibbiato un giustacuore di velluto - — stretto al cinto dall’indispensabile cartucciera. — Di velluto oscuro era pure il resto del vestito e dal ginocchio in giù — uose calzava elegantemente affibbiate. [p. 187 modifica]

«Io non ti sono nemico — Orazio» disse Gasparo. — poichè era egli stesso — «anzi io vengo ad avvisarti di un pericolo che ti sovrasta — e che potrebbe essere la tua e la rovina de’ tuoi compagni.

«Che non mi sei nemico» — rispose Orazio — «lo prova il tuo contegno — tu avresti potuto uccidermi se lo fossi — pria ch’io mi trovassi in istato di difesa — e so di più — che Gasparo sa servirsi asti bene della sua carabina.

«Sì;» rispose il bandito — «vi fu un tempo in cui di rado mi occorreva di tirare un secondo colpo al cervo ed al cignale — ed oggi stesso, benchè gli occhi miei comincino a fallirmi — io non starò indietro ad alcuno, quando si tratti di assalire un nemico. — Ma sediamo — devo narrarti cose importanti.»

Seduti sul fusto di una vecchia pianta rovesciata, Gasparo cominciò a favellare dei disegni della corte papale coadiuvata dal Principe C. — Narrò che lui stesso era stato inviato dal Principe per scoprire ove potevano trovarsi i liberali — ed infine che egli — Gasparo — bramoso di vendicarsi del go verno dei preti — offriva invece il suo concorso ad Orazio — colla sola condizione di esser accolto nella banda liberale. [p. 188 modifica]

«Ma voi avete molti delitti — mio povero Gasparo — se è vero ciò che si racconta di voi — e noi non potremmo accogliervi in nostra compagnia.»

«Delitti!» rispose altiero il bandito — «Io non ho altro delitto che di aver purgato la società d’alcuni prepotenti e dei loro sgherri. — il delitto d’aver soccorso gli oppressi ed i bisognosi. — E credete voi che se io fossi un miserabile delinquente; il governo dei preti avrebbe di me tanta paura — e che io sarei così generalmente amato dalle popolazioni?

«Il Governo mi teme perchè sa che io non temo di luì — come glielo provai in tanti incontri. — Il governo mi teme — perchè sa d’avermi vigliaccamente ingannato e tradito — e s’io ritorno alla testa de’ miei coraggiosi compagni — egli sa che gli farò pagar caro la sua malafede ed i suoi tradimenti. — Sì; — alcuna volta io mi son servito dell’avvocato Carabina per fare giustizia — ed ho la coscienza d? averlo sempre fatto conformemente ai dettati del diritto. — Posson dire lo stesso i preti?»

Qui giungeva John — ed Orazio pensò bene di marciare colla preda ed il nuovo compagno verso il castello, per provvedere agli avvenimenti che si preparavano.