Clelia/XXVII
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CAPITOLO XXVII.
IL DESERTO.
Torniamo alla bella omonima del superbo e valoroso Yacht ed ai suoi compagni di solitudine. — Orazio — siccome era convenuto con Giulia — accese un bel fuoco sulla spiaggia — appena fu notte — e con molta ansietà, stette per un pezzo osservando se compariva il palischermo che doveva condurre le donne a bordo. Ma l’arrivo istantaneo della bufera e l’agitazione conseguente dell’onde — lo persuasero ben tosto che era inutile pensare all’imbarco durante quella notte.
Orazio inoltre — benchè non fosse uomo di mare — s’era accorto prima ancora dell’imbrunire — che lo Yacht — ch’egli non aveva perduto di vista dopo uscito dal porto — si trovava tutt’altro che in istato d’inviare imbarcazioni alla costa; — anzi coll’imperversare della tempesta — egli temette per la salvezza del legno.
Dopo aver cercato un ricovero alle donne nelle rovine d’una vicina torre1 — Orazio si mise a percorrere in su ed in giù la spiaggia — con l’intento di prestar ajuto — se ne tosse stato d’uopo — a qualche naufrago. E non fu invano. — Fregandosi gli ocelli acciecati dagli sprazzi del mare e dalla pioggia che gli flagellavano il volto — parvegli scorgere sulla cresta di un maroso che brillò un istante nell’oscurità — qualche cosa di scuro che si sforzava di tenersi a galla. Questa scoperta spinse Orazio ad avvicinarsi vieppiù verso l’onda — e nell’andirivieni di questa — finalmente ei giunse ad afferrare un corpo umano che si moveva a stento. — Era il povero John che si dibatteva contro la morte. dopo aver lottato con sovrumani sforzi co’ flutti imperversanti.
Colse Orazio nelle robuste sue braccia il giovane Inglese e lo trasportò verso le donne — situate in un canto della torre — dove d’accordo si sforzavano ad alimentare un fuoco preziosissimo in quella disastrosa notte.
Era John una di quelle simpatiche fisonomie di giovine marinaro inglese — dagli undici ai dodici anni, però sviluppato e forte. — Lascio pensare con che amorevolezza lo accolsero le nostre Romane. — Lo spogliarono, lo asciugarono, lo coprirono dei loro abiti asciutti; — mancava il grog2 per il piccolo John, ma un fiasco d’Orvieto di cui Orazio aveva provvisto le viaggiatrici — vi supplì dovutamente — e John dopo due ore coi suoi abiti asciutti — refocillato ed in sì bella compagnia — avea dimenticato Yacht, tempesta, il mondo — e russava colla testa sopra un sasso ed i piedi vicini al fuoco — come se fosse in un letto di piume.
Orazio dopo aver percorso la spiaggia un gran pezzo ad onta dell’infuriante tempesta — col timore e la speranza di poter essere utile a qualch’altro disgraziato — tornò alla torre e procurò anch’egli d’asciugarsi i panni e rifocillarsi.
Clelia accantucciata colla madre in un angolo — col capo appoggiato in grembo di lei — avea pur essa ceduto alla stanchezza ed alla gioventù — beandosi in un profondo sonno.
Silvia non dormiva — sonnecchiava. — Coll’indole sua delicata e gentile — essa era stata troppo scossa dalla sequela di così terribili avvenimenti. — Madre affettuosissima, sosteneva il caro peso della sua Clelia — e stava immobile per timore di svegliarla: — un pensiero affannoso le annuvolava la fronte piena di mestizia: — «Che sarà del mio Manlio in questo finimondo?» E poi — quasi un rimorso la colpisse di consacrare i suoi pensieri unicamente allo sposo — aggiungeva: «e la povera Aurelia?!» — E sonnecchiava affannosamente!
Non così il Romano. — Egli sapeva d’esser troppo vicino alle volpi pretine di Porto d’Anzo perchè s’abbandonasse al riposo. — Seduto sopra un gran sasso delle ruine ch’egli avea avvicinato al fuoco — lo alimentava di quando in quando vigilando.
Il suo mantello lo avea lasciato alle donne che se ne coprivano — tutti i pezzi delle vestimenta — bagnati nelle sue escursioni sulla spiaggia — erano stati asciugati l’un dopo l’altro e rivestiti — la sua cartucciera di cuojo, maestrevolmente lavorata, cingeva alla cintura — due revolver pendevano ai suoi fianchi nelle rispettive fonde — il suo pugnale a larga lama — da potersi usare come arma di guerra e coltello da caccia — sporgeva obliquamente dalla cartucciera ov’era immerso per metà — e la fida carabina — ch’egli avea minutamente ispezionata pria di sedersi — posava adagiata alla sua sinistra.
Era vestito di velluto oscuro — con bottoni inargentati. — Le uose affibbiate fino al ginocchio — coprivano un piede comparativamente piccolo e ben fatto — e contornavano graziosamente la polputa sua gamba. — Al collo cingeva una cravatta di seta nera — ed un elegante fazzoletto di raso rosso sciolto circondava le sue magnifiche spalle annodato sul petto. — Un cappello nero di forma quasi calabrese — un po’ inclinato sulla destra — copriva il capo — di cui si sarebbe onorato Marte, e compieva l’abbigliamento.
Quando il chiarore della fiamma da lui ravvivata risplendea sull’abbronzata e maschia fisonomia del liberatore. — un maestro dell’arte del bello — chi sa cosa avrebbe dato, per poter ritrarre in quel marziale aspetto il simbolo della forza, del coraggio e dell’eroismo!
E qual delitto era — se la sensibile Silvia — sonnecchiante, tra una beccata e l’altra — contemplava il suo protettore — con occhi spalancati — e dimenticava — per un momento solo — il suo caro Manlio battuto dalla tempesta — e forse in quell’istante — non troppo dolcemente stretto dalle braccia d’Aurelia?
Dican pur ciò che vogliono gli ermafroditi moderni — inginocchiati davanti al menzognero simulacro d’una teocrazia buffona — o dinanzi ai gradini del trono d’uno spergiuro straniero — brutto di sangue concittadino, e nostro! Chiamino pure briganti — come il prezzolato dal prete — il mio Orazio Coclite. — Ove il suo brigantaggio si confini a voler l’Italia una — e sia sempre pronto a menar le mani contro l’impostura - — e contro lo straniero — io dirò sempre: Ecco il mio uomo! Ecco il mio eroe! Ecco l’Italiano com’io lo sogno — e come diverrà quando non sia più educato dai settari di Lojola.
«Signora!» disse Orazio — con una voce — che fe’ rimescolare ancor più la nostra buona Silvia — tanto essa era dolce e filiale — Signora! il giorno non deve trovarci in queste macerie — e subito che vi sia tanta luce da poter mettere il piede sicuro sul sentiero della foresta — noi dobbiamo internarci — allontanandoci dalla sede dei nostri nemici. E Manlio, Aurelia, e Giulia?» disse la donna volta dolorosamente col pensiero a quei cari. —
«Essi» rispose Orazio — «sono probabilmente lontani in alto mare — e speriamo fuori di pericolo. - — Nonostante pria d’internarci nel bosco — ricercheremo la spiaggià — ove è meglio che non si trovino. —
«Dio, li liberi!» esclamò la donna colle mani giunte e gli occhi rivolti al cielo «Dio li liberi! — d’esser stati gettati alla costa da sì furioso uragano!»
Un silenzio assoluto succedeva a queste parole. — Orazio che non cessava di spiare l’apparire dell’alba — quando s’accorse che le donne ci potevan vedere tanto da non mettere in fallo il piede sul terreno si alzò e disse: «E tempo di porci in viaggio.»
Silvia scosse dolcemente la sua Clelia; — col calcio della carabina fu destato John — ed in pochi minuti i quattro — con Orazio alla testa - — uscivan dalle macerie — dirigendosi verso tramontana e seguendo l’orlo della macchia — non lontani dalla costa.
La tempesta avea rimesso della sua furia — ma non abbastanza perchè le donne non ne fossero disturbate nel procedere, — per buona sorte la pioggia avea cessato — ma i frangenti del mare — inviavano i loro sprazzi sul volto dei viaggiatori in guisa da incomodarli assai. Pur bisognava scoprire il lido pria di addentrarsi nel bosco ed Orazio salito su d’un monticello di sabbia con dietro John — spingeva l’acuto suo sguardo — su tutta l’estensione del litorale — già abbastanza rischiarato dal giorno. — Fortunatamente nulla scoprì che dasse indizio di naufragio — in quello sconquasso spumante dell’onde infuriate sulle deserte e desolate spiaggie romane. Tornati alle donne, ch’erano rimaste in una specie di avvallamento del terreno — Orazio disse: «I nostri amici sono fuori di pericolo — tocca ora a noi a fare altrettanto.» — €osì dicendo prese a destra — per un sentiero a lui conosciuto e s’internò nel deserto — accompagnato dalla silenziosa comitiva.