XVIII. — L'Esilio

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XVII XIX

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CAPITOLO XVIII.

L'ESILIO.

Era la mattina del quindici Febbrajo. e la campagna di Roma era illuminata dai primi raggi del sole. —

Quel solenne deserto — ove un dì sorgevano città cospicue — oggi è seminato di macerie — e presenta all’attonito passeggiero un’immagine di desolazione e di morte. — I miserabili abitatori che s’incontrano in quelle steppe — riflettono sulle loro gialle e squallide fisonomie — i patimenti e la mal’aria; — pianure immense — ove una volta prosperavano numerose popolazioni — sono oggi percorse da bufali selvaggi e da cignali. — I giardini — le ville, — gli orti, che alimentavano di legumi e di frutta i due milioni d’abitatori dell’immensa Metropoli — sono sostituiti da macchie e paludi pestilenziali.

Qua e là alcune croci di legno — attestano al viandante gli omicidi frequenti — a cui la miseria e l’ignoranza pretina — trascinano [p. 96 modifica] i discendenti del gran popolo — oggi ridotti ad una masnada di fanatici e di briganti. —

I vestigi delle vie consolari che solcavano per tutti i versi quelle pianure — e che ricordano il passaggio delle immortali legioni — appena si scorgono tra i bronchi e le rovine che le ricoprono. — Siccome l’anima degli abitatori — il prete padrone1 ha inaridito quel terreno fecondo. —

In quella mattina — da una carrozza giunta al crocicchio di casa Marcello — scendevano quattro donne che noi conosciamo — e s’incaminavano verso l’abitato. — Con che gioja si abbracciassero — padre, madre e figlia — lo lascio pensare a voi — dopo tanti disagi e tanti pericoli. — Giulia e Aurelia con gli ocelli umidi di lagrime contemplavano silenziose tanto affetto, e maledicevano in cuor loro chi aveva cagionato sì fiero rammarico a questa onesta famiglia.

Camilla istupidita — osservava l’insolito spettacolo - — e non era capace. di formare parola. — Se avesse potuto indovinare la fine atroce del suo tentatore; chi sa non fosse [p. 97 modifica] ritornata in sè — allora non comprendeva nulla.

Marcellino dopo aver egli pure girato lo sguardo curioso — dall’uno all’altro — dal bellissimo volto di Giulia — al non men bello di Clelia — si dirigeva verso la stalla — per mugnere la vaccarella — ed offrire un bicchiere di latte fresco alle simpatiche visitatoci.

Dopo mille domande e risposte e ragguagli — Manlio volto a Giulia diceva: «l’esilio dunque ci resta — non ci vedo altra, via. — Questo governo infernale finirà presto — non ne dubito — ma intanto — dopo tutto quel ch’è accaduto — bisogna sottrarci agli ultimi parossismi del prete sanguinario — oggi tutto astio e vendetta. — »

E Giulia, — «io sono del vostro parere: — sottrarvi alle persecuzioni di quegli scellerati — e non perder tempo — Dio farà il resto — e certo in breve potrete tornare nella vostra Roma ringiovanita e redenta.»

Il modo di mettersi in salvo fu presto trovato dalla coraggiosa straniera. «Io,» essa soggiunse, «ho il mio yacht a Porto d’Anzo.»

— Il mio yacht! — ma questa parola sarà inintelligibile a chi legge — se uomo — e più ancora se donna italiana. — Il mio [p. 98 modifica] yacht! — Una signorina col suo yacht! — Ma che razza d’arnese è questo yacht; che portano le fanciulle inglesi ed offrono agli amici?

Lo yacht non è un arnese — ma una nave, su cui l’inglese ricco e coraggioso — solca gli Oceani — e passeggia il mondo tutto — come fosse la propria casa.

I francesi, gli spagnuoli, gli italiani non hanno yacht — benchè essi presumano di essere nazioni marittime. — La loro educazione è troppo molle. — Ricchi, si danno alle lussurie delle metropoli — e non avventurano l’effeminata loro esistenza sul mare tempestoso — e perciò l’Italia, la Spagna, la Francia non contano i loro Rodney, i Jervis, i Nelson.

L’inglese — anche millionario — repugna dall’ozio — compra un yacht — e si spinge sull’Oceano — a cercare le tempeste. — Egli non teme i calori della zona torrida — nè i ghiacci del polo. — Veleggia, corre, s’istruisce — e diventa robusto di corpo e di mente. — Con tali figli — Albione — signoreggia il mare da secoli. — Co’ suoi baluardi di legno — essa rese inviolabile e sacra la sua terra d’asilo — e si può sperare — che coi nuovi baluardi di ferro essa [p. 99 modifica] saprà sfidare qualunque tentativo d’invasione straniera.

Dunque, «Ho, il mio yacht a Porto d’Anzo, diceva Giulia, «noi andremo là — e spero di potervi imbarcare inosservati — e veleggiare con voi verso il solitario.»

  1. Tutta la Campagna di Roma appartiene oggi a pochi Monsignori e Prelati — che l’abbandonano per immergersi nelle crapule della capitale.