Clelia/LX
Questo testo è completo. |
◄ | LIX | LXI | ► |
CAPITOLO LX.
ROMA.
Il due-dicembre — il despota della Senna — l’Imperatore-menzogna — il nemico di tutte le libertà, il protettore di tutti i tiranni — dopo diciassett’anni di perverso dominio — colla stessa ipocrisia — con cui la tenne schiava — liberò la Niobe delle nazioni, la vecchia metropoli del mondo — la dominatrice — la martire — la più grande delle glorie umane!
Egli fu il continuatore della vendetta universale.
Totila alla testa delle feroci sue orde conquistava Roma — la distruggeva — ne sterminava la popolazione — ed era questa giustizia di Dio! «Morrà di ferro chi uccide col ferro!» Perchè i romani vollero dominare il mondo? — perchè dalle fertili contrade — assegnate loro dalla natura — vollero scorrere tanta parte di mondo — aggiogando sino le nazioni le più remote — derubandole — disertandole?
I popoli della terra portarono per contraccambio ai loro tirarmi servitù, rovine, miserie.
Il continuatore degli Attila e dei Totila — non men depredatore di loro — gettossi lui pure sulla facile preda — e palpitò di gioja il fallace suo cuore — mentre la stringeva tra le ugne!
Che bell’appannaggio al crescente principino!... Parodia del gran zio — ci vuol altro! — Alle grandi opere, si richiede un alto cuore: — ed il figlio dell’ammiraglio olandese1 sortì cuore piccino, e codardo! Eppure in tutti gli atti della sua vita, si scorge la presunzione d’imitare lo zio — ma nella stesso tempo si vede la mancanza di energia. di genio — per l’esecuzione.
I barbari antichi conquistarono e fecero un mucchio di rovine — della superba conquistatrice. — il moderno barbaro» — il devoto camuffato da gesuita — non distrusse, non ruinò — ma considerò roba propria la grande preda. — Poi, indebolito dalle lascivie e dagli anni, — scosse sino alle fondamenta l’insanguinato suo trono — dalle fallite imprese americane — ove avea tentato — il malvagia — di dare il colpo di grazia al santuario della libertà del mondo — alla grande Repubblica — edificando alle sue porte un impero austriaco — per farsi perdonare dai coronati — la sua origine plebea — l’apostata della Rivoluzione, mutò in parte pensiero.
Distruggere la libertà sulla superficie della terra per ottenere la concessione d’un posticino al banchetto della tirannide!! Povera Francia! a che fosti ridotta!
E il Governo Italiano ha accettato l’eredità dell’imperatore-menzogna. Far il birro al Negromante del Vaticano, — impedire ai Romani di liberarsi — obbligarli a soggiacere al governo del S. Uffizio. — Rinunziare alla capitale d’Italia — proclamata dallo stesso Governo italiano — votata e sancita dal suo Parlamento — ecco l’opera del Governo.
Io credo che governo più codardo sia impossibile trovare nelle storie antiche e moderne — e bisogna che sia proprio destino dell’umanità che si debba trovare accanto al bene tanto male, tante umiliazioni, tanta perversità!
Ho detto «accanto al bene» — poichè non si può negare essere l’unificazione italiana un miracolo di bene, ad onta degli sforzi fatti da governi e da sètte più o meno nere, per trattenere, e far retrocedere questo povero paese, impoverendolo — pervertendolo — con ogni modo di depredazioni e di menzogne.
Governo! si può egli chiamar governo quest’agenzia di corruzione!?
Grazie ad essa il popolo è ridotto: ad una metà comprata per aggiogare l’altra — tenerla nel servaggio — e nella miseria!
Salve! valoroso popolo del Messico! Oh! io invidio la tua costanza — e la tua bravura — nella liberazione del tuo bel paese dai mercenari del despotismo! —
Accettate — coraggiosi nipoti di Colombo — dai vostri fratelli d’Italia — un saluto alla vostra libertà redenta! —
A voi s’imponeva la stessa tirannide — e la spazzaste — come la fantesca spazza le immondizie. — Noi soli!... garruli — pieni di pretenzioni — vani — millantando glorie — libertà — grandezze!... e legati per il collo... imbavagliati! — troppo liberi per le ciarle — ma inetti a compiere quella ricostituzione politica — che sola può darci il diritto di sedere accanto alle libere nazioni.
Tremanti dinanzi al despotismo d’un abbietto tiranno straniero — noi non osiamo — per paura che ci castighi — passeggiare per casa nostra — dire al mondo che siamo padroni di noi — strapparci dal fianco il dardo che perfidamente ci ha conficcato.
E più umiliante — più degradante ancora è la condizione che il despota straniero ci ha imposta — lasciò la preda che l’anatèma del mondo gli vietava — e ne disse: Codardi! guardatela — fate da birri in vece mia — ma non la toccate!
Oh! Roma! patria dell’anima! tu, sei veramente la sola! l’eterna! Al disopra d’ogni grandezza umana — anche oggi... sotto qualunque degradazione! — Il tuo risorgimento non può esser che una catastrofe — da mettere a soqquadro il mondo!
- ↑ Si dice il Bonaparte III figlio di un Ammiraglio Olandese.