Ciuffettino/Capitolo XXVI
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XXVI.
E la mattina dopo approdava su la riva rocciosa di un’altra terra sconosciuta. Legò la zucca con una cordicella ad uno scoglio aguzzo che pareva un piòlo, e si arrampicò su le rupi per vedere un po’ di paese. Quando giunse in cima alla rupe più alta, Ciuffettino aveva la lingua fuori; ma, rallegrato dalla superba vista, non sentì la stanchezza e si mise a far dei salti da... macacco.
— Che bell’isola! che bell’isola! e che bella città!... che bella città!...
Infatti, sotto i raggi del sole le cupole e i minareti di una immensa città, distesa mollemente su di un piano cinto di verdi boscaglie, scintillavano e gettavano lampi multicolori, come se fossero stati fatti di brillanti e di smeraldi. Che delizia degli occhi!... Ciuffettino, sbalordito e contento, continuò a ballare e a far capriòle finchè non si sentì stanco. Allora cavò di tasca il cartoccio di mandorle, e si pose a mangiare, sempre balbettando, fra un boccone e l’altro:
— Che bell’isola... che bella città...!
Quando ebbe finito tutte le mandorle, si precipitò giù dalla rupe, e si mise a correre verso la città misteriosa. Aveva preso un sentiero largo e pulito, e trottava come un ciuchino, a testa bassa... E per poco non dava del capo nel timone di un carro che veniva innanzi pian piano, tirato da due buoi pigri e sonnolenti.
Colui che guidava il carro, stando seduto su di un mucchio di fieno, si mise a ridere sommessamente, a piccoli scatti: e poi, dopo un lungo sbadiglio, mormorò:
— Che cosa fai, piccolo imbecille? non ti vergogni di andare a piedi a quel modo? Vedi, tra poco ti rompevi la zucca...
Ciuffettino, stupefatto, guardò prima l’uomo che sonnecchiava, e poi i buoi che sembravano lì lì per chiudere gli occhi e dormire... e poi il cane che taceva un pisolino in cima al carro... In ultimo gridò con voce squillante:
— Io non mi vergogno di andare a piedi: voi, piuttosto, dovreste guidare un po’ meglio i vostri buoi... — O se no, perchè non correte a mettervi a letto?
L’uomo fece un piccolo gesto di disgusto, e si tappò le orecchie, sbadigliando ancora.
— Uh! come strilli! Mi sono alzato adesso - sospirò. - Non sai, poverino, che in questo paese è proibito di correre? Ti compatisco perchè devi essere un forestiero...
— Sì, sono un forestiero, ma il mi’ babbo non mi ha detto mai che ci fossero dei paesi nei quali non si potesse correre...
— Tu sei nel regno dei Fannulloni, piccino mio: e bisogna che tu ti uniformi alle leggi vigenti nel regno: me ne dispiace per il tuo babbo...
— Ah! io sono nel regno dei Fannulloni? Cioè, nel paese in cui i ragazzi non sono obbligati nè a leggere, nè a scrivere, nè a far di conto? cioè, nel paese in cui è permesso di dormire metà della giornata e ruzzare durante l’altra metà? Dove non ci sono nè maestri, nè precettori? Dove non ci sono nè libri, nè quaderni di scuola?...
L’uomo del carro, ridacchiando, accennava di sì con il capo.
— Ma allora, - gridò Ciuffettino, mentre il cuore gli si gonfiava per la contentezza - sono arrivato proprio nel paese che sognavo da tanto tempo!... Che bellezza! Altro che paese de’ Sapienti, altro che impero de’ Pappagalli!... Il regno de’ Fannulloni! Ecco il mio ideale...! Ah!... caro il mi’ omo: io non mi muovo più di qui, neanche se mi pigliano a calci. A proposito, scusate: come si potrebbe fare per arrivare alla città, senza andare a piedi? Mi sento quasi stanco...
— Prima c’era un tram elettrico - disse quello del carro, accomodandosi meglio sul suo letto di fieno ma adesso l’hanno levato perchè correva troppo... Eh, se ci andassi io, ti ci porterei...
— Quante miglia ci sono?
L’uomo fece un atto con le spalle come a dire.
— E chi lo ha mai saputo?
— Basta, pazienza, andrò a piedi - mormorò Ciuffettino, imbronciato - che noia!
— Ohe... dico... bada che non ti acchiappino le guardie... I forestieri còlti in flagrante delitto di camminare a piedi, senza uno speciale permesso del re, sono condotti dinanzi al tribunale supremo... per essere giudicati severamente secondo le leggi del paese... Solamente i nativi dell’isola, per una concessione speciale, possono andare a piedi... purchè vadano adagio adagio...
— Anche qui... come fra i pappagalli... ci sono delle leggi curiose!... - esclamò Ciuffettino: e, dopo una breve riflessione: - Basta, speriamo che non mi prendano: diavolo!... non ci mancherebbe altro! Arrivederci, quell’omo!...
Ma costui dormiva già la grossa, ed i buoi si erano sdraiati in terra per ischiacciare un sonnellino. Il cane aveva ancora un occhio semi-aperto: ma lo chiuse del tutto di lì a poco. Ciuffettino si limitò a salutare il cane.
Ripigliando il viaggio verso la capitale del regno dei Fannulloni, dapprima mosse le gambe con lentezza: ma istintivamente, per il desiderio di arrivare presto, prese a poco a poco un’andatura più svelta, e poi più svelta, e poi più svelta, e finì col tornare a correre a perdifiato come prima...
— Alto là!... - gridò una voce da vecchio baritono sfiatato, presso le porte della città.
— Buonanotte! - pensò Ciuffettino - son capitato nelle grinfie delle signore guardie!... Ora sì che sto fresco...
— Ah! tu correvi? - proseguì la voce - Sei forestiero?
L’uomo che parlava era sdraiato sotto ad una specie di palanchino, sostenuto da un piccolo elefante che piegava le ginocchia.
— Sì, sono forestiero - dichiarò Ciuffettino.
— Hai il permesso del re?
— L’ho lasciato a casa...
— Allora, scusa tanto, ma devi venir con noi...
— E dove?
— In prigione!...
Ciuffettino pianse e si disperò, ma i suoi pianti e le sue disperazioni non approdarono a nulla: l’uomo dell’elefante, che era anche il capo delle guardie di Sbadigliopolis, capitale del regno dei Fannulloni, aveva già reclinato il capo sul petto e si era messo a russare come un contrabbasso. Una guardia, che veniva dietro l’elefante, lemme lemme, gettò una corda al collo di Ciuffettino e lo trascinò seco.
Il nostro ragazzo fu gettato in una tetra carcere, dove attese il giudizio del tribunale supremo.
Nei casi ordinarî un accusato doveva attendere almeno sette od otto mesi prima di subire il primo interrogatorio: ma trattandosi di un forestiero, il re, che era anche, non si sa per qual motivo, capo del tribunale, fece un’eccezione alla regola: e chiamò dinanzi alla corte augusta il ragazzo dopo soli tredici giorni di carcere preventivo.
Sul banco dei giudici, tanto per cambiare, tutti dormivano. Solo il re, in un seggio speciale, si sforzava di tener gli occhi aperti per vedere l’accusato.
Ma ci vedeva poco, l’illustre Pipino il losco, re dei Fannulloni. E quindi, svegliando il cancelliere, che russava ai suoi piedi, mormorò:
— Dov’è, questo forestiero?
— E’ lì... in mezzo alla stanza...
— Ah! Ecco, ecco, ecco... mi pare... ma che cos’è? Uno scarafaggio?
— Prego! - strillò Ciuffettino, inviperito. - Io sono un ragazzo, e tutti dicono che sono anche simpatico!
— Uhm, sarà - fece Pipino il losco, bevendo un bicchierino, tanto per togliersi al torpore che lo invadeva tutto - ma a me sembri proprio uno scarafaggio... Basta, che cosa ne dicono i miei egregi colleghi della Corte?
I giudici russavano alla più bella.
E il re dei Fannulloni riprese, contento:
— Dicono di sì: e adesso, passiamo ai capi d’accusa.
Ma, per l’appunto, anche il cancelliere si era addormentato; e il processo fu rimandato al giorno dopo.
Nella seconda seduta il sommo Pipino domandò al nostro amico:
— Come ti chiami?
— Mi chiamo Ciuffèttino, e sono stato imperatore dei Pappagalli.
— Allora, tu sei un pappagallo!... fatti vedere un po’ meglio...
— Ma no, sono un ragazzo! o quante volte glie lo debbo dire?
— Bah! per tutti gli illustri Pipini della mia dinastia!... io non capisco nulla!... E i miei colleghi della Corte?
I giudici russavano alla più bella. E il re dei Fannulloni riprese, contento:
— Dicono di sì. Perchè allora, se sei un pappagallo, vai girando il mondo a piedi?...
— E dàgli! ma scusi se glie lo dico, bisogna proprio aver le orecchie foderate di prosciutto!... sono un ragazzo, e cammino perchè ho due gambe...
— Per gli dèi!... potevi dirmelo prima. E il permesso, ce l’hai?
— E dove vuole che l’abbia?
— Allora, sei incappato nell’articolo trentamilasettecentoventicinque del nostro codice penale...
Il sommo giudice ficcò il naso tra i fogli di un un grosso libraccio legato in cartapecora, e nella ricerca tormentosa perdette un paio d’ore buone. Poi, rialzando il capo con lentezza, e stropicciandosi gli occhi, bisbigliò:
— Ehi... accusato... dove sei? perchè non rispondi... ehi!
Ciuffettino non poteva rispondere perchè, a furia di vedere dormire gli altri... si era addormentato anche lui.
Allora il re dei Fannulloni, rivolgendosi alla Corte, dichiarò:
— L’accusato non dice nulla. Approva. Io, per mio conto, visto che si tratta di un pappagallo, userei molta indulgenza... Che cosa ne dicono gli egregi colleghi della Corte?
I giudici, per fare una cosa nuova, russavano alla più bella.
E Pipino il losco riprese tutto lieto:
— Dicono di sì: ed ora, passiamo agli altri capi d’accusa.
Ma per l’appunto, anche questa volta, il cancelliere si era addormentato come un ghiro: e il processo fu rimandato al giorno dopo.
Dopo otto giorni di quel lavoro, il re dei Fannulloni decise di troncare il processo e di mandare assolto l’accusato per insufficienza di prove. Inoltre, facendo mostra di una magnanimità e di una dolcezza senza esempi, re Pipino disse al nostro amicone:
— Siccome nello svolgersi del processo tu hai dimostrato una certa intelligenza e un certo spirito, e siccome mi piaci perchè sei una piccola scimmia bianca - era tanto che desideravo una scimmia ammaestrata!... così ti offro di restare al mio palazzo in qualità di buffone...
Ciuffettino, lusingato dalla generosa offerta, ringraziò commosso e baciò le mani del buon re dei Fannulloni. Poi chiese:
— E che cosa debbo fare per fare il buffone, maestà?
— Nulla, mio caro: nel mio regno non si fa mai nulla... Non lo sai? il codice parla chiaro...
— Capisco... - mormorò il nostro eroe, tirandosi la punta del naso con aria grave e riflessiva.
— Ti va, scimiottino? - aggiunse carezzevolmente il monarca.
— Si figuri, maestà! Bisognerà dormire dalla mattina alla sera... nevvero?
— Certo!
— E non si dovrà mai prendere un libro in mano....?
— Eh! diamine!
— E nè pure una penna...
— L’uso della penna è facoltativo nel mio regno.
— Oh! maestà... come sono felice... - voleva cominciare, entusiasmato, Ciuffettino; ma il re, còlto da un impeto di sonno - sfido, pover’omo! non chiudeva mai occhio! - si era raggomitolato nel suo seggio, aveva curvato il capo fin su le ginocchia, attaccando un bafarellino...
Il ragazzo si tacque, e aspettando il risveglio di Pipino il losco, si divertì a far delle oche di carta con un trattato di commercio che era scivolato dalle mani del grande monarca di Sbadigliopolis.