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— E dove vuole che l’abbia?
— Allora, sei incappato nell’articolo trentamilasettecentoventicinque del nostro codice penale...
Il sommo giudice ficcò il naso tra i fogli di un un grosso libraccio legato in cartapecora, e nella ricerca tormentosa perdette un paio d’ore buone. Poi, rialzando il capo con lentezza, e stropicciandosi gli occhi, bisbigliò:
— Ehi... accusato... dove sei? perchè non rispondi... ehi!
Ciuffettino non poteva rispondere perchè, a furia di vedere dormire gli altri... si era addormentato anche lui.
Allora il re dei Fannulloni, rivolgendosi alla Corte, dichiarò:
— L’accusato non dice nulla. Approva. Io, per mio conto, visto che si tratta di un pappagallo, userei molta indulgenza... Che cosa ne dicono gli egregi colleghi della Corte?
I giudici, per fare una cosa nuova, russavano alla più bella.
E Pipino il losco riprese tutto lieto:
— Dicono di sì: ed ora, passiamo agli altri capi d’accusa.
Ma per l’appunto, anche questa volta, il cancelliere si era addormentato come un ghiro: e il processo fu rimandato al giorno dopo.
Dopo otto giorni di quel lavoro, il re dei Fannulloni decise di troncare il processo e di mandare assolto l’accusato per insufficienza di prove. Inoltre, facendo mostra di una magnanimità e di una dolcezza senza esempi, re Pipino disse al nostro amicone:
— Siccome nello svolgersi del processo tu hai dimostrato una certa intelligenza e un certo spirito, e siccome mi piaci perchè sei una piccola scimmia