Chi l'ha detto?/Parte seconda/80f

Parte seconda - § f) Altri paesi

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Parte seconda - 80e Parte terza
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f) Altri Paesi.


Più brevemente ci sbrigheremo di poche altre frasi, nate presso altre nazioni che la Francia e la Germania e riuscite a diventare popolari fra noi. Dell’ Inghilterra non ne ho più che una sola:

1905.   Hold fast!1

Il 4 agosto 1918, nel quarto anniversario dell’entrata in guerra della Gran Bretagna, quando già la potenza militare tedesca accennava a fiaccarsi, il ministro britannico Lloyd George, rivolgeva al popolo inglese un messaggio per incitarlo alla resistenza: «The message which I send to the people of the British Empire on the fourth anniversary of their entry into the war is: hold fast!... I say: hold fast!, because our prospects of victory have never been so bright as they are to day.... But the battle is not yet won.... Having set our hands to the task we must see it through till a just and lasting settlement is achieved. In no other way can we ensure a world set free from war. Hold fast!», cioè. «Il messaggio che io rivolgo al popolo dell’Impero britannico in occasione del quarto anniversario della sua entrata in guerra, è questo: tenete fermo!... Io dico: tenete fermo! perchè mai come oggi la prospettiva della vittoria è stata così brillante.... Ma la battaglia non è incora vinta.... Avendo intrapreso un compito, dobbiamo continuarlo sino a che non si sia giunti ad una soluzione equa e duratura. In nessun altro modo possiamo assicurare al mondo la liberazione dalla guerra. Tenete fermo!». [p. 697 modifica]

L’America mi dà i famosi

1906.   Quattordici punti.

Essi sono, come tutti sanno, i principii essenziali del programma di pace come venne esposto da Tomaso Woodrow Wilson. 28° presidente degli Stati Uniti di America, nel discorso da lui letto al Congresso di Washington l’8 gennaio 1918. È noto che uno di questi punti, il 9°, si riferisce all’Italia: «A readjustment of the frontiers of Italy should be effected along clearly recognizable lines of nationality». cioè, «La sistemazione delle frontiere dell’Italia sarà fatta secondo le linee di nazionalità chiaramente riconoscibili»; - frase ambigua ed antigiuridica sulla quale basò il Presidente le sue irriducibili ostilità alle rivendicazioni italiane: però il pensiero primitivo del Wilson sulle aspirazioni nazionali dell’Italia e sulla interpretazione di questo punto nono, è illustrato nell’interessante volume di Justus, V. Macchi di Cellere all’ambasciata di Washington. Firenze, Bemporad, s. a. (1920). pag. 170 e segg. Ai quattordici punti il Presidente stesso aggiunse poi altri 4 punti in un successivo discorso, tenuto pure dinanzi al Congresso l’11 febbraio 1918. Racconta il colonnello Repington, critico militare del Times, in un suo arguto e interessante diario, che Clemenceau ebbe una volta una spiritosa boutade per Wilson: «Mi dà ai nervi cui suoi 14 punti, quando lo stesso buon Dio si è contentato di dieci!»

1907.   Lafayette, nous voici!

parole che si attribuiscono al generale John J. Pershing, comandante dell’esercito degli Stati Uniti in Europa, il quale le avrebbe dette al suo arrivo in Francia con i primi scaglioni di truppe americane, visitando la tomba di Lafayette al cimitero di Piepus a Parigi: ma il Collier’s Weekly, a quanto riferiva il Cri de Paris del 26 gennaio 1919, le rivendicò al colonnello Stanton. È necessario di ricordare che il march. di Lafayette recatosi nel 1779 con una nave armata in America, vi combattè gloriosamente per la indipendenza americana? e che gli yankees si [p. 698 modifica] piacevano di dire che con la loro partecipazione alla guerra accanto alla Francia pagavano il debito di riconoscenza contratto in quell’occasione verso la patria di Lafayette?

La formula della pace

1908.   Senza annessioni né indennità.

e quella dell’autodecisione dei popoli ci vengono ambedue dalla Russia bolscevica: ma fu Lenin (Nicola Ulianoff detto Lenin) che ve le portò dalla Svizzera nell’aprile 1917. Però non erano creazione di lui, egli le aveva tolte di peso dal primo Manifesto di Zimmerwald del settembre 1915 che porta le firme di numerosi internazionalisti, fra le quali anche quella di Lenin. Il Manifesto di cui non ho potuto avere il testo originale ma soltanto una traduzione, diceva: «Nostro dovere è di lottare per la pace - per una pace senza annessioni nè indennità di guerra. Una tale pace è soltanto possibile se ogni proposito di violare i diritti e la libertà delle nazioni sia condannato. Non ci deve essere nessuna incorporazione violenta nè di tutti nè di parte dei paesi occupati. Nessuna annessione nè aperta nè mascherata e di conseguenza nessuna unione economica forzata.... Il diritto delle nazioni di disporre di sè medesime deve essere il principio fondamentale immutevole delle relazioni internazionali».

Del resto già il 28 marzo 1917 a Pietrogrado il Consiglio dei deputati operai e soldati, anche prima del ritorno di Lenin, aveva votato per la prima volta in Russia la formula Nè annessioni nè indennità. Lenin poi riuscì a persuadere Miliukoff, ministro degli Esteri nel primo ministero provvisorio della Russia rivoluzionaria, ad accettare (benchè con molte riserve) la formula la quale divenne poi il punto principale del programma disfattista dei massimalisti russi. Il 23 giugno dello stesso anno i socialisti del Kaiser aderirono a Stoccolma alla formula di Lenin, il deputato Erzberger la fece approvare dal Reichstag il 19 luglio 1917 e il 9 ottobre il cancelliere dell’Impero tedesco, dott. Michaelis, vi aderiva esplicitamente (Chéradame, Les bénéfices de guerre de l’Allemagne et la formule boche «Ni annexions ni indemnités», Paris, 1917). Ancora il 26 ottobre (v. st.) del 1917, alla seconda seduta del Congresso Conila Soviet, Lenin leggeva un lungo «Proclama ai popoli e ai governi di tutti i paesi belligeranti» che cominciava in questi [p. 699 modifica] termini: «Il governo degli operai e dei contadini, sorto dalla rivoluzione del 24 e del 25 ottobre e che si appoggia sui Soviet dei delegati degli operai, dei soldati e dei contadini, propone a tutti i popoli belligeranti e ai loro governi di cominciare immediatamente le trattative per una pace giusta e democratica. Il governo intende per pace giusta e democratica.... la pace immediata senza annessioni, cioè senza conquista di territori stranieri, senza annessioni forzate di altre nazionalità, e senza contribuzioni....» (Antonelli, La Russie bolchéviste, pag. 164): e concetti simili erano confermati nel proclama degli 11 novembre 1917, emanato dal Congresso medesimo.




  1. 1905.   Tenete fermo!