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[1679-1680] | Sollievo, riposo | 561 |
Ma ci sono molti, la cui vita è un continuo riposo, senza che conoscano mai fatica alcuna; ringrazino la Provvidenza, che è stata verso di loro sì benigna, e ripetano le parole di Titiro e Melibeo:
1679. Deus nobis hæc otia fecit.1
Al contrario molte anime travagliate cercano invano tregua alla ostilità della sorte, e il loro primo luogo di riposo è al tempo stesso la loro ultima dimora. Perciò «quelquefois l’épitaphe des morts était un adieu qu’on leur faisait adresser aus choses de la terre, surtout aux moins certaines: l’espérance et la fortune. L’Anthologie grecque nous en a conservé une de ce genre, dont, au xvie siècle, plus tôt même peut-être, on fit un distique latin, et qui sous cette forme devint des plus populaires. Gil-Blas lui-même la savait. Il en fit l’inscription placée à la porte du joli château de Lirias, où las de ses aventures, qui ne fatiguaient que lui, il était venu s'enterrer» (Fournier, L’Esprit des autres). L’epigramma greco è nella Epigrammatum Anthologia Palatina del Dübner (Paris, 1864-72, vol. II, p. 10, lib. IX, ep. 49); in latino se ne hanno diverse versioni, ugualmente famose, di cui quella proposta dall'eroe del romanzo di Le Sage come iscrizione del suo castello (Gil Blas, lib. IX, cap. x in fine) e inesattamente riferita dal Fournier è la seguent :
1680. Inveni portum; Spes et Fortuna valete.
Sat me lusistis: ludite nunc alios.2
La lezione del Fournier, che differisce da quella di Le Sage soltanto nel secondo verso: Nil mihi vobiscum: ludite nunc alios, si accosta più esattamente all’originale greco, ed è riferita nei Mémoires di Casanova (ed. di Parigi, 1882, vol. IV, cap. 9, pag. 297) dove è attribuita al suo Mentore che a torto ne parla come «la traduction de deux vers d’Euripide.» Vedasi una erudita nota