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[1683] Sollievo, riposo 563


Questo Belacqua che il prof. Alfonso Bertoldi, nel suo commento al canto dantesco che da lui prende nome, giustamente chiama «il personaggio più leggiadramente comico e amabilmente beffardo di tutto il poema» (Giornale Dantesco, vol. XI, 1907, pag. 151), si sa ora, mercè i documenti pubblicati e illustrati da Santorre Debenedetti nel Bollettino della Società Dantesca Italiana, N. S., vol. XIII, 1906 (pag. 222: Documenti su Belacqua), che era un popolano fiorentino, Duccio di Bonavia, del popolo di S. Procolo, dove possedeva una casa presso al palagio di Folco e Beatrice Portinari.

Ho cercato dove Aristotile avesse detto la sentenza così opportunamente e argutamente citata da Belacqua, ma in questa forma precisa non l’ho trovata, quindi la ritengo, come tante altre, una sentenza riassuntiva delle dottrine filosofiche dello Stagirita. Infatti Aristotile pensa che non si possa acquistare la scienza senza la quiete e l’ozio dalla vita attiva; e che siano sempre da preferirsi quest’ozio agli affari, la vita contemplativa all'attiva, le arti e le discipline teoriche alle pratiche, come largamente è esposto nell’Etica a Nicomaco, lib. X, cap. 7 e nella Metafisica, lib. I, cap. I ; là dice che la felicità (εὺδαιμουία) sta nella quiete e nell’ozio dell’anima (ὲυ τῆ σχολῆ), qua dice che se le scienze matematiche sorsero e fiorirono presso gli Egiziani, lo si deve agli ozi di cui presso quel popolo potevano godere i numerosi sacerdoti.

Un riposo dalle fatiche e dai disinganni del mondo si trova sempre nella quiete dei campi, cosi decantata da Orazio nei versi:

1683.   O rus, quando ego te adspiciam! quandoque licebit,
Nunc veterani libris, nunc somno et inertibus horis
Ducere sollicitae jucunda oblivia vitae!1

(Orazio, Satire, lib. II, sat. VI, v. 60-62).
  1. 1683.   O campi, quando vi rivedrò! quando potrò, ora fra i libri degli antichi, ora nel sonno e nel riposo, obliare dolcemente questa vita affaccendata.