Chi l'ha detto?/Parte prima/42

Parte prima - § 42. Libertà, servitù

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§ 42.

Libertà, servitù



786.   Dolce dell’alme universal sospiro,
Libertà, santa dea....

(Monti, Il fanatismo, v. 1-2).

invoca col Monti ogni cuore umano, che

787.   Libertà va cercando, ch’è sì cara,
Come sa chi per lei vita rifiuta.

(Dante, Purgatorio, c. I. v. 71-72).

Stolto perciò chi ne fa getto:

788.   Alterius non sit, qui suus esse potest.1

Questo verso è nella favola De ranis (imitazione di quella notissima delle rane che chiedono un re) fra le Esopiane di un anonimo medievale, che nella ediz. di Bipontum, 1784, unitamente alle favole di Fedro, trovasi a pag. 199, n. XXI, v. 22. Quest’anonimo fu creduto da alcuno fosse un certo Galfredo; ma Hervieux (Les Fabulistes latins, I, pag. 434) l’ha identificato in Gualtiero Inglese, cappellano di Enrico II re d’Inghilterra, e poi arcivescovo di Palermo. Vedi nella cit. ediz. dell’Hervieux, to. II, pag. 395. Alcuni, come il Binder nel Novus Thesaurus adag. latin., attribuiscono il verso anzidetto all’Owen: ma egli non fece che appropriarsi la non sua sentenza, mutando il suus in tuus, in un epigramma cortigianianesco ad Enrico principe di Cambria. Il motto medesimo fu l’impresa di Paracelso.

Il verso:

789.   Non bene pro toto libertas venditur auro.2

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si legge nella fav. De lupo et cane, altra delle Fabulæ Æsopicæ dello stesso autore antico, LIV, v. 25 (ed. Hervieux, to. II, pagina 412), ove questo verso è seguito dall’altro:

Hoc cæleste bonum præterit orbis opes.


Tuttavia non mancano coloro che fanno volontario getto di questo tesoro, e seguono l’esempio di Nemorino nell’Elisir d’Amore, opera comica di Felice Romani, musica di Donizetti (a. II, sc. 7), il quale

790.   Vendè la libertà, si fe’ soldato.

A proposito del quale verso corre sulle bocche di molti l’aneddoto di quel cantante (credo fosse il Ronconi) al quale essendo stato ingiunto in Roma dalla pecorina censura ecclesiastica di cangiare nel Gridando libertà dei Puritani (già cit. al num. 732) libertà in lealtà, volle strafare cambiando poi di suo la frase dell’Elisir e dicendo con grande scandalo dei superiori e grandissima ilarità del pubblico:

Vendè la lealtà, si fe’ soldato.


Ma coloro che hanno fatto mercato sì sciocco, proveranno per triste esperienza quale e quanto sia stato il loro errore: e si potrà ripeter loro la dolorosa profezia fatta al Divin Poeta dal suo antenato:

791.        Tu proverai sì come sa di sale
          Il pane altrui, e com’è duro calle
          Lo scender e ’l salir per l’altrui scale.

(Dante, Paradiso, c. XVII, v. 58-60).

Quanti sentirono la trista verità di questi versi! cui si può porre accanto l’altra sentenza di Seneca: Omnium quidem occupatorum conditio misera est: eorum tamen miserrima, qui ne suis quidem ocencupationibus laborant; ad alienum dormiunt somnium, ad alienum ambulant gradum, ad alienium comedunt appetitum; amare et odisse, res omnium liberrimas, jubentur (De brevitate vitae, § XIX).

Agli antichi non era sfuggito nemmeno un altro aspetto doloroso della vita servile, che era espresso in questa sentenza: [p. 255 modifica]

792.   (Villicus) Ne plus censeat sapere se, quam dominus.3

(M. Porcio Catone, De re rustica, cap. V, 3).

Finchè il soffio di libertà, che ha vivificato l’Europa civile, non ebbe rotto i ceppi secolari nei quali languivano sotto cieche e oppressive dominazioni le moltitudini popolari, queste vivevano come le dipingeva il poeta:

793.              Fidi all’infame gara
          Di chi più alacre a opprimere
          O chi ’l sia più a servir.

Così rampognava il Berchet gli italiani del suo tempo nella romanza Le Fantasie, p. V; ed il Manzoni, compiangendo la sorte degl’italiani dei secoli di mezzo (pur troppo non molto dissimile da quella delle età più tarde), che dalle contese dei diversi dominatori non traevano che lutti, rovine e accrescimento di servitù, così li ammonisce:

794.         Il forte si mesce col vinto nemico;
     Col novo signore rimane l’antico;
     L’un popolo e l’altro sul collo vi sta.

(Adelchi, coro dell’atto III).

Oggi i tempi sono, senza dubbio, mutati: le nuove idee fanno il loro cammino, ed ogni giorno:

795.         A battesimo suoni o a funerale.
     Muore un Brigante e nasce un Liberale.

(Giusti, Il Delenda Cartago, str. 2).

Più rettamente si leggeva in alcune vecchie edizioni:

Muore un codino e nasce un liberale.

Ma anche prima che l’alba del risorgimento politico sorgesse per l’Italia, in questa si ira risvegliata la coscienza di un popolo degno di altri destini; già alla line del Settecento l’Alfieri [p. 256 modifica] poteva dire degli italiani nel sonetto XVIII del Misogallo (20 novembre 1792, in Firenze):

796.   Schiavi or siam, sì; ma schiavi almen frementi.

Fra le conquiste della nuova età, tengono non ultimo posto, accanto alla libertà politica, altre libertà accessorie: la libertà di coscienza, per esempio, e la libertà commerciale. Questa è espressa in tutta la sua maggiore latitudine dalla formola:

797.   Laissez faire, laissez passer!4

parole che divennero il grido di guerra dei libero-scambisti e che sono attribuite a Jean Claude de Gournay, ministro del Commercio in Francia nel 1751, che in quella massima riassunse le dottrine fisiocratiche dell’economista Quesnay e avrebbe con essa dato un’interpretazione più larga e scientifica alla frase già detta da Legendre a Colbert: Laissez-nous faire. Il Gournay soleva ripetere queste parole ad ogni occasione, ma non le scrisse in nessun luogo delle sue opere: esse divennero popolari soltanto dopo che Adamo Smith le citò nella sua opera (pubbl. nel 1776): Inquiry into the nature and causes of the Wealth of Nations.

Invece la libertà di coscienza può tenere a programma la celebre sentenza:

798.   In necessariis imitas, in dubiis libertas, in omnibus charitas.5

La paternità di questo dettato fu soggetto di lunghe controversie. I Riformati lo dissero di S. Agostino e sotto il nome di lui infatti corre comunemente; ma sarebbe inutile di cercarlo nelle opere del vescovo d’Ippona, poichè egli non lo scrisse mai: nè maggior fondamento ha l’opinione di coloro che l’attribuiscono a Filippo Melantone. Esso invece si trova con qualche variante nella Parænesis votiva pro pace ecclesiæ ad Theologos Augustanæ Confessionis pubblicata fra il 1621 e il 1625 (secondo altri, fra il 1627 e il 1635) da Rupertus Meldenius, e così suona: [p. 257 modifica]Si nos servaremus in necessariis unitatem, in non necessariis libertatem, in utrisque charitatem, optimo certe loco essent res nostræ; e in forma non molto dissimile in altro opuscolo polemico di un dottor Gregorio Francke (che si vuole sia la stessa persona del Meldenius) intitolato: Consideratio theol. de gradibus necessitatis dogmatum Christianorum (Francof., 1628). Ma fu proprio il Meldenius o il Francke il primo a dirlo? Non ne sono sicuro: come non sono sicuro che veramente Madama Jeanne Roland de la Platière (nata Phlipon), condotta al patibolo dai rivoluzionari del Terrore (1793), salutasse la statua colossale della Libertà, ai cui piedi si levava la ghigliottina, esclamando:

799.   Oh Liberté, que de crimes on commet en ton nom!6

Un’altra versione le attribuisce invece questa frase meno solenne: Liberté! comme on t’a jouée!

Ma si suol dire che la libertà sia come la lancia di Achille, che sanava le sue stesse ferite; quindi, nonostante gli eccessi ai quali può dare origine, essa è sempre tesoro inestimabile per gli individui come per i popoli. Fortunati gl’Inglesi che sanno goderne con tanta savia larghezza, e possono giustamente dire di sè:

800.   Britons never shall be slaves.7

ch’è il secondo verso del ritornello del celebre inno nazionale inglese composto da James Thomson: Rule Britannia! per l’atto II, sc. 5 dell’Alfred, come avremo occasione di dire più avanti. È veramente l’Inghilterra il paese classico della libertà, anche più della Francia, non ostante le grandi e altisonanti parole

801.   Liberté, Égalité, Fraternité.8

Nel 1848, il primo proclama che il Governo Provvisorio francese indirizzò al popolo (24 febbraio) terminava con queste parole: «La Liberté, l’Égalité et la Fraternité pour principes, le Peuple [p. 258 modifica] pour devise et mot d’ordre, voilà le gouvernement démocratique que la France se doit à elle-même et que nos efforts sauront lui assurer.» Ed il 26 febbraio, lo stesso Governo Provvisorio dichiarava che sulla bandiera tricolore si sarebbe scritto: République Française, e: Liberté, Égalité, Fraternité, «trois mots qui expliquent le sens le plus étendu des doctrines démocratiques.»

Dunque il motto Liberté, Égalité, Fraternité fu il motto ufficiale della seconda Repubblica: abolito naturalmente dal secondo Impero, fu ripreso dalla Repubblica attuale di cui tornò ad essere il motto ufficiale.

Ma già nel 1848 si credeva generalmente che queste tre parole fossero state il motto anche della prima Repubblica, anzi il motto ufficiale della Rivoluzione Francese, e ancora oggi tale è l’idea di molte persone, ma a torto, come è provato dal prof. Aulard il quale ha tracciato la storia di questo famoso motto in due esaurienti articoli (La devise “Liberté, Égalité, Fraternité”) pubblicati nella Revue politique et littéraire (Revue Bleue), 29 août et 5 septembre 1908, pag. 260, 296. Nè la Rivoluzione francese dell’89 nè la prima Repubblica ebbero mai veri motti ufficiali: le parole Égalité, Liberté comparvero ufficialmente per la prima volta nelle monete da 5 e da 3 soldi in bronzo coniate nell’agosto 1792 e il trinomio Liberté, Égalité, Fraternité in una «opinione» (voto, ordine del giorno) della Société des Amis des Droits de l’homme et du citoyen, altrimenti detto Club des Cordeliers, deliberata il 29 maggio 1791, nella quale si proponeva che dell’uniforme dell’esercito nazionale facesse parte una placca da portarsi sul cuore con le tre parole suddette.

In questi stessi articoli dal sig. Aulard si suggerisce come inventore della formula

802.   Salut et Fraternité.9

che fu in uso come formula di saluto, nella corrispondenza pubblica e privata al tempo della Rivoluzione, il rappresentante del popolo Pierre-J.-B. Auguis, in missione in Vandea nel maggio 1793. Tornando al motto Liberté, Égalité, Fraternité, la Francia [p. 259 modifica] vittoriosa l’importò fra le popolazioni vinte, le quali non l’accettarono senza resistenza, più spesso manifestata col sarcasmo. Una canzone popolare napoletana del tempo della reazione del 1799 (ricordata dal D’Ancona, Poesia e musica popolare italiana nel secolo XIX, in Ricordi ed Affetti, Milano, 1902) diceva:

     È venuto lo Francese
          Co ’no mazzo de carte ’mmano
                Liberté,
          Égalité, Fraternité....
          Tu rrubbi a mme, io rubbo a tte.

E anche l’ultimo verso è diventato popolare! e come!...

  1. 788.   Non sia di altri chi può essere di sè solo.
  2. 789.   Non vi è oro che basti a pagare la libertà.
  3. 792.   Il villano non pensi di saperla più lunga del padrone.
  4. 797.   Lasciate fare, lasciate passare!
  5. 798.   Nello cose necessarie unità, nelle dubbie libertà, in tutte carità.
  6. 799.   O Libertà, quanti delitti si commettono in tuo nome!
  7. 800.   I Britanni mai saranno schiavi.
  8. 801.   Libertà, uguaglianza, fratellanza.
  9. 802.   Salute e fratellanza.