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l’arte, quanto al genio di improvvisare in quel momento era certa di possederlo. Pensava che forse non c’era nessuno che in dati momenti della vita non abbia sentito un bisogno prepotente d’essere un grande artista, o un grande poeta: anzi il poeta e l’artista, grandi come forse nessuno è mai stato al mondo, le pareva dovessero esistere realmente dentro di noi in momenti simili, e che facessero sforzi giganti per svincolarsi e espandersi; ma in generale non trovavano l’uscita, perchè mancavano gli organi, o non erano abbastanza perfetti. Allora pensava che il povero genio imprigionato piangesse attraverso i nostri occhi mortali per sollevare così il suo dolore, o si riaddormentasse per sempre. Qualcuno tra i più fortunati riesciva qualche volta a metter fuori uno de’ suoi pensieri, una sola di quelle immagini, e creava, senza saperlo, una meraviglia.

Ma lei non era di queste creature privilegiate; nei momenti supremi piangeva, e nient’altro.

Finalmente s’avvicinò alla scrivania per leggere qualche cosa, prima di andare a letto.

Ma che voleva dire quella lettera piegata in triangolo, insidiosamente discreta, bugiardamente candida, che spiccava sul panno verde della scrivania, come una lapide sull’erba del cimitero?