Cenni biografici e ritratti d'insigni donne bolognesi/Mea Mattugliani
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MEA LATTUGLIANI
Cantando eccelsi fatti aa mille a miile |
Nella culla di coloro «Che quanto durerà l’uso «moderno-Faranno cari ancora i loro incbiostri (1)» sorsero accese di estro poetico molte illustri donne d’ogni virtù esempio. Toccavansi i due secoli decimo quarto e quinto; fresca ricordanza serbavasi, che appunto in Bologna, tutto alla poesia avesse volto l’animo suo il gran Cantore di Laura, quando fra le concittadine dei «... due» Guido che già furo in prezzo (2)» riſulgeva per senno, una gentildonna, il cui nome di Bartolomea era per vezzo da ognuno cangiato in quello di Mea. Sposa, per quanto sembra, a Michele Mattugliani, o Mattujani, dalla patria onorato come spettavagli (3) e pel proprio merito e pel lustro del casato (4), ella, avvenente e dotta, non poteva essere che distinto ornamento delle danze, delle giostre, dei banchetti con che il I. Giovanni Bentivoglio festeggiava i lieti eventi che spandevano qualche raggio di gioia sulla breve signoria da lui della patria tenuta. Quindi non sa rebbe difficile adottare l’idea di un moderno spiritoso scrittore bolognese, il quale immagina che in tali feste ammirata Mea dal giovane Carlo Cavalcabò ( per mire politiche, dallo zio, signore di Cremona, inviato alla corte Bentivolesca ) di lei ardentemente innamorasse; ma non essendoci dato rintracciare sulle patrie memorie un sol cenno di ciò; lasciando al romanziero l’intessere con vivaci episodi un dilettoso racconto; noi, ligi al vero, salteremo a pie’ pari a tener parola dei versi, che, non preda dell’oblio a cui soggiacquero e i natali, e i primi anni di lei, sotto ogni aspetto caramente la ricordano a tutta Italia qual saggia e illustre matrona.
Carlo Cavalcabo elevavasi nel 1405 a signore de’ Cremonesi, godendosi gli onori che la scelta società suol tributare alla potenza, e lasciando che il popolo si avesse nelle feste che gli offriva un compenso dei vantaggi che questo sogna in tali incontri. A tante felicitazioni gioiva il cuore del nuovo signorotto, mai presago dovesse perdere in breve vita e dominio. Ed anzi, perchè un virtuoso amore non si ammorza per scorrere di tempo o lontananza, an che in si lieto momento ebbe l’animo rivolto alla virtuosa poetessa Bolognese, che si è detto conoscesse alla corte del Bentivoglio, e indirizzolle una lettera in terza rima spirante riverenza ed affetto.
La Mattujani notò in quel foglio le lodi somme onde la onorava il gentil cavaliero, non meno che le fervide di lui espressioni. Ella, non disdegnosa, senza ostentare virtù, volle insegnarla; e prese a rispondergli in pari metro ma con dignitosa riverenza, con maggior maestria (5) coi più sublimi concetti. Le cento terzine della dotta epistola di Mea, spirano grazie, soavità, e spronano alla rettitudine. Enumera dapprima i titoli del Cavalcabò e n’esalta il casato; ma essa espone, non adula. Sempre dignitosa, modesta sempre, lo ringrazia delle lodi, se ne chiama im meritevole, dice di trovare in quelle un eccitamento a vieppiù apprendere, e invoca le deità del Parnaso perchè l’aitino a condegnamente rispondergli. Poi, ond’egli co nosca come la virtù siale a caro ed il vizio in orrore, con vasta erudizione magnifica ella la memoria di molte donne che le sacre e le profane pagine ci commendano di castità esempio; e, la sagace Mea, con disdegno inveisce contro quelle di turpe vizio lordate. Non lascia quindi dall’invi tare ad opre generose lo stesso signore di Cremona con queste terzine.
Ma se vuoi aver dentro al tuo cor pace |
Sicché tu possa a’ tuoi perpetuare |
Ma particolar menzione meritano le ultime terzine, colle quali la poetessa si fa a torre ogni lusinga all’adoratore.
Al mio lungo sermon priego perdona |
È dono del Creatore uno svegliato ingegno, forza spesso dell’educazione il coltivarlo, ma resta alle proprie voglie guadagnarsi il vanto di volgerlo al bene e divenire di bello e caro esempio ai posteri, o viceversa, questo stesso dono dirigendo al male, farsi oggetto che unito all’ammirazione si abbia il loro disprezzo.
Giudichi il lettore qual memoria lasciasse di sè Mea Mattujani.