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MEA MATTUGLIANI 135


del Bentivoglio, e indirizzolle una lettera in terza rima spirante riverenza ed affetto.

La Mattujani notò in quel foglio le lodi somme onde la onorava il gentil cavaliero, non meno che le fervide di lui espressioni. Ella, non disdegnosa, senza ostentare virtù, volle insegnarla; e prese a rispondergli in pari metro ma con dignitosa riverenza, con maggior maestria (1) coi più sublimi concetti. Le cento terzine della dotta epistola di Mea, spirano grazie, soavità, e spronano alla rettitudine. Enumera dapprima i titoli del Cavalcabò e n’esalta il casato; ma essa espone, non adula. Sempre dignitosa, modesta sempre, lo ringrazia delle lodi, se ne chiama im meritevole, dice di trovare in quelle un eccitamento a vieppiù apprendere, e invoca le deità del Parnaso perchè l’aitino a condegnamente rispondergli. Poi, ond’egli co nosca come la virtù siale a caro ed il vizio in orrore, con vasta erudizione magnifica ella la memoria di molte donne che le sacre e le profane pagine ci commendano di castità esempio; e, la sagace Mea, con disdegno inveisce contro quelle di turpe vizio lordate. Non lascia quindi dall’invi tare ad opre generose lo stesso signore di Cremona con queste terzine.

Ma se vuoi aver dentro al tuo cor pace
Fa sol, che le virtù faccian ritegno
Ne’ tuoi pensieri, e fa ciò che a lor piace.

Voglio, che queste sol ti faccian degno
D’esser signore, ed ogni di innalzare
Sol per amore, e crescere il tuo regno

  1. Quadrio. Storia e ragione d’ogni poesia.