Cara Speranza/Suor Maria/II

Suor Maria

II

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Suor Maria - I Suor Maria - III

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II.


Verso la metà di dicembre Carlo cominciò a non parlar più d’altro che del Natale. Andrea, tornando dal lavoro, lo vedeva far capolino dall’uscio socchiuso, col visino roseo pel freddo, cogli occhi lucenti dalla gioia.

Aspettava il nonno, ansioso di parlare, e gli si precipitava incontro, cominciando a discorrere tutto ansimante prima d’essere a portata della voce.

— I ragazzi della scuola mettono la scarpa sotto il focolare la notte di Natale, ed il Bambino scende giù dal camino tutto vestito d’oro, con un gran paniere d’oro pieno di strenne. Metteremo anche noi, nevvero, le scarpe sotto il focolare? Ma soltanto le mie, perchè ai nonni il Bambino non porta nulla. [p. 81 modifica]

Da qualche giorno Andrea aveva tutte le membra infreddolite, e tossiva. Ma, alla vista del bimbo tutto vispo e contento, si rianimava, parlava anche lui della strenna di ceppo, per informarsi dei desiderii di Carlo ed appagarli poi; almeno nel limite del possibile, perchè l’immaginazione del fanciullo faceva certi voli da mettere in pensiero anche un nonno milionario.

Sognava una carozzona con due cavalli vivi; una barca grande, da poterla metterla sul Naviglio ed andarci dentro...

Però, quando il nonno, per condurlo ad idee più pratiche, gli parlava di cavallini di legno, di soldatini di piombo, il bimbo si esaltava ugualmente per quelle inezie come pei suoi grandiosi castelli in aria.

Organizzavano il programma della loro festa di Natale, ed il pranzo, che il [p. 82 modifica]fanciullo doveva combinare, per metterci tutte le cose che gli piacevano meglio. Ogni giorno pensava una nuova lista di piatti insensati, che il nonno approvava sempre.

Ma l’infreddatura d’Andrea, invece di guarire, andava peggiorando, gli toglieva l’appetito ed il sonno, lo prostrava. Carlo non capiva gran cosa, ma soffriva di vedere il suo vecchio a quel modo, e di mangiar solo.

Una sera era tornato dalla scuola eccitatissimo per le belle cose che aveva vedute nelle botteghe dei pasticcieri e dei salumai; era più chiacchierino del solito, e redigeva un menu di pranzo per Natale, in cui entravano un gran maiale intero con dei fiocchi rossi sul muso e sulla coda, un pasticcio fatto come il Duomo, e tutte le sontuosità che i bottegai mettono in mostra per tentare i ricchi. [p. 83 modifica]

Andrea si dava da fare intorno alla pentola per nascondere le lacrime copiose che gli piovevano dagli occhi.

Quel giorno appunto, aveva cominciato a sentire al fianco destro un dolore pungente, che era andato aumentando d’ora in ora.

Si contorceva, si mordeva le labbra per non gridare; ma lo spasimo era tale che lo faceva piangere.

Vi sono azioni eroiche, scritte nelle storie, che non hanno costate le sofferenze inaudite, i prodigi di coraggio, che costò ad Andrea la cucinatura di quella minestra.

Sperava di resistere finchè il bambino si fosse addormentato. Ma quando si accostò alla tavola per versare il riso nella scodella, quello sforzo lieve gli strappò un grido di dolore.

Carlo era già meravigliato del suo [p. 84 modifica]silenzio, fu sbalordito addirittura da quel grido, e sopratutto dalle lacrime che gonfiavano gli occhi del vecchio.

Non aveva mai visto piangere un adulto, rimase impaurito.

Il nonno gli appariva così differente dal solito, ed il dolore ha sempre in sè qualche cosa di tanto solenne, che il fanciullo si sentì preso da una soggezione tutta nuova. Non osava parlare: guardava timidamente il suo vecchio compagno, e non gli reggeva l’anima di mettersi a mangiare.

Finalmente il male si fece così violento che il pover’uomo si buttò attraverso il letto, gemendo:

— Ah, non ne posso più. Chiama qualcuno.

Carlo uscì tutto tremante ed andò a bussare all’uscio della stanza vicina. Fece un grande sforzo, per rivolgere la parola [p. 85 modifica]a quella gente che gli metteva soggezione.

— Il nonno sta male; piange.

— Che cos’ha? domandò la Margherita.

Ma Carlo era già scomparso.

Ella corse nella stanza d’Andrea, gli rivolse due o tre domande, a cui il vecchio potè rispondere soltanto con un gemito, poi ordinò a suo marito d’andare in cerca del medico.

Era una buona donna, ma ciarlona, e molto rozza. Mentre applicava dei pannicelli caldi alla parte indolorita dell’infermo, borbottava:

— È in causa di quel ragazzo che vi siete maltrattato così. Vi logorate la vita per fargli fare il signore.

E volgendosi a Carlo gli gridava:

— Vedi? È per colpa tua che il nonno è malato. Purchè tu abbia da mangiare [p. 86 modifica]e da bere, eh? E che il povero vecchio s’ammazzi al lavoro, non importa...

Carlo si stizziva dell’ingiustizia di quei rimproveri. Non capiva che colpa avesse lui di quella malattia del vecchio. Ne era invece molto crucciato, e non aveva fatto nulla di cui il nonno avesse dovuto rimproverarlo. Cercava di connettere l’idea del suo mangiare e bere, coll’ammazzarsi dell’altro al lavoro; ma non gli riusciva. Guardò la sua minestra intatta, e disse come per giustificarsi:

— Non ho neppure mangiato io.

— Ecco, i ragazzi non pensano che a mangiare; ma c’è altro a fare ora, che dar da mangiare a te; ribattè la Margherita, prendendo quella scusa per una insinuazione.

E tirò via a dire, che i bambini sono tutti egoisti: “e poi, che costrutto si [p. 87 modifica]cava dai sacrifici che si fanno per loro? Dell’ingratitudine; appena mettono i primi peli al mento si guardano intorno a cercar moglie, ed i poveri vecchi...

Era il caso d’un suo figliolo, che le aveva tolte le illusioni materne, ed essa lo rimproverava a tutti i ragazzi, ne faceva una regola sconsolante, per sfogare la sua pena in qualche modo.

Il medico trovò che il male era grave; si trattava d’una pleurite acuta, ed era urgente di trasportare il malato all’ospedale la sera stessa.

Quando Carlo vide sollevare di peso il suo nonno, e metterlo nella portantina, dopo quanto aveva detto la Margherita pensò che fosse una risoluzione sua di allontanare il vecchio da lui, e la accusò d’ingiustizia e di crudeltà.

Quella notte, solo nel letto in cui aveva sempre dormito col suo vecchio pa[p. 88 modifica]rente, ebbe dei sogni agitati. I vicini, dalla stanza accanto, lo udirono singhiozzare nel sonno, e la Margherita dichiarò che bisognava dargli sulla voce, perchè non avesse a far scene che finirebbero per farlo ammalare anche lui.

Ed il mattino entrò presto a pigliarlo, lo tirò per forza in casa sua, mezzo vestito e mezzo da vestire, e lo buttò a sedere dinanzi ad una scodella di polenta.

L’intenzione era benevola; ma Carlo era troppo bimbo per poterla indovinare sotto l’asprezza dei modi.

Il nonno l’aveva abituato ad esser trattato con amore, ad essere considerato come un amico. Qualunque cosa egli avesse detta, era sempre ascoltata con deferenza.

La noncuranza apparente della Margherita, la privazione di ogni carezza [p. 89 modifica]gli riescivano dolorose come un maltrattamento; ed aggiunte al rancore profondo che le serbava per avergli portato via il nonno, gli rendevano uggiosa la compagnia di quella donna, ed insopportabile la vita presso di lei.

Cominciavano appunto quel giorno le vacanze di Natale: non poteva neppure andar a scuola; non sapeva dove stare. Usciva dalla sua stanza nel cortile, poi rientrava e tornava ad uscire, muto, imbronciato, intrattabile.

Ogni tanto piagnucolava:

— Voglio andare dal nonno.

— Ci si andrà domenica, gli rispose finalmente la Margherita, e profittò di quel discorso avviato, per tirar via a dirgli: che il nonno avrebbe dovuto viziarlo meno, ed insegnargli ad esser un po’ più riconoscente verso i vicini di casa che gli facevano del bene... [p. 90 modifica]

— Quand’è domenica? tornò a domandare il bimbo senza darle retta.

— Doman l’altro.

Carlo non aveva idea esatta del tempo; il giorno dopo appena svegliato disse:

— È domenica?

— No; t’ho detto doman l’altro. Se fosse stato oggi, avrei detto domani, rispose la Margherita con tuono cattedratico.

— Quand’è doman l’altro? insistè Carlo.

— Domani.

Carlo passò un’altra giornata, triste, malcontento, capriccioso. Mangiò in silenzio, si lasciò sgridare senza rispondere, piagnucolò senza motivo; e la mattina seguente, prima che la Margherita entrasse nella sua camera, ne uscì vestito alla peggio, abbottonato a sghembo, e disse colla fronte accigliata:

— Oggi è doman l’altro: voglio andare dal nonno. [p. 91 modifica]

Per tutta la strada camminò innanzi, voltandosi appena ad ogni cantonata come per domandare da che parte dovesse dirigersi, poi tirando via daccapo frettoloso e muto.

Voleva essere il primo a rivedere il nonno; gli dava noia che la Margherita entrasse con lui; gli tardava di parlargli da solo, di sedergli sulle ginocchia, di dirgli tutto quello che aveva sul cuore.

Si figurava di trovarlo in una bella stanza, sano ed allegro com’era stato sempre. Gli avevano detto che all’ospedale lo farebbero guarire, ed egli lo aveva creduto. Non s’era rassegnato che a quella condizione.

Invece entrando, vide una corsia lunga lunga, con un altare in fondo come una chiesa, ed una sfilata di letti, quasi tutti occupati da figure macilente con un ber[p. 92 modifica]retto bianco; vide le monache con quella vestitura stravagante, che passavano, come ombre, di letto in letto, parlando piano, e fermandosi appena; udì quel rumore triste di tossi, di rantoli, di scodelle urtate, di lamenti, ripercosso dalle vôlte immense; ed ebbe paura.

Si voltò severamente alla Margherita e le domandò: “Dov’è il nonno?„ coll’accento che deve aver avuto il signore domandando a Caino: “Dov’è Abele?„

— Numero trentanove, rispose tranquillamente la donna; ed accennò ai numeri sovrapposti ai letti.

— È in letto? domandò Carlo stupito.

— Sicuro; dove vuoi che sia?

— Allora non l’hanno fatto guarire, avete detto la bugia, ribattè il bimbo più severo che mai.

E, vinto il primo sgomento, s’affrettò innanzi solo per trovare il nonno da sè.