Cara Speranza/Suor Maria/I
Questo testo è completo. |
I
◄ | Suor Maria | Suor Maria - II | ► |
I.
Erano quattro anni che vivevano insieme il vecchio ed il fanciullo. La madre di Carlo era morta nel giorno stesso della sua nascita. Tre anni dopo, il padre, che lavorava da muratore, era caduto da un ponte e s’era ucciso. Il bimbo era rimasto col nonno paterno, il solo parente che avesse.
Abitava una camera terrena fuori di porta Garibaldi.
Andrea era nato contadino, e non sapeva adattarsi a vivere in città, ad un piano alto, in una stanza chiusa; aveva bisogno del pian terreno che aprisse sul cortile, con qualche albero in vista, e l’aria aperta.
La mattina uscivano assieme, e, dopo un breve tratto, si separavano. Carlo andava alla scuola; Andrea entrava in città e si recava all’officina.
Non si rivedevano più fino alla sera.
La giornata del nonno finiva assai più tardi della scuola, e Carlo era sempre il primo a tornare.
Era un fanciullo un po’ viziato dall’amore esclusivo del nonno, e non si trovava bene che con lui; cogli altri era selvatico; non entrava mai nelle case dei vicini, i quali, del resto, erano gente occupata e povera, che non badava a lui.
Quelle ore d’aspettativa dopo la scuola le passava solo, in casa o nel cortile, baloccandosi come poteva.
Poi giungeva il nonno col passo lento d’una persona stanca.
Poteva aver sessant’anni al più; ma, passati al fuoco della fucina, maneggiando un martello che, ad ogni colpo, strappa un ruggito dal petto dell’operaio, sessant’anni contano molto, e sono quasi l’estremo limite della vecchiezza.
Fin allora però Andrea resisteva bene alla fatica, e quando Carlo gli correva incontro nel cortile, e lo accompagnava in casa saltellandogli intorno e dicendogli che aveva fame, si rallegrava tutto, e non sentiva più la stanchezza.
Preparava la minestra lentamente per lasciare al bambino l’illusione di aiutarlo colle sue manine inesperte; poi sedeva sullo scalino del focolare, si prendeva il bimbo fra le ginocchia, e, con un cucchiaio ciascuno, mangiavano nella medesima scodella.
Era il momento più bello della loro giornata. Facevano a chi prendeva più cucchiaiate, ed il ragazzo rideva tanto di quel gioco, che s’imbrodolava tutto e comunicava al vecchio la sua ilarità.
Carlo raccontava gloriosamente i progressi che faceva alla scuola.
— Studio l’abaco. Sai quanto fanno due per due? E tre per tre?
Poi faceva dei disegni per l’avvenire:
— Farò il soldato di cavalleria, e ti condurrò a spasso a cavallo.
Il nonno ascoltava quelle ciarle con compiacenza d’amore, senza badare al tempo che passava.
Sovente il bambino gli si addormentava tra le braccia chiacchierando.
Allora il vecchio operaio lo portava sul letto, lo svestiva pian piano con una delicatezza da donna per non risvegliarlo, poi fumava la sua pipa in silenzio, e si coricava senza più uscir di casa.
Dacchè gli era toccata quell’eredità d’affetto, non aveva più messo piede in un’osteria; non aveva più fatto una partita alla morra. Si era isolato completamente nell’adorazione del suo figliolo. Vivevano l’uno per l’altro, si bastavano, si rendevano felici a vicenda.
Sovente, nelle ore solitarie della sera, Andrea pensava all’avvenire, ai suoi sessant’anni vicini, all’infanzia acerba di quel fanciullo che gli dormiva accanto; e tremava, calcolando il poco tempo che gli rimaneva ancora da lavorare, e forse da vivere.
E poi?
Ma si sentiva forte, ed aveva un gran desiderio di resistere finchè il bimbo potesse aiutarsi da sè; e finiva sempre col dire: “Sarà quel che Dio vorrà.„ E tirava innanzi, felice di quel grande affetto che gli ringiovaniva il cuore.