Canzoni (1818)/Sull'Italia
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O patria mia, vedo le mura e gli archi
E le colonne e i simulacri e l’erme
Torri de gli avi nostri;
Ma la gloria non vedo,
5Non vedo il lauro e ’l ferro ond’eran carchi
I nostri padri antichi. Or fatta inerme,
Nuda la fronte e nudo il petto mostri.
Oimé quante ferite,
Che lividor che sangue! oh qual ti veggio,
10Formosissima donna! Io chiedo al cielo
E al mondo, dite, dite,
Chi la ridusse a tale? E questo è ’l peggio
Che di catene ha carche ambe le braccia,
Sì che sparte le chiome e senza velo
15Siede in terra negletta e sconsolata
Nascondendo la faccia
Tra le ginocchia, e piange.
Piangi, che n’hai ben donde, Italia mia,
Il mondo a vincer nata
20E ne la fausta sorte e ne la ria.
Se fosser gli occhi miei due fonti vive
Non potrei pianger tanto
Ch’adeguassi il tuo danno e men lo scorno,
Che fosti donna, or se’ povera ancella.
25Chi di te parla o scrive
Che rimembrando il tuo passato vanto
Non dica, già fu grande, or non è quella?
Perchè perchè? dov’è la forza antica,
Dove l’armi, e ’l valore e la costanza?
30Chi ti discinse il brando?
Chi ti tradì? qual arte o qual fatica
O qual tanta possanza
Valse a spogliarti il manto e l’auree bende?
Come cadesti o quando
35Da tanta altezza in così basso loco?
Nessun pugna per te? non ti difende
Nessun de’ tuoi? L’armi, quà l’armi: io solo
Combatterò, procomberò sol io.
Dammi, o ciel, che sia foco
40A gl’italici petti il sangue mio.
Dove sono i tuoi figli? Odo suon d’armi
E di carri e di voci e di timballi:
In estranie contrade
Pugnano i tuoi figliuoli.
45Attendi, Italia, attendi. Io veggio, o parmi
Un fluttuar di fanti e di cavalli,
E polve e fumo e luccicar di spade
Come tra nebbia lampi.
Nè ti conforti? ed oltre al tuo costume
50T’affanni e piangi? or che fia quel ch’io sento?
A che pugna in quei campi
L’itala gioventude? O Nume, o Nume!
Pugnan per altra terra itali acciari.
Oh misero colui che in guerra è spento,
55Non per li patrii lidi e per la pia
Consorte e i figli cari,
Ma da’ nemici altrui
Per altra gente, e non può dir morendo,
Dolce terra natìa,
60La vita che mi desti ecco ti rendo.
Oh venturose e care e benedette
Le antich’età che a morte
Per la patria correan le genti a squadre,
E voi sempre onorate e gloriose,
65O Tessaliche strette
Dove la Persia e ’l fato assai men forte
Fu di poch’alme franche e generose.
Io credo che le piante e i sassi e l’onde
E le montagne vostre al passeggere
70Con indistinta voce
Narrin, sì come tutte quelle sponde
Coprir le invitte schiere
De’ corpi ch’a la Grecia eran devoti.
Allor vile e feroce
75Serse per l’Ellesponto si fuggìa
Fatto ludibrio a gli ultimi nipoti,
E sul colle d’Antela ove morendo
Si sottrasse da morte il santo stuolo
Simonide salìa
80Guardando l’etra e la marina e ’l suolo.
E di lagrime sparso ambe le guance
E ansante il petto e vacillante il piede,
Toglieasi in man la lira:
Beatissimi voi
85Ch’offriste il petto a le nemiche lance
Per amor di costei ch’al sol vi diede,
Voi che la grecia cole e ’l mondo ammira:
In sempiterno viva,
Cari, la vostra fama appo le genti.
90Qual tanto, o figli, a sera amor vi trasse?
Come così giuliva
L’ora estrema vi parve, onde ridenti
Correste al fato lagrimoso e duro?
Parea ch’a danza e non a morte andasse
95Ciascun de’ vostri o a splendido convito:
Ma v’attendea lo scuro
Tartaro e l’onda morta,
Nè le spose vi foro o i figli accanto
Quando su l’aspro lito
100Senza baci moriste e senza pianto.
Ma non senza de’ Persi orrida pena
Ed immortale angoscia.
Come lion di tori entro una mandra
Or salta a quello in tergo e sì gli scava
105Con le zanne la schiena,
Or questo fianco addenta or quella coscia;
Tal fra le Perse torme infuriava
L’ira de’ greci petti e la virtute.
Ve’ cavalli supini e cavalieri,
110Vedi intralciar di tutti
La fuga i carri e le tende cadute,
E correr fra’ primieri
Pallido e scapigliato esso tiranno;
Vè come intrisi e brutti
115Del barbarico sangue i greci eroi
Cagione a i Persi d’infinito affanno,
A poco a poco vinti da le piaghe,
L’un sopra l’altro cade. Evviva evviva:
Beatissimi voi
120Fin ch’il mondo quassù favelli o scriva.
Prima divelte, in mar precipitando,
Spente ne l’imo strideran le stelle,
Che la memoria e ’l vostro
Amor trascorra o scemi.
125La tomba vostra è un’ara, e qua’ mostrando
Verran le madri a i parvoli le belle
Orme del vostro sangue. Ecco i’ mi prostro,
O benedetti, al suolo,
E bacio questi sassi e queste zolle
130Che fien lodate e chiare eternamente
Da l’uno a l’altro polo.
Oh foss’io pure con voi quì sotto, e molle
Fosse del sangue mio quest’alma terra!
Che se ripugna il fato, e non consente
135Ch’io per la grecia i moribondi lumi
Chiuda prostrato in guerra,
Così la vereconda
Fama del vostro vate appo i futuri
Possa, volendo i numi,
140Tanto durar quanto la vostra duri.