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XVII

Se cangiar gli aspri costumi
     Tu volessi e il cor feroce,
     Tenterei con la mia voce
     Di placar gl’irati Numi:
     E far sì, che in le tue forme
     36Novamente ti trasforme.
Non è sol d’Orfeo la Cetra,
     Che da’ regni della Morte
     La smarrita sua Consorte
     Ritirar col canto impetra:
     Cangia omai l’usanza rea,
     42Bella Dafne amata Dea.
A tal dir rise ciascuno,
     In udir, com’ei ricorda
     Vecchi amori ad una sorda,
     Ch’ora è tronco oscuro e bruno;
     E rideano: chè il lamento
     48Sparga Tirsi invano al vento.
Ma la Ninfa, che tra i rami
     Riteneva umana mente,
     Pensa udir Febo presente,
     Che all’antico Amor la chiami:
     Tal le sembra al biondo crine,
     54E alle Rime alte e divine.
Omai stanca di star sempre
     Sotto il vel di dura scorza,
     Apre il cuore a nuova forza,
     Che l’invoglia a cangiar tempre:
     Volge a Tirsi il vago ciglio,
     60E d’amar prende consiglio.
Cesse appena al nuovo affetto
     Che ogni ramo si disciolse:
     E alla prima effigie volse
     Il bel volto, il fianco, il petto:
     Tal se ’n va la rozza vesta
     66Col rigor ch’ella detesta.
Era pur bella a vederse