Canti della guerra latina/La preghiera di Sernaglia
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LA PREGHIERA DI SERNAGLIA
[OTTOBRE MCMXVIII]
LA PREGHIERA DI SERNAGLIA
I
1. Chi risponde? La bocca d’un uomo può dunque portare una parola che pesa come il sangue di tutti?
2. Chi risponde? È la voce d’un uomo questa che varca l’oceano inespiato e gonfia i suoi flutti?
3. Chi giudica? Lo spirito solo d’un uomo si fa spada infallibile e taglia il groppo di tutte le sorti?
4. Chi giudica? Chi è che non teme di parlare là dove sol regna il silenzio di Dio e dei morti?
5. Ha egli imposto l’alterno suo polso a quel mare implacato che non ebbe mai rive a serrar le procelle?
6. Ha egli come il re tebano sposato la novella Armonia, e alla città spirtale cantato le leggi novelle?
7. Chi s’alza oggi arbitro di tutta la vita futura, sopra la terra ululante e fumante?
8. Donde è venuto? dalle profondità della pena o dalle sommità della luce, come l’esule Dante?
9. O solo è un savio seduto nella sua catedra immota, ignaro di gironi e di bolge?
10. O solo è un interprete assiso dinanzi al polito suo libro, che nessun vento ignoto sconvolge?
11. Non so, né m’inclino al responso lontano, né indago i legami tra sillaba e sillaba accorti.
12. Serro l’animo spietato nel cuore, l’arma provata nel pugno; e ascolto il silenzio di Dio e dei morti.
II
13. Chi risponde? Chi giudica? Non l’uomo seduto, né l’uomo diritto, né il codice né la bilancia.
14. Risponde chi per parlare sputa il fango ch’ei morse cadendo o si netta dalle lacrime di sangue la guancia. 15. Risponde chi per parlare rompe lo stridore dei denti e l’ambascia, col giogo bestiale sul collo.
16. Risponde chi col moncherino grondante scrisse l’abominio e il taglione sul muro superstite al crollo.
17. Risponde chi nel patire eccedette i limiti del patimento posti al misero dalla pietà del Signore.
18. Risponde l’umana e divina agonia cui fu Ghetsèmani tutta la terra cospersa di atroce sudore.
19. E alcuno invocò sul misfatto la clemenza del Figliuol d’uomo? Ecco. Mano per mano, dente per dente, occhio per occhio.
20. Non il sermone laborioso ma il doppio taglio della spada forbita fa la luce al nemico in ginocchio.
21. Il Figliuol d’uomo essi tolsero di croce non per comporlo nella pietra col panno lino e l’unguento,
22. ma per riflagellarlo e ricoronarlo di spine e risaziarlo d’ingiurie e partirsi il suo vestimento.
23. Ti sovvenga, o Clemenza. Del suo lenzuolo e del suo sudario e delle sue bende fecero vincoli e corde:
24. vincoli per legare le mani e i piedi forati delle nazioni, corde per strangolarle a stràscino, o Misericorde.
III
25. Non sono un rammemoratore d’immemori e un riscotitore d’ignavi. Ma, se nessuno grida, io grido. Oserò se altri non osa.
26. O pace inviata alla tristezza degli uomini non come nivea colomba ma come serpe viscosa!
27. Che mai resta nel mondo, ch’essi non abbiano guasto e corrotto? Più pestilente è il lor fiato che il vomito dell’avvoltoio.
28. Partire voleano col ferro la somma dei secoli, tra dominio e servaggio. Ogni stirpe era morchia di macine, e la terra il lor grande frantoio.
29. Hanno arsi i duomi di Dio dove battezzammo i nostri nati, portammo le nostre bare, prostrammo il nostro cuor tristo.
30. Hanno abbattuto i nostri altari, fonduto le nostre campane, contaminato le nostre reliquie, maculato le specie di Cristo.
31. Lordato hanno le nostre case, scoperchiato i nostri sepolcri, sterilito ogni solco, divelto ogni erba e ogni fusto,
32. disperso i semi, corrotto le fonti, percosso i vecchi, forzato le donne, fatto monco ogni fanciullo robusto.
33. Il lagno d’Isaia si rinnova: «Tutte le tavole son piene di vomito e di lordure; luogo non v’è più, che sia mondo».
34. Ma Colui che già pianse per Lazaro, Colui che sopra Gerusalemme già pianse, Colui che già pianse nell’Orto, oggi piangere non può sopra il mondo.
IV
35. Non piange più; combatte. Non ha il capo chino su l’omero scarno, né inchiodate le palme all’infamia, né i piedi trafitti.
36. Né sfolgora come quando l’angelo rotolò dal sepolcro la pietra ed Egli sorse, ed apparve agli Undici afflitti.
37. Ma lo vede ogni fante, simile a sé, con l’elmetto del fante, con le uose del fante, col sudore e col sangue del fante, allato allato.
38. Cade anch’Egli, come quando portava la croce; cade e si rialza. E, come quando riprendeva la croce, riprende la sua arme e il suo fiato.
39. Resiste, perdura, persevera, a fianco dell’uomo. All’uomo dona il suo cuore divino e la sua lena immortale.
40. Si volge l’ispirato sentendo crescere nel suo petto la forza; e vede al suo fianco penare e lottare un eguale.
41. Lotta Egli e pena con noi. La sua arsura, che lambì la spugna intrisa nell’aceto e nel fiele, si disseta alla nostra borraccia.
42. Suda e ansa con noi. L’offerta rinnova del suo sacrifizio ogni giorno spezzando con le mani piagate il pane della nostra bisaccia.
43. Egli che all’ora di nona gridò: «Dio mio, perché m’hai lasciato?», Egli ben sa quanto costi l’intera vittoria agli eroi.
44. Non ha Egli pur riudito lo scherno? «Se tu sei l’eletto di Dio, salva te stesso. Se il Cristo tu sei, salva te stesso, e noi.»
45. Or Egli vince. Con noi vince. Chi credette nell’anima, ora vince per l’anima. Chi accettò la morte, ecco vince per la vita immortale.
46. La forza dell’anima pura precipita le nostre legioni fangose, e in carne tanta non sente il suo male.
47. Chi l’arresta? Dove sono i valli insuperabili? dove gli impenetrabili petti? Dov’è mai la lor ferrata muraglia?
48. Quel che in Dio fu detto è ridetto: «Son fuggiti dinanzi alle spade, dinanzi alla spada tratta, dinanzi all’arco teso, e dinanzi allo sforzo della battaglia.»
49. Quel che in Dio fu detto è ridetto: «Guai a te che predi e non fosti predato. Quando finito avrai di predare, predato sarai tu senza mora.»
50. Quel che in Dio fu detto è ridetto: «Guardia, che hai tu veduto dopo la notte? Guardia, che hai tu veduto dopo la notte?» L’aurora! L’aurora!
V
51. O stagione di rapimento improvvisa, che la primavera non sei e non l’autunno ma quella dove il lauro eternale allega i suoi frutti!
52. O spirito rapido che rifecondi le piaghe della terra e susciti il fremito della messe futura dallo strazio dei campi distrutti!
53. O fiumi rivalicati, gonfii di giubilo, come le vene che portano l’orgoglio al cuor della Patria e sino alla sua fronte il vermiglio!
54. O valli disgombre dove torna una così pura dolcezza che i morti sembran quivi dormire nel grembo di Maria come il Figlio!
55. O canti sovrani, santissimi tra gli inni più santi, alzati dall’agonia degli oppressi che sentono i liberatori alle porte!
56. O vincoli, o spine, o flagelli, rinnegamento e vergogna, soma e ambascia, sete e fame, sanie e sangue, o passione di Cristo e del mondo, o vittoria di là dalla morte!
57. Chi muterà questa grandezza e questa bellezza impetuose in disputa lunga di vecchi, in concilio senile d’inganni?
58. Inchiostro di scribi per sangue di martiri? A peso di carte dedotte ricomperato il martirio degli anni?
59. Se il mutilatore è in ginocchio, se leva le sudice mani, se abbassa il ceffo compunto, troncategli i pollici e i polsi, rompetegli zanne e ganasce.
60. Stampategli il marchio rovente fra ciglio e ciglio, fra spalla e spalla. Né basti. Tal specie, se in paura si scioglie, poi dalle sue fecce rinasce.
61. E passate oltre. Vi precedono i morti. Rimasto ai morti, ai sepolti e agli insepolti rimasto è l’osso del tallone integro per calcare la terra straniera.
62. Quel che in Dio fu detto è ridetto: «Per l’anima delle creature che hanno spasimato di fame a ogni capo di strada; e mani non avean da giugnere nella preghiera.»
63. Vittoria nostra, non sarai mutilata. Nessuno può frangerti i ginocchi né tarparti le penne. Dove corri? dove sali?
64. La tua corsa è di là dalla notte. Il tuo volo è di là dall’aurora. Quel che in Dio fu detto è ridetto: «I cieli sono men vasti delle tue ali.»
+ Novena di tutti i Santi.
Ottobre 1918.