Canti dell'ora/II. Elegie/Dall'antico al nuovo ospizio

Dall'antico al nuovo ospizio

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DALL’ANTICO AL NUOVO OSPIZIO


Quando i vecchi di Milano lasciarono l’antico Pio Albergo Trivulzio per la nuova sede fuori di porta Magenta.


I.


Se ’n vanno. Chi da l’ospite dimora
congeda i vecchi cui negò la vita
l’ultimo pane? Qual fortuna ancora3

dal bel palazzo che l’insegna avita
donò a l’erede povertà, chiamando,
un altro albergo a’ stanchi padri addita?6

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Guardan pensosi indietro a quando a quando.
Su, vecchi padri! Su, voi cittadini!
In alto i cuori! Non è questo un bando.9

Altre sedi, altre imprese, altri destini
la città industre spazïando innova
dietro il pensiero che non ha confini.12

E, date l’ali a la conquista nova,
Milano, madre de le forze intense,
tutte l’emule sue vince a la prova.15

Ai folti artieri le officine immense,
a l’atleta civil liberi campi,
a i fiacchi del cammino asili e mense.18

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E tutto innerva, e par che tutto avvampi
d’una corrente d’anima futura
la sua energia che non conosce inciampi.21

Uscite, o padri, da le antiche mura
senza rimpianto. Abbia ’l suo dì giocondo
l’idea che affranca l’uom da la sventura.24

Muoiono gli echi, e il brivido profondo
de’ luoghi abbandonati ampio e funesto
scorre il palazzo gentilizio. Al mondo27

mai non si vide uno squallor più mesto.

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II


Come quando de l’uomo si scolora
la vita senz’affetti, anche del Pio
Albergo il nome, che si spegne, accuora.3

Torna ’l mattino limpido e ’l brusio
del Verziere. Pur, tra la folla manca
qualcosa di domestico e natio.6

In bruna assisa la famiglia bianca,
ad uno ad uno, in mezzo a l’altra gente,
più non isciama e ’l suo passo rinfranca.9

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Muta è la casa. E nulla è sì possente
fra ’l suon de l’opre e l’incessabil moto
come il silenzio de le cose spente.12

Un sogno dunque, altro non fu, che a vuoto
raggiò ’l tuo ardor francescano verace,
Principe Tolomeo Trivulzio, il voto15

col quale tu chiudesti gli occhi in pace?
Oro e deserto avevi intorno e il lutto,
simile a grido che mai non si tace,18

de la sventura che travolse tutto.
Allor, sognando il tuo gran sogno umano,
— Qui, tu dicesti, dove a me distrutto21

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fu ’l nodo nuzïale, e l’amor vano
fu di marito e padre, un focolare
trovi chi stende per pietà la mano — .24

Quanti infelici udironsi chiamare
giù presso a morte, e qui venner contenti
di poter prima un poco riposare!27

Quanti reietti da i loro parenti
supplici atteser, rigidi la faccia
per l’angoscia di tutti i patimenti!30

Pure, al lavoro avean rotte le braccia
pe’ i molti figli a procacciare il pane:
ma ’l vecchio inerte ne la casa impaccia....33

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non ne la casa, ne le orrende tane.
Che valse tra’ mestieri e tra’ servizi
incanutir? spola ed ago da mane36

a sera trarre ne i densi opifizi?
e sotto ’l cenno altrui prendere in cura
de la famiglia i pazienti uffizi?39

Che valse lume di civil cultura
e solerzia di traffici e ’l vitale
sforzo che il popol ne le asprezze indura?42

Fu la lor sorte a la miseria eguale.
O giustizia ideal, quanto sei vana,
se un’immensa pietà qui non prevale!45

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Così sognava; e la pia gloria umana
già vedea del suo sogno il Fondatore
cogliere e benedir l’età lontana.48

Vinse l’oblio. Raggian novelle aurore;
ma prima in grembo a la tenebra folta
sempre una luce di tramonto muore.51

E ne la notte, che le voci ascolta
del mistero, qualcuno par sospiri
come di dolce cosa che gli è tolta.54

Par che qualcuno trepido s’aggiri
e chiami: — Chi turbò le soglie pie?
Dov’è la pace che a’ tardi respiri57

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concedean l’ampie sale e le corsie?
Del mio nome che fu? Qual mano il santo
voto cancella e le memorie mie? — 60

Sott’esso i belli archi sonò di pianto
un lungo eco a quell’inutil chiama:
sonò ne i vasti dormitorii. Intanto63

co ’l sospir vano e la delusa brama
di qua da l’ombre che la morte crea,
come la foglia da la morta rama,66

l’ultima vanità de l’uom cadea.

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III


Via con l’insonne battito de l’ora
notturna l’ansia e lo sgomento. Via
i pallidi fantasmi. Ecco l’aurora.3

Come creata da la fantasia
la nuova sede a le brezze odorate
le sue verande spalanca giulìa.6

A cento a cento lungo le vetrate
gli ospiti affaccian la lor bianca testa.
O il bel sole! O la vita a piene ondate!9

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Popolo, ride un ideale in questa
gioia pensosa del tuo buon destino
come vigilia d’aspettata festa.12

Quando ciascun tuo figlio, cui ’l meschino
frutto mancò de i lunghi sforzi, un raggio
veda splendere in fondo al suo cammino.15

Fra i tardi stenti pur veda un messaggio
scender di pace, e non abbia paura
de l’abbandono, e dica a sè: coraggio!18

O civiltà, che libera e sicura
guardi a la mèta, se al sognato lido
approdi ’l genio de l’età ventura,21

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da le fatiche esausto e gli anni, un fido
rifugio almeno trovi l’uom canuto
per la sua fine. Sorge questo grido24

dal cor de i buoni. Sia come un saluto
benedicente! Annunzi in ogni dove
co’ squilli e i canti del fraterno aiuto27

la primavera de le genti nove.