Canti (1831)/Ultimo canto di Saffo

IX. Ultimo canto di Saffo

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IX. Ultimo canto di Saffo
Inno ai Patriarchi Il primo amore

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Placida notte, e verecondo raggio
De la cadente luna; e tu che spunti
Fra la tacita selva in su la rupe,
Nunzio del giorno; oh desiate e care
5(Mentre ignote mi fur l’erinni e ’l fato)
Sembianze a gli occhi miei; già non arride
Spettacol molle a i disperati affetti.
Noi l’insueto allor gaudio ravviva
Quando per l’etra liquido si volve
10E per li campi trepidanti il flutto
Polveroso de’ Noti, e quando il carro,
Grave carro di Giove a noi sul capo,
Tonando, il tenebroso aere divide.
Noi per le balze e le profonde valli
15Natar giova tra’ nembi, e noi la vasta
Fuga de’ greggi sbigottiti, o d’alto

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Fiume a la dubbia sponda
Il suono e la vittrice ira de l’onda.

     Vago il tuo manto, o divo cielo, e vaga
20Se’ tu, rorida terra. Ahi di cotesta
Infinita beltà parte nessuna
A la misera Saffo i numi e l’empia
Sorte non fenno. A’ tuoi superbi regni
Vile, o natura, e grave ospite addetta,
25E dispregiata amante, a le vezzose
Tue forme il core e le pupille invano
Supplichevole intendo. A me non ride
L’aprico margo, e da l’eterea porta
Il mattutino albòr; me non il canto
30De’ colorati augelli, e non de’ faggi
Il murmure saluta: e dove a l’ombra
De gl’inchinati salici dispiega
Candido rivo il puro seno, al mio
Lubrico piè le flessuose linfe
35disdegnando sottragge,
E preme in fuga l’odorate spiagge.

     Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso
Macchiommi anzi il natale, onde sì torvo
Il ciel mi fosse e di fortuna il volto?

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40Qual ne la prima età (mentre di colpa
Viviamo ignari), onde inesperto e scemo
Di giovanezza, e sconsolato, al fuso
De l’indomita Parca si devolva
Mio ferrugineo dì? Malcaute voci
45Spande il tuo labbro: i destinati eventi
Move arcano consiglio. Arcano è tutto,
Fuor che il nostro dolor. Negletta prole
Nascemmo al pianto, e la cagione in grembo
De’ celesti si posa. Oh cure, oh speme
50De’ più verd’anni! A le sembianze il Padre,
A le amene sembianze eterno regno
Diè ne le genti, e per virili imprese,
Per dotta lira o canto,
Virtù non lùce in disadorno ammanto.

     55Morremo. Il velo indegno a terra sparto,
Rufuggirà l’ignudo animo a Dite,
E ’l tristo fallo emenderà del cieco
Dispensator de’ casi. E tu cui lungo
Amore indarno, e lunga fede, e vano
60D’implacato desio furor mi strinse,
Vivi felice, se felice in terra
Visse nato mortal. Me non asperse
Del soave licor l’avara ampolla

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Di Giove indi che ’l sogno e i lieti inganni
65Perìr di fanciullezza. Ogni più caro
Giorno di nostra età primo s’invola.
Sottentra il morbo, e la vecchiezza, e l’ombra
De la gelida morte. Ecco di tante
Sperate palme e dilettosi errori,
70Il tartaro m’avanza; e ’l prode ingegno
Han la tenaria Diva,
E l’atra notte, e la silente riva.