Brani di vita/Libro primo/In sogno
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IN SOGNO
Tutti sanno quanto sono giocondi i sogni dell’amore felice, altrettanto sono tormentati quelli della digestione laboriosa; ed io digeriva la cena di Natale.
Mi pareva di essere nel bugigattolo qui accanto, dove rivelo le fotografie coll’aiuto di un fioco lumicino rosso, e di lavorare impazientemente intorno a certe negative che non mi davano un segno. Ma l’angoscia maggiore non me la davano le lastre renitenti, bensì la coscienza imprecisa, ma sicura, che l’agente delle tasse mi spiasse. Frugavo coll’occhio attento tutte le fessure ed i buchi, ascoltavo tutti i rumori sommessi e quasi impercettibili, ma non vedevo niente, non sentivo niente; eppure ero sicuro che l’agente mi guardava ostinatamente.
Ad un tratto l’imagine cominciò ad apparire sulla lastra; ma non la solita imagine nera. Apparivano distinti i colori complementari e si capiva bene che stampando sopra una carta al bromuro trattata collo stesso bagno, sarebbero apparsi i colori normali e desiderati. La fotografia colorita direttamente dalla natura era trovata. Spezzai la lastra e gettai il bagno, perchè l’occhio che mi spiava non indovinasse; ma avevo paura.
Bisognava fuggire subito, correre fuori d’Italia per rendere utile a me ed agli altri il segreto. Qui, non appena ne avessi cominciato l’industria, ero troppo certo che l’agente l’avrebbe soffocata e strozzata colle sue tasse. Bisognava fuggire e tuttavia sentivo con spavento un passo leggero dietro di me, il passo di chi sorveglia. Se mi voltavo ad un tratto, vedevo un’ombra sparire, ma non ne potevo afferrare i contorni. Il cuore mi batteva forte per la fretta di fuggire e per l’ansia di andarmene inosservato.
Così, fingendo l’indifferenza di chi non pensa a nulla, mi avvicinai all’uscio e, presa la bicicletta, con un salto le fui sopra e via come il vento. Ma ecco che mi sentii subito inseguito da molti passi accorrenti e li sentivo vicini e non potevo guadagnar vantaggio per quanto arrancassi e faticassi. Erano i carabinieri che mi urlavano alle calcagna di fermare perchè la bicicletta non era bollata e non aveva pagato la tassa. La terribile parola mi assordava: “tassa! tassa!”
Volevo voltare a destra, ma in fondo alla strada vidi un crocchio di persone slanciarsi contro di me. Erano gli uscieri che mi correvano addosso, urlando: “Contravvenzione! Contravvenzione!”, mentre dalla via di sinistra accorrevano le guardie di pubblica sicurezza e gridavano: “Multa! Multa!”
Disperato e cieco di spavento, infilai la via diritta e mi ficcai in città; ma sulla porta i gabellieri abbaiarono: “Dazio! Dazio!” e m’inseguirono anch’essi.
Corsa sfrenata e macabra! Tornai all’aperto, faticavo terribilmente, ma gli inseguitori mi erano sopra e sentivo il loro fiato vinolento sul collo. La strada era deserta e tra le imposte cadenti delle case dei contadini, dalle porte delle stalle abbandonate, mi alitava in faccia la peste della pellagra. Ad ogni cancello pendeva un bando di vendita, bianco come un lenzuolo mortuario, e il grano marciva sullo stelo, e il grappolo, roso dalla filossera, imputridiva sul tralcio, sotto il sequestro dell’esattore. La vita era solo nei boschi dove la scure dei carbonai schiantava le quercie staggite, lasciando pochi cespugli pel ricovero de’ banditi. E avanti, avanti, nella corsa pazza, lungo i fiumi che ruppero gli argini, sotto i monti che franano, vicino alle bocche delle solfatare di dove erompe l’urlo del martirio, per le piane paludose fumanti di malaria, tra locomotive infrante dall’urto, le grida di pietà, gli ululati dello spasimo, i rantoli dei moribondi, e lontano, all’orizzonte, era un inno trionfante di trombe ed una pompa di pennacchietti bianchi. E avanti, avanti, inseguito dagli urli: “Tasse! Multe! Contravvenzioni! Dazio!” e senza altro fiato ormai che per ansare il virgiliano: “Heu fuge crudeles terras, fuge litus avarum!”
Le gambe diventavano più rigide, il fiato più corto e il pericolo più vicino, quando il segno del confine mi apparve in fondo alla pianura; ma più mi affaticavo, più quel desiderato segno si allontanava. Temevo che mi si spezzasse qualche cosa nel petto, ma il terrore mi reggeva le forze, finchè in un ultimo e disperato impeto, raggiunsi il segno e caddi sull’erba al sicuro. Al di là i latrati finirono in una bestemmia e si allontanarono.
Ah, come respirai! Un vecchio lacero, inscheletrito, pieno di lividi, lasciò di coglier ghiande e mi guardò sorpreso.
— Chi ti ha ridotto così? — mi chiese.
— La Finanza — risposi: — ma chi ti ha assassinato così?
— La Giustizia — mi disse.
Come mi risvegliai volentieri! Come mi rallegrai che tutto fosse un vano sogno di penosa digestione! Siamo giusti e sinceri.
Come è possibile infatti trovare altro che in sogno.... la fotografia dei colori?