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In sogno | 299 |
“Contravvenzione! Contravvenzione!”, mentre dalla via di sinistra accorrevano le guardie di pubblica sicurezza e gridavano: “Multa! Multa!”
Disperato e cieco di spavento, infilai la via diritta e mi ficcai in città; ma sulla porta i gabellieri abbaiarono: “Dazio! Dazio!” e m’inseguirono anch’essi.
Corsa sfrenata e macabra! Tornai all’aperto, faticavo terribilmente, ma gli inseguitori mi erano sopra e sentivo il loro fiato vinolento sul collo. La strada era deserta e tra le imposte cadenti delle case dei contadini, dalle porte delle stalle abbandonate, mi alitava in faccia la peste della pellagra. Ad ogni cancello pendeva un bando di vendita, bianco come un lenzuolo mortuario, e il grano marciva sullo stelo, e il grappolo, roso dalla filossera, imputridiva sul tralcio, sotto il sequestro dell’esattore. La vita era solo nei boschi dove la scure dei carbonai schiantava le quercie staggite, lasciando pochi cespugli pel ricovero de’ banditi. E avanti, avanti, nella corsa pazza, lungo i fiumi che ruppero gli argini, sotto i monti che franano, vicino alle bocche delle solfatare di dove erompe l’urlo del martirio, per le piane paludose fumanti di malaria, tra locomotive infrante dall’urto, le grida di pietà, gli ululati dello spasimo, i rantoli dei moribondi, e lontano, all’orizzonte, era un inno trionfante di trombe ed una pompa di pennacchietti bianchi. E avanti, avanti, inseguito dagli urli: “Tasse! Multe! Contravvenzioni! Dazio!” e senza altro fiato ormai che per ansare il virgiliano: “Heu fuge crudeles terras, fuge litus avarum!”