Biografie dei consiglieri comunali di Roma/Pietro Poggioli

Pietro Poggioli

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Giuseppe Pocaterra Alessandro Ramelli

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POGGIOLI PIETRO


Consigliere Municipale






AA
mate la patria, disse l’illustre Barbieri, e fatela grande; — non vegliate o ignavi nell’ozio, o perduti nelle dissolutezze consumare que’ giorni, che dati vi furono per essere l’apparecchio di ma vita operosa e profittevole a voi non meno che agli altri.

La patria, di cui siete figli, a pieno diritto esige, che non abbiate, quasi piante disutili, ad ingombrare di vana ombra il terreno, e suggere il nutrimento alle altre piante dovuto. Ella vi aspetta ne’ banchi, ne' fori, ne’ tribunali, ne’ campi, ne’ gabinetti, ne’ magisteri, ne’ tempi, negli spedali, a satisfare ciascuno a quelle parti, e compiere quasi membro, quelli uffici, di che la salute e la prosperità si compone di tutto il corpo sociale. Ben altro d vuole che rimenarsi per bocca il dolcissimo nome di patria, e starsene intanto con le mani penzolate a logorare i giorni e le notti in visite, in giuochi, in tresche, in tripudi, nella mollezza, nella sciagurataggine, e nella dissipazione. La patria vuol essere da tutti, conforme allo stato ed alle abitudini di da schedano, servita, difesa, illustrata con belle opere e belli costumi, chè questi sono gli obblighi sacrosanti del buon cittadino, a’ quali non pure l’umana, sì anche la divina legge ha posto suggello. —

Ed un altro sommo scrittore disse agl’italiani; «la patria s’incarni in ciascuno di voi. Ciascuno di voi si senta, si faccia mallevadore de’ suoi fratelli; ciascuno di voi impari a far sì che in lui sia rispettata ed amata la patria: ciascuno di voi stilli ne’ giovani cuori odio contro gli oppressori, energia di proposito contro l’oppressione. —

[p. 180 modifica]E a noi occorrendo in questi biografici ricordi discorrere di uomini, che dierono prora di patrio amore, che la loro opera si mantiene utile a vantaggio del proprio paese, a pro de’ propri fratelli, ci sentiamo aprire il cuore alla speranza di più bello avvenire, di più splendidi e gloriosi destini per la patria. —

E oggi di Pietro Poggioli tenendo proposito in queste pagine di biografia, ci è soddisfacevole poterlo presentare, siccome italiano altamente liberale, siccome cittadino per la sua opera utilissimo. —

In Roma nell’anno 1824, aveva egli vita da onorati parenti, quali furono Serafino Poggioli e Catterina Folchi. —

Suo padre uomo che all’onestà congiunse operosità grandissima, si esercitò nelle negoziazioni di campagna, ed il figlio desiderò di educare negli studi, e di farlo un giorno buono ed utile cittadino. —

E Pietro Poggioli di vero, ad istudiare si diè con ispeciale amore nel Collegio Romano presso i gesuiti, ove con profitto compì il corso dei primi studi, nè rimase sopraffatto dalle nere mene gesuitiche, che volevano la mente ed il cuore del fanciullo ravvolgere in fosche nubi, onde nè in altezza d’ingegno venisse, nè per la patria sentisse mai amore. Sentì il Poggioli sin dai primi anni della sua età, istintivamente nel petto accendersi il patrio affetto, e la voce della storia dicendogli le grandi sventure d’Italia, e la parola elettrica dei più ardenti patriotti correndo nella sua anima, crebbe nella schiera di coloro che ebbero un culto sincero per la repubblica, e come il migliore dei governi la vagheggiarono sempre, e fu quale faro all’umanità additato dal grande maestro, cui costò il lungo martirio dell’anima, che lo trasse quindi nei riposi del sepolcro, di se lasciando eternità di illustre e compianta memoria. —

Proseguendo il Poggioli negli studi, entrò nella Romana Università, e diè sempre prova d’ingegno robusto, onde in agronomia di poi otteneva la matricola, e si. diè ad esercitare, con successo degno de’ suoi meriti. — Se non che appena sull’orizzonte d’Italia, nel 1848, apparve il segno di guerra, che bandiva allo straniero il capo della Chiesa, il quale oggi sta trincierato nella rinnegazioue di quei santi principi, che il primo tempo del suo pontificato facevano glorioso, appena la squilla s’udì, che invitava a marciare contro i prepotenti, che padroneggiavano sulla altrui terra, il Poggioli arruolossi nella 1.ª Legione Romana, e partì per le patrie battaglie. — E fu desso uno dei prodi ehe più si distinse nei fervori della mischia, nei furori del combattimento, nè mai per un momento scorossi, che anzi noi lo vediamo dopo i fatti di Cornuda, rimanersi in Treviso tra i Corpi Franchi, e prender parte insieme ai valorosi Guidotti e Bassi alle improvvise sortite contro il nemico, e quindi [p. 181 modifica]alla battaglia del Silo insieme al prode Antonini, e benchè in mezzo allo splendore delle armi italiane incominci ad agitarsi una nube avversa, che si parte dal Vaticano, purtuttavia il Poggioli torna alla l.ª Legione, e combatte una feroce battaglia a Vicenza. — Sorge la Romana Repubblica, e gli animi dei patriotti ardono viepiù sempre per la libertà della patria. — Il Poggioli è promosso al grado di ufficiale nella stessa Legione. — A Torre del Greco è fatto dai soldati del Borbone prigioniero insieme ad Amedei, ma indi tornato libero, corre a combattere nella memoranda giornata del 30 Aprile 1849 sotto Roma, e presso Velletri. — Lo scettrato di Napoli, a rovina della patria, e a puntello del papato temporale, manda le sue milizie italiane a combattere i fratelli italiani, e il sangue corse a larga vena sulle pianure romane. — Il Poggioli avendo di sè levato bellissimo il nome, e per il valore spiegato nelle battaglie, e per le sue cognizioni anche nell’ingegneria, fu trasferito ufficiale nel Corpo del Genio e Zappatori, e si diè tosto ad occuparsi della difesa di Roma, fra il 3.° Bastione e Porta S. Pancrazio, chè verso Roma drizzava sue ali l’avoltoio francese, per aggredirla co’ suoi artigli e farne quindi teocratico pasto. — E la nefasta ora sorvenne. — E la istoria scrisse a caratteri di sangue l’alto vituperio di Francia, e di Colui, che rappresentando Iddio, s’assideva sul trono bagnato d’umano sangue, e il sacro piede ponea sul corpo de’ cadaveri italiani. —

Restauratosi il papale dominio, davasi il Poggioli ad esercitare di nuovo agronomia, e attendeva dalla maturità dei tempi il trionfo della causa italiana. —

Fermo nella fede di sincero repubblicano, credè ai suoi principi non venir manco, accettando la fusione del suo partito con quello Monarchico costituzionale piemontese, allo scopo di costituire l’unità d’Italia, e sottrarla al giogo straniero. — E di vero stretto sempre alle proprie convinzioni, per quel fine supremo agì sempre in accordo, e vide arrivare il 20 Settembre 1870, come il giorno preparato dal sangue dei martiri, aspettato con lungo sospiro dagli italiani, affrettato dal popolo con le sue rivoluzioni. —

Ma noi domanderemo con Vico, e che ottenne il popolo colle sue vittorie? — Emancipazione — Egli non è più nè muto nè cieco; ha occhi per vedere i suoi cenci, la voce per protestare la sua miseria; egli ha infranta la sm catena, ma è ancora nella sua prigione, è ancora inviluppato nel vecchio sistema della forza; la Società è organizzata a profitto degli antichi padroni: ai poveri il lavoro, ai ricchi i piaceri; al popolo il genio, al proprietario il comando: al popolo l’industria, al capitalista i frutti. La plebe geme ancora sotto il feudalismo della proprietà, essa è serva ancora nelle fabbriche, come lo era sulla gleba. —

[p. 182 modifica]Quante capacità perdute per mancanza di mezzi! Quanti mezzi disastrosamente inerti, perchè affidati dalla fortuna a mani incapaci! Il danno, che ne soffre la Società, è enorme. —

La dissoluzione ha guadagnato la nostra Società egoista; noi ci agitiamo nell’urto di una crisi vasta, profonda, che inviluppa tutta la civilizzazione, dopo la crisi attuale sorgerà quell’avvenire, che offrirà unità potente d’interessi, di simpatie, d’istituzioni. — E che così avvenga, noi rispondiamo, essere speranza, chè ben quello parole di Gio: Battista Vico ai moderni tempi si attagliano. —

Pietro Poggioli fece parte del Comitato, che al Plebiscito di Roma con patriottica sollecitudine attese. — I propri concittadini lo vollero quindi in Campidoglio, all’uffizio di Consigliere Comunale, che ben conoscendone le virtù, e quanto egli valga nella buona amministrazione, portavano sicurezza, che egli avrebbe gli interessi e il bene della città sopratutto curato. — Ed il Poggioli si diè all’opera, ma il guasto vcggendo della municipale amministrazione, nè potendo riparare al medesimo la forte e buona volontà di pochi, stimò meglio dimettersi. —

Però la cittadinanza romana grandemente stimandolo, lo volle rieletto, ed egli alla attestazione di tanta fiducia corrispose di tutto proposito e a tutt’ uomo applicandosi al bene comunale. — Fu egli membro di più commissioni, fra le quali quella per la nomina degl’impiegati municipali, ed il suo consiglio, e la sna azione diresse sempre a raggiungere l’utilità pubblica e privata, e a portare la sua pietra all’edifizio della civiltà e del progresso. — Il suo avviso fu sempre di regolare l’amministrazione comunale con la più possibile economia, per non far cadere sul popolo una maggiore gravezza di imposte, di cui và enormemente già carico per le esigenze governative. —

11 Poggioli pertanto è uno degli uomini, che per i sentimenti d’indipendenza e di progresso, per le sue larghe cognizioni amministrative, per le sue elette virtù, molto può giovare al Comune ed alla Nazione. — Egli di presente siccome membro della Commissione Ospitaliera, presta anco sua opera nell’amministrazione dell’Ospedale di S. Gallicano, e la conduce con vera sapienza economica amministrativa. — E poiché la piaga, che mortalmente affligge il corpo della patria, è la mala amministrazione, così nel mentre portiamo biografica nota di quei cittadini, che all’uffizio di Consiglieri Comunali furon chiamati, raccomandiamo in ispecial modo coloro, che nel campo amministrativo combattendo, possono il più bello dei trionfi conquistare — il benessere del popolo, e una vita sana alla nazione. —


Tip. Tiberina Piazza Borghese. Riccardo Fait — Editore