Biografie dei consiglieri comunali di Roma/Giovanni Costa
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COSTA GIOVANNI
Consigliere Municipale
E a corre quel frutto, ahi quante vite furono spente, quante lagrime versate, quanti dolori sofferti, quante lotte durate! Esilio e patiboli, le carceri e la morte, le lunghe congiure, e le guerre inumane furon la scala per cui salirono infinite schiere di patriotti, onde arrivare alla meta sospirata da lunghissimi secoli — a far cioè Italia una, libera, forte. — E ai nostri tempi venendo ci allegra il cuore il vedere cittadini egregi, che lavorarono con tutte le forze dell’ingegno, con tutta la potenza dell’anima, alla nazionalità della patria, e la di loro opera durare continua, alla prosperità e felicità del proprio paese. — E nel tramandare in questa nostra pubblicazione al pensiero dei presenti e dei nepoti, il nome di coloro, che dappresso alla redenzione di Roma ascesero agli uffizi di Consiglieri comunali in Campidoglio ci è sopratutto di forte compiacenza all’animo, lorquando ci occorre far nota d’uomini, che per verità benemeritarono d’Italia e di Roma. — E tra questi ci corre debito oggi segnalare alla pubblica ed onorata menzione Giovanni Costa, di cui tracciamo in brevi linee la vita. —
Nasceva egli in Roma nell’Ottobre dell’anno 1826 da onoratissimi e civili parenti. — Negli studi fece maturo l’ingegno, e per entro alla sua mente brillò il genio dell’arte, onde alla pittura s’applicò, coltivandola con infinito trasporto. -— E poichè alla fervidezza della fantasia congiungeva bello ed ardentissimo il cuore, così fu preso d’amore grandissimo per Italia, che sulle pagine della storia e nelle tele vide scolpita nella immensità de’ suoi lunghi dolori. — Avvenne quindi, che non appena una voce da Roma bandiva guerra allo straniero, che superbo e tiranno signore correa per le terre italiane, egli marciava insieme ad eletta e valorosa gioventù a combattere le patrie battaglie, e nello campagne del Veneto splendidamente si distinse, e a Cornuda e a Vicenza tutto il fiero valore di petto italiano dimostrò. — Se non che quella voce stessa, che dal seggio dei papi avea spinto tante giovani vite a morire sui campi italiani per amore della patria, revocava gli altissimi accenti, e ravvoltosi nella veste del tradimento fuggiasi di Roma, onde no seguiva immediatamente la proclamazione della Repubblica. — Però nel mentre cercavasi consolidare il governo repubblicano, l’astio maligno e l’invidia di Francia rivelandosi nella sua più nera grandezza, venia con le armi a riporre sul trono il papa fuggiasco e rinuegatore dei più santi e nazionali principi. — Ma fu forza dapprima che provasse come negl’italici petti, sebbene fosser minore di numero, l’antico valore non fosse ancor spento. — Il Costa notissimo essendo per la sua eletta intelligenza, e por il suo patriottismo, fu destinato siccome uno di coloro, che alla composizione del Comune attendesse, e venne della qualità di Consigliere rivestito. — Ed egli si adoperò sempre con la più grande energia, con la più mirabilo attività, ed appena alla difesa di Roma si dovè provvedere, si diè cura e moto por istabilire e formare nuove fortificazioni. — E poichè venne l’ora della ineguale lotta contro i francesi egli si distinse nelle milizie del Generale Garibaldi tra i più valorosi, e la gloria italiana sostenne, soltanto ad una forza maggiore soggiacendo.
Seguita la restaurazione della papale signoria, fu il Costa fatto segno alle più tiranniche persecuzioni, avvegnachè raccoltosi nel santuario della famiglia, al culto dell’arte si dedicasse. — Attese paziente il giorno dell’estrema riscossa. — Ed appena il nuovo sole si levò sull’orizzonte d’Italia, che annunziava nel 1859 il risollevarsi del popolo italiano, egli arruolatosi nei cavalleggeri d’Aosta, corse sui campi della Lombardia a combattere per la unità e indipendenza della patria. — E tostochè quella campagna ebbe fine, ridottosi a Firenze, si diè nuovamente a coltivare la pittura, nella quale si rivelò paesista eccellente. — E in cima del pensiero e del cuore tenendo la sua Roma, aspettava che gl’italici destini fosser maturi.per liberarla dal dominio del prete, e sgombrarla del fango straniero, ed intanto non cessava insieme a tutti i patriotti e agli esuli romani di oprare al sollecito compimento del voto di tutti gl’italiani. — Venutosi in sospetto che il comitato nazionale si macchiasse di tradimento con osteggiare piuttostochè favoreggiare la causa di Roma, a lui fu affidata la delicata missione di procedere in proposito alle più scrupolose investigazioni, alle più esatte verifiche. — E dappoiché ebbe ad iscoprire che i sospetti avevano il loro fondamento, fece costituire in Roma il centro d’insurrezione, per giungere coll’opera dei generosi e forti patriotti alla sollecita liberazione della capitale d’Italia, insorgendo concordi alla difesa del diritto santissimo delle genti romane. — E nel petto dei valorosi divampò l’ardentissima fiamma, e duce quel grande, che vivrà eterno nel cuore del popolo, alla nobile insurrezione muovevano, che venia di poi soffocata dalle armi francesi e dalle papali masnade, nel sangue che corse per i campi di Mentana, sopra i quali il Costa contro quelle galliche tigri e quegli sglierani pontifici combattè con l’usato valore e gagliardia di propositi. — La storia stigmatizzò già coloro che quel moto italiano tradirono, e li consegnò anche al severo giudizio della posterità. — Giovanni Costa quindi tornossi a Firenze, ove datosi nuovamente a coltivare la bella arte della pittura, fu in aspettazione che l’ordine dei civili e liberi tempi, e la suprema volontà del popolo italiano un dì si compiesse, chè Italia senza Roma era un corpo tronco del capo. —
All’Aquila di Francia venian tarpate le ali dai ferri Prussiani, e in brevi dì perduto il volo, cadea sanguinosa e vinta sopra le proprie rovine. — E fu allora che il governo italiano, secondando i voleri di tutti i liberali d’Italia, salendo la breccia di Porta Pia, scendeva alla occupazione di Roma capitale d’Italia. — Era il 20 settembre 1870. — E primo tra i valorosi, che poneva il piede, dopo un lungo esilio, sulla diletta terra romana, era il Costa, che appena fu nella piazza Colonna Trajana, trovossi di fronte ad un pugno di zuavi pontifici, che d’un tratto disperdeva e poneva in fuga. — E fu desso che formò anche parte di quel triumvirato, che nel giorno solenne dell’ingresso s’impossessò del Campidoglio, resse Roma, e decretò la liberazione dei detenuti politici — Successe poi la nomina della Giunta di governo, ed in seguito il Costa era dai propri concittadini, ad unanimità di voti, eletto all’uffizio di Consigliere comunale. — E in tale carica essendo gl’interessi curò del proprio paese, e uomo di fermi principi, di carattere leale, di bella intelligenza, di sentimenti altamente patriottici, credè dimettersi insieme ad altri Consiglieri, allorquando la Giunta voleva sopra di loro imporsi con atto, che sapeva di assolutismo e di dispotico. —
Il Costa prontissimo ovunque si tratti di operare ad utilità de’ propri concittadini, a vantaggio del proprio paese, fu perciò che nell’ottobre 1870, Roma essendo afflitta dall’orrendo disastro dell’inondazione del Tevere, egli si diè a spiegare tutta sua cura, tutta sollecitudine e per i danneggiati costituì un comitato di soccorso, e specialmente a tante famiglie, che nei rioni di Trastevere avevano maggiormente sofferto, apportò consolazioni ed aiuti. —
Fu di poi eletto membro di una Commissione artistica incaricata di riordinare i Musei Capitolini, ed anche in ciò, per le sne distinte cognizioni in arte, per lo interessamento grande, con che vi attese, riuscì utilissimo. —
Giovanni Costa siccome artista, ha levato di se bellissimo il nome a Parigi, a Londra, in Germania, ed onora Italia, e noi vorremmo che il Municipio di Roma facendo onore a chi nel campo dell’arte di bello italiano splendore rifulge, del Costa si valesse nelle commissioni artistiche, chè in ciò il il suo genio, la sua virtù in tutta grandezza emerge. —
Il Costa fa parte della Congregazione di Carità, e pur quivi sparge sue sollecitudini, e in tutti gli affari comunali ha portato sue premure, suo zelo ed il suo voto è sempre quale si aspetta da un cittadino, che alle più belle virtù della mente congiunge le più rari doti dell’animo, e che sopratutto desidera veder prosperare il Comune e la Razione. —
Ma lo spettacolo purtroppo ci si presenta dinnanzi, di una difettosa amministrazione comunale e nazionale, onde la pubblica e privata prosperità si rende manchevole, e il popolo manda dal petto il gemito di un lungo lamento.
È nella elezione degli nomini destinati al governo della cosa del Comune e dello Stato, che sta riposto il benessere particolare e generale, imperocché sono essi come padri di una famiglia, i quali se inetti a bene amministrare o noncuranti e facili a dissipare, in rovina di leggieri conducono il loro patrimonio, e nella miseria travolgono i figli. —
Stimiamo quindi opportuna cosa in queste nostre biografiche esposizioni presentare nel loro morale, civile e politico aspetto quei cittadini che a Consiglieri comunali furon prescelti, affinchè siano nelle nuove elezioni tenuti in quella considerazione, che i loro meriti importano, ed è desiderevole che uomini, come il Costa, siano per comporre il Comunale consiglio, imperciocché abbiamo in lui un cittadino onestissimo, un uomo di elette cognizioni, un italiano schiettamente liberale, un artista eccellente, che il bene di Roma desidera, e ama che Italia si renda una Nazione sempre più grande, libera, forte, felice, gloriosa. —
Tip. Tiberina Piazza Borghese. | Riccardo Fait — Editore. |