Ben Hur/Libro Primo/Capitolo XII
Questo testo è stato riletto e controllato. |
Traduzione dall'inglese di Herbert Alexander St John Mildmay, Gastone Cavalieri (1900)
◄ | Libro Primo - Capitolo XI | Libro Primo - Capitolo XIII | ► |
CAPITOLO XII.
L’undicesimo giorno dalla nascita del bambino nella caverna, press’a poco a metà giornata, i tre Re Magi si avvicinarono a Gerusalemme, per la via del Schekem. Dopo aver traversato Brook Cedron, essi incontrarono molte persone, delle quali nessuna mancò di fermarsi e di seguirli curiosamente con lo sguardo.
La Giudea era, per necessità, un passaggio internazionale; essa era un rialzo stretto di terra, formato probabilmente dalla pressione del deserto all’est e dal mare all’ovest; sopra l’altura, pertanto, la natura aveva tracciato la linea di traffico tra l’est ed il sud; in questo consistevano le sue ricchezze.
In altre parole, le ricchezze di Gerusalemme eran costituite dalle tasse che essa metteva sul commercio di transito. In nessun altro posto, per conseguenza, meno che in Roma, v’erano assemblee sì costanti di tante persone di diverse nazioni; in nessun’altra città il forestiero era più famigliare agli abitanti, che nelle sue mura e nei suoi dintorni. Eppure questi tre uomini eccitarono la meraviglia di tutti quelli che incontrarono sulla via che conduce alle porte.
Un bambino, che faceva parte di un gruppo di donne sedute sul margine della strada, di faccia alle Tombe dei Re, e vide arrivare la compagnia, immediatamente cominciò a battere le sue manine, e gridò: — «Guarda, guarda! Che bei campanelli! Che enormi cammelli!» — I campanelli erano d’argento; i cammelli, come già abbiamo veduto, erano di una bianchezza e di una dimensione rara, e si movevano con dignità singolare; i finimenti rivelavano la traversata fatta del deserto, i lunghi viaggi, ed anche la ricchezza dei padroni, che sedevano sotto ai loro piccoli baldacchini, precisamente come quando si incontrarono al di là del Jebel. Pure non erano nè i campanelli nè i cammelli, nè i loro finimenti, nè il portamento dei cavalieri, che destarono tanto stupore; era la domanda che fece l’uomo che cavalcava pel primo.
L’accesso a Gerusalemme, dal nord, si compie attraverso una pianura che s’abbassa verso il sud, lasciando la porta che conduce a Damasco in una valle o conca. La via è stretta, ma assai frequentata, ed in certi punti alquanto difficile a cagione dei ciottoli sparpagliati qua e là dall’acqua piovana. — Tuttavia, sopra ogni lato, anticamente, si estendevano dei campi ricchi e dei magnifici boschetti d’olivi, che devono esser stati, per la rigogliosa vegetazione, molto ammirati, specialmente dai viaggiatori stanchi della desolazione del deserto.
In questa via i tre uomini si fermarono davanti alla compagnia ch’era di fronte alle Tombe.
— «Buona gente» — disse Balthasar, dando una lisciatina alla sua barba increspata, e piegandosi sulla sella: — «non è vicina Gerusalemme?» —
— «Sì,» — rispose la donna, nelle braccia della quale erasi rifugiato il bambino. — «Se gli alberi, su quell’altura, fossero un po’ più bassi, potreste vedere le torri della piazza del mercato.» —
Balthasar lanciò un’occhiata al Greco ed all’Indiano, poi domandò:
— «Dov’è colui che è nato Re degli Ebrei?» — Le donne si guardarono senza rispondere.
— «Non avete udito parlare di lui?» —
— «No.» —
— «Ebbene; dite a tutti che noi abbiamo veduto la sua stella nell’est, e che siamo venuti per adorarlo.» —
Dopo ciò gli amici proseguirono per la loro via. Ad altri essi fecero la medesima domanda, con uguale risultato. Una gran compagnia che incontrarono e che si recava alla grotta di Geremia, fu così stupita dall’inchiesta e dall’aspetto dei viaggiatori, che tornò indietro, e li seguì in città.
I tre uomini eran tanto preoccupati dall’idea della loro missione, che non si accorsero del panorama che ora si offriva innanzi a loro, in tutta la sua magnificenza: il villaggio che pel primo li ricevette sul Bezetha; Mizpah e Olivet, alla loro sinistra; le mura dietro il villaggio, con le sue quaranta alte e solide torri, costruite in parte come fortificazioni ed in parte per ornamento; le stesse mura elevate, piegantisi a destra, con parecchie svolte, e qua e là una porta che conduceva ai tre bianchi e grandi edifizi, Fasel, Marianna, e Ippico; Sion, la più alta delle colline, coronata di palazzi di marmo, e mai sì bella; i terrazzi rilucenti del tempio sul Moriah, riconosciuti come una delle meraviglie del mondo; le montagne regali che accerchiavano la città sacra, la quale sembrava costruita nel fondo di un’immenso bacino.
Essi arrivarono, alfine, ad una torre di grande altezza che dominava la porta, la quale, a quel tempo, corrispondeva alla presente Porta di Damasco, e segnava l’incontro delle tre vie da Sheckem, Serico, e Gibeon. Una guardia romana custodiva il passaggio.
Intanto, le persone che seguivano i cammelli, formavano una carovana, sufficiente per attirare gli oziosi sulla porta; cosicchè, quando Balthasar si fermò per parlare alla sentinella, i tre uomini divennero il centro di un circolo, ansioso di sapere tutto ciò che era accaduto.
— «A voi sia pace», — disse l’Egiziano, con voce chiara.
La sentinella non rispose.
— «Noi siamo venuti da lontano in cerca di uno ch’è nato Re degli Ebrei. Potete dirci dove egli sia?» —
Il soldato rialzò la visiera del suo elmo, e chiamò forte. Alla destra del passaggio, apparve un ufficiale.
— «Lasciate passare», — egli gridò, alla folla che ora si era accostata ancor più; e, siccome sembrava restia ad obbedire, si avanzò, facendo girare rapidamente la sua lancia, ora a destra, ora a sinistra, e così fece del largo.
— «Che cosa vorreste?» — domando a Balthasar, parlando nella lingua della città.
E Balthasar rispose nella medesima lingua:
— «Dov’è colui ch’è nato Re degli Ebrei?» —
— «Erode?» — domandò l’ufficiale, confuso. Il regno di Erode è di Cesare; non di Erode. Non v’è altro Re degli Ebrei.» —
— «Ma noi abbiamo visto la sua stella, e siamo venuti per adorarlo.» —
Il Romano rimase perplesso.
— «Proseguite», — egli disse, finalmente. — «Proseguite il vostro cammino. Io non sono un Ebreo. Portate la questione davanti ai dottori, nel tempio od a Hannas, il sacerdote, oppure, e ciò sarà meglio ancora, a Erode stesso. Se v’è un’altro Re degli Ebrei egli lo saprà trovare.» —
Ciò detto, fece largo agli stranieri, onde passassero oltre la porta.
Ma prima di entrare nella via angusta, Balthasar indugiò e trattenne gli amici dicendo: — «Ci siamo sufficientemente annunziati. A mezzanotte tutta la città avrà udito parlare di noi e della nostra missione. Adesso andiamo al Khan». —