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stione davanti ai dottori, nel tempio od a Hannas, il sacerdote, oppure, e ciò sarà meglio ancora, a Erode stesso. Se v’è un’altro Re degli Ebrei egli lo saprà trovare.» —
Ciò detto, fece largo agli stranieri, onde passassero oltre la porta.
Ma prima di entrare nella via angusta, Balthasar indugiò e trattenne gli amici dicendo: — «Ci siamo sufficientemente annunziati. A mezzanotte tutta la città avrà udito parlare di noi e della nostra missione. Adesso andiamo al Khan». —
CAPITOLO XIII.
Quella sera prima, del tramonto, alcune donne lavavano della biancheria, sull’ultimo gradino della scalinata che conduceva allo stagno di Siloam. Ognuna di esse era inginocchiata davanti ad un gran vaso di terra. Una ragazzina ai piedi della scala, forniva loro, dell’acqua, e riempiva l’anfore mentre cantava. La canzone era allegra, e, senza dubbio, allietava il loro lavoro. Di tanto in tanto esse si alzavano sulla punta dei piedi e guardavano su per l’altura di Ophel, ed attorno alla cima di quel che ora è il monte dell’Offesa, allora debolmente rischiarato dal sole morente. Mentre esse affaticavano le mani, strofinando e torcendo la biancheria nei bacini, due altre donne vennero a loro, ognuna con un’anfora vuota sulle spalle.
— «La pace sia con voi» — disse una delle nuove venute.
Le lavandaie tralasciarono il lavoro e si alzarono, asciugandosi le mani, e scambiando il saluto.
— «E’ quasi notte. — E’ ora di tralasciare». —
— «Non v’è fine al lavoro,» — fu la risposta. —
— «Ma v’è un’ora per riposare, e....» —
— «Per sentire ciò che vi può esser di nuovo — suggerì un’altra.
— «Che novità avete?» —
— «Come? non avete sentito nulla?» —
— «No». —
— «Dicono che sia nato Cristo,» — disse l’altra principiando a raccontare.
Era curioso il vedere i visi delle lavandaie illuminarsi per l’interesse; le anfore, in un attimo, furono tramutate in sedili per le proprietarie che sedettero in giro e si fecero attente.