Azioni egregie operate in guerra/1694

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1694.

C
Omandante in Ungheria il Maresciallo Conte Enea Caprara. Febbri moleste, ed altri incomodi, soliti a travagliare i Capitani avanzati in età, e macerati da’ patimenti diuturni di molte Campagne fatte, lo afflissero tutta l’estate; onde solo a Settembre giunse al Campo. Il Generale Herbeville reggeva la Cavalleria a Baja, e il Conte Guido Staremberg la Fanteria con mille Cavalli ad Illok. Il Commissario Generale Haisler, divenuto Conte di Heidershein, Cavaliere industriosissimo, dopo raccolte abbondanti provvisioni, trasportò l’armata a Peter-Varadino. Colà a’ cinque del mese capitò il Caprara, e nel giorno medesimo il Gran Visir, trapassato il Savo, era arrivato a Sallanchement poco di là distante. Attorno a Peter-Varadino due anni avanti era stato inalzato dal Principe di Baden un vasto trinceramento, per racchiudervi occorrendo buona parte dell’armata. Non erano giunte le milizie di Danimarca, di Brandeburg, e di Luneburg, prese al proprio soldo dall’Imperatore. E però il Caprara determinò di trattenersi sulla difensiva. Pose al travaglio i Guastadori, co’ quali fortificò i terrapieni, e alzò i parapetti. Si estendevano gli uni, e gli altri sino attorno alla Città acquatica. Stabilì sulle sponde del Danubio batteria a coperto dalla flotta navale. Essendo insorta grave tempesta, ruppe il ponte. Ma per opera indefessa del Commissario suddetto in poche ore fu riparato e vi fu aggiunto un secondo ponte. Il Caprara accampò molta Cavalleria sull’opposta riva. Chiamò a sé il General Pollant coi suoi, e collocò cinquecento Cavalli all’imboccatura del Tibisco nel Danubio per guardia del bagaglio.

Il Terreno d’attorno a Peter-Varadino forma una specie di Penisola. La Città superiore siede sù un’eminenza, e sù altra più ampia, e più bassa si distendeva il trinceramento Imperiale. La Campagna del distretto viene ripartita in piccole alture, e in valli. Tra queste alloggiò il Gran Visir con l’esercito. Occupò un’Isola sul Danubio, e vi formò grossa batteria, che fiancheggiava l’armamento Navale di cento, e dieci navi Turchesche. Con i Cannoni delle fregate, e con [p. 225 modifica]quelli, che piantò in terra, sino al numero di cinquecento pezzi, faceva volare palle, che accendevano l’aria, e scuotevano con orribile fragore tutto il circonvicino paese. Ma specialmente fulminava con tiri affrettati i ponti, e i legni Cristiani, per romper la comunicazione tra un lido, e l’altro, e per affondare le barche de’ vivandieri. Molti Generali Austriaci insistevano, che si uscisse fuori a battaglia. Aver essi sotto le insegne ventisei mila soldati, capaci di disfare numero assai maggiore di Barbari, com’erasi esperimentato in altre occasioni. E tale appunto era il sentimento dell’Imperatore, a cui sembrava che fusse disdoro grande al suo esercito l’essersi ridotto sulla difensiva, e il perseverarvi lungamente. Apprendeva che le milizie fussero per patir più dalla ristrettezza, dal fetore, dalle pioggie, e da qualche specie di contagione, di quello che sofferto avrebbono, se si venisse a giornata Campale. Per tanto raccomandava al Caprara, che trovasse espediente convenevole, con cui svilupparsi da scena così poco decorosa. Alcuni Ufficiali opinavano, che si uscisse. Sulla diritta esservi un’apertura, sù cui i Nemici avevano eretto un Forte reale. Conveniva espugnar quello; preso il quale s’entrava in una valle, capace di schierarvi sopra cinque mila Soldati, e di là assalire di fianco il campamento Turchesco. Quando anche il tentativo non fusse riuscito, la ritirata era sicura, o almeno si sarebbe mostrata animosità, e coraggio1. Non per questo si lasciò smuovere il Caprara dal suo proposito. Opponeva, che nell’uscire, si doveva sostenere il fuoco d’otto batterie ostili, le quali avrebbono decimate molto le legioni prima di poter schierare tutto l’esercito. Gli approcci de’ Turchi esser alti, profondi, e molto ben intesi. I siti, occupati da loro, capaci d’insidie. Se la sortita riusciva male, gli Ottomani avrebbono concepita maggior audacia. Per tanto il Caprara stette immobile nel suo parere, di non uscire a conflitto, se prima non arrivavano le truppe di Brandeburg, e il Corpo del Pollant. Anzi chiamò al Tibisco dalla Transilvania il Veterani con parecchi reggimenti. Intanto ritirò sotto le mura di Peter-Varadino al coperto i Cavalli, che teneva con lui. Raddoppiò le artiglierie massimamente sul Fiume. Avanzò i legni armati. Con tali diligenze, ed industrie i Cesarei pativano meno le offese ostili. Scrisse poi a Cesare le ragioni del suo operare con circospezione, e cautela. Erano le seguenti. Sapere egli di certo, che gli Ottomani erano superiori al doppio di truppe. Dover egli custodire con grossi corpi di soldatesche l’opposta sponda del fiume, per riparare i foraggieri, e la bocca del Canale dalle escursioni de’ Tartari. Riflettesse la Maestà sua, come le vicende della guerra, e gli esiti de’ fatti d’arme sono incerti, e soggetti a casi strani. Se si perdeva la battaglia, tutti l’avrebbero incolpato di temerario, e di pazzo, per non [p. 226 modifica]aver attesi i soccorsi già in viaggio, quando niuna necessità lo stringeva a combattimento. Dall’altra parte l’esercito, confidato alla di lui direzione, era il sostegno, e la fermezza del Reame d’Ungheria; e però non conveniva l’avventurarlo.

All’Imperatore dispiaceva, che l’esercito suo si fusse ridotto in quella penisola, in vece di eleggere situazione più aperta da i lati. Replicò il Caprara, come anch’egli giudicava, che sarebbe stato più conveniente lo scegliere campagna spaziosa. Confessar egli, che le massime militari disapprovavano, il lasciarsi cogliere tra ristrettezze. Altro posto più abbasso sarebbe stato assai più confacevole, ed opportuno. Ma quando egli giunse al Campo, non istava più in suo potere l’occuparlo; Poichè il Visir era arrivato a Sallanchement. Con questa rimostranza pretese il Caprara di rovesciare il fallo, sù chi prima del di lui arrivo comandava, il quale trascurò d’accampare più abbasso in posto migliore. Aggiunse, come avendo gli Uffiziali arrolata gente di nazione straniera, questi tutti fuggivano a’ Turchi.

Il Visir impiegò gli sforzi maggiori contra de’ ponti. Trasportò sui carri al di sopra di PeterVaradino varie barche, cariche di materie incendiarie, e gettatele nel Danubio, le lasciò scendere abbasso, per attaccare fuoco a’ legni del ponte, e alle barche. Lo stesso fece col mezzo di grossi travi d’alberi, armati di folti, e grossi chiodi. Promise premj grandi a’ nuotatori, se con falci tagliavano le funi, le quali sostenevano le ancore. Tutti questi attentati furono resi inutili dalla vigilanza de’ Capitani, e dalla moltitudine de’ soldati Cesarei, che vegliavano alla custodia de’ ponti. Il Caprara avanzò varie batterie sul Danubio, che offendevano assai la flotta Infedele. Ordinò, che dall’Ungheria calasse nuovo legname, da riparare qualunque danno fusse per seguire. E perchè tal disertore avvisava, che gli Ottomani fussero per tentare un assalimento universale agli trinceramenti, al navaglio, al ponte; egli regolò, come ributtarlo ad ogni parte. Determinò, di contrastar il terreno a palmo a palmo, alzando altri nuovi ripari ne’ siti, ove i primi erano indeboliti dalle batterie nemiche. Al di fuori fece scavare fornelli, e caricarli di polvere, per isbalzare in aria gli aggressori a misura, che si accostavano. Preparò ogni genere di fuochi artificiati, altri per ispargerne nella salita anteriore del Colle, altri per avventarli contra i Barbari, che avanzassero. La stagione correva mal sana, e ingombrata da nebbie. All’ombra di queste, cinque mila Tartari, resi animosi, sù ottanta piccoli legni valicarono il Danubio, tirandosi dietro i Cavalli a nuoto. Uccisero, o fecero prigioni alcuni cento foraggieri, e predarono alquanti carra de’ vivandieri. Il General Corbelli con tre mila Cavalli diede loro addosso, e li pose in fuga. Ma perchè non giudicò opportuno di perseguitarli più oltre, essi ritornarono, catturarono molti, e rapirono mille animali con altre spoglie. I Rasciani di Titul compensarono la perdita, rendendosi padroni di [p. 227 modifica]venti barche Turchesche, cariche di polvere, viveri, e Cannoni. Arrivò finalmente il General Polland con quattro reggimenti di Corazze, e due d’Ussari. Sopraggiunsero pur anco i Brandeburghesi. L’aria stemperata, e la stagione irrigidita avevano cagionate malattie copiose nel Campo Cesareo. Da cinque mila ve n’erano distribuiti negli Ospedali campestri col Generale Staremberg. Il Caprara giudicò meglio il prevalersi de’ venuti di nuovo, per rimpiazzare il vacuo degl’Infermi. La somma dell’impresa, al parer suo, si riduceva, a chi potesse più pazientare, e tollerare. Il giorno de’ ventitre di Settembre turbini impetuosi di venti con pioggie foltissime si scaricarono sopra quelle campagne.

Empirono d’acqua gli aprocci Monsulmani, ed obbligarono i soldati a perseverare in mezzo ad essa, o nel pantano sino al ginocchio. Le vestimenta erano rese molli. L’uno, e l’altro esercito pativa assaissimo; ma meno assai i Tedeschi, perché collocati in sito alto, d’onde scolavano facilmente le acque al basso. Godevano qualche riparo dalle Case di Peter-Varadino. Laddove i Padiglioni degl’Infedeli erano inondati da torrenti, che dilatavansi per quelle Valli. E però il Gran Visir risolvette di decampare. L’ultimo del mese da tutte le batterie scaricò palle frequentissime, e continuate. E già i Cristiani si apparecchiavano, a sostenere un generale assalimento. I minatori colle micchie alla mano erano pronti a metter fuoco ne’ fornelli. La mattina seguente capitò un disertore, il quale avvisò come la notte, ritirate le artiglierie, abbattute le tende, erano i Turchi, non ostante l’orrida giornata, mossi in marcia accelerata verso Belgrado. Il Caprara spedì loro addietro gli Ungheri, che catturarono, o uccisero molti infermi, lasciati indietro dal Visir nel viaggio affrettato, per timore di essere inseguito. Ma non volle il Caprara progredire a mosse ulteriori in paese ineguale per alture, e bassure, capaci d’imboscate, ed allora mezzo disfatte da’ fanghi, e dalle pioggie. Attese a ristorare con ogni specie di fomento i proprj soldati, de’ quali fu sempre padre attentissimo, a non avventurarli fuor di proposito, e premuroso di conservarli in sanità, e in forze corporali, per averli pronti ad imprese sicure. Lo strapazzo delle milizie fa perder gran numero di buoni, e Veterani soldati, i quali poi non si rinnovano così facilmente. Trasportò le sue genti dall’altra parte del Danubio, abbondante di vettovaglie, dove respirassero aria migliore dopo un’oppugnazione di ventidue giorni. Ordinò, che si dirizzassero ponti sul Tibisco, e sù gli altri fiumi, per poter foraggiare più alla larga, ed avere libertà pronta ad impedire le scorrerie nemiche.

Licenziò il Veterani per il ritorno in Transilvania, e il Polland, perché andasse al Maras. Provvide Peter-Varadino di tutto il bisognevole, ed augumentò di due mila uomini la solita Guarnigione, a cui fece dispensare accrescimento di paghe, perché avessero coraggio da tollerare gl’incomodi della futura vernata. [p. 228 modifica]

Al Gran Varadino tutto era apparecchiato per l’assedio di Giula. Il Caprara, che sempre amò di risparmiare le truppe, temette, che essendo Giula in mezzo a Campagne paludose, rese peggiori dalle pioggie cadute, temette, che se vi si collocavano sotto i soldati, molti di quelli sarebbero periti, anche per la difficoltà, di carreggiarvi tempestivamente le vettovaglie, necessarie al loro sostentamento. Quindi consigliò, che si formasse un semplice blocco, attorniandola alla larga con duplicati corpi di truppe; onde fusse impedito a’ Turchi il trasportarvi de’ viveri, massime quando il freddo aggiacciasse i luoghi vallivi. Il consiglio sortì ottimo effetto. Il Polland serrò il transito: battette più Convogli: sorprese la Città, improvvisamente assalendola. Con tali industrie, senza consumar gente, colla fame nel fine di Decembre obbligò la Guarnigione, ad arrendere quella Fortezza. L’acquisto fu molto opportuno per la sicurezza maggiore della Transilvania, come anco per attraversare le scorse de’ Ribelli. Nel

  1. P. Vagner suddetto tomo 2 pag. 274, 275.