Azioni egregie operate in guerra/1695

1695

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1695.

C
omparvero in Ungheria due Gran Principi, Capi, e condottieri d’armate. L’uno fu Federigo Augusto Elettor di Sassonia a quella di Cesare. L’altro fu Mustafà Gran Signore de’ Turchi all’Ottomana. L’Elettore Federigo Augusto Giovine di venticinque anni, nerboruto al sommo di persona, attivo, inclinato a’ comandi, accordò otto mila uomini al servigio in Ungheria, ed esibì di andarvi egli medesimo coll’autorità, già goduta dal Duca di Baviera. Il Sultano era asceso novellamente al Trono di Costantinopoli per la morte di Acmet suo Zio. Ebbe per padre Mahomet quarto autore della presente guerra, e per Madre una Giovine, nata in Rettimo Città di Candia, e Figlia di Sacerdote Greco Donna d’ingegno sagace assai, e di buon consiglio, che con felicità si maneggiò ne’ grandi affari di quell’Impero. Mustafà giovine d’anni trentauno, robusto di corpo, vivace di cuore, pieno di spiriti bellicosi, liberale, alieno dalle crudeltà, e dalle violenze, geloso che fusse fatta giustizia ad ogn’uno di qualunque professione. Divenuto Monarca, non parlava d’altro che d’armi, e questo era il suo diletto. Si dichiarò, che marcierebbe alla testa dell’Esercito sulla traccia degli Antenati. Richiese subito a’ Bassà Governatori delle Provincie il ruolo, di quanti soldati a piedi, e a cavallo potevano condursi in campagna. Sotto di lui ne pretendeva cento mila. Nella sua Regia non si poteva più favellare nè di caccia, nè di solazzi. Tutti i Cortigiani, accomodandosi al gusto del Sovrano, non applicavano se non ad interessi militari. Mille Paggi grandi di tutte le nazioni, volle, che militassero Guardie a cavallo. Quanti servivano a Bassà, e ad altri Capi, ordinò, che si arrolassero nelle schiere della Cavalleria. Con queste, ed altre diligenze contò nel presente, e negli [p. 229 modifica]anni susseguenti sotto le insegne parecchie migliaja di Veterani. Mandò Editto, con cui insisteva, che le soldatesche assai a buon ora fossero in viaggio. Fece strozzare il Visir, che tentò di moderare questo gran genio. Scrisse di sua mano le lettere del seguente tenore al nuovo Gran Visir, a Beglierbei, e ad altri Bassà. Sappiate, come il Dio del Cielo mi ha creato Imperatore, perchè renda felice il mio popolo colle mie fatiche, e vigilanza. L’Avolo, ed il Padre, dopo che dall’aspra severità de’ maggiori divertirono all’ozio, al lusso, e a’ piaceri, colla loro scioperatagine afflissero con grandissime calamità la Nazione Monsulmana. Mio Padre dato alla caccia, in vece di maneggiare la sciabla, uscire in campagna, debellare i nemici, vide lacerata vergognosamente la sua Monarchia da’ Principi Cristiani in quattro diverse frontiere. Ho fermamente stabilito di privare il corpo del sonno, delle delizie e de’ passatempi oziosi, per affaticarlo in imprese utili al mio popolo, vero servo di Dio. E voi o Visir, Beglierbei, Sangiacchi, ed altri Ufficiali giustamente dovete operare altrettanto, ed uscire a combattere, gareggiando meco vostro Sovrano per la conservazione della Maomettana credenza. Volete intendere, sin dove aspirino le mie brame? Udite attentamente. Il Proavo mio Solimano in trentaotto anni di felicissimo Impero, governò quasi tutte le faccende militari da sè medesimo. La massima età della Vita sua la passò non nel serraglio, ma sotto i Padiglioni. Il che rese lui un Monarca ammirabile, egregio, e maggiore del Magno Alessandro. Questa maniera di vivere gli conciliò venerazione, e rispetto sommo appresso de’ suoi, e suscitò massime speranze tra Monsulmani. Altrettanto ho deliberato io di fare. Tale fu il tenore della Lettera di Mustafà.

Alle parole succedettero pronte le operazioni. A’ venti di Luglio si mise il primo in viaggio con cinquanta mila Combattenti. Ordinò, che gli altri lo seguissero con celerità. Il fervore della Corte Ottomana nell’armare grosse truppe, eccitò i ministri di Vienna a darsi fretta per una valida opposizione. L’Imperatore aveva impegnato il Duca Federico Augusto Elettor di Sassonia, perchè uscisse con otto mila de’ suoi in Ungheria al comando del proprio esercito. Fu richiesto il parere del General Veterani per l’espedizione della prossima estate. Egli consigliò l’assedio di Temisvar, il di cui territorio fertilissimo riuscirebbe attissimo, a mantenere milizie, e faciliterebbe la comunicazione tra l’Ungheria, e la Transilvania. Ma conveniva affrettare l’uscita da’ Quartieri, e sul principio della Primavera formare un accampamento di cinque mila Cavalli alla palude Bezkerekia tra Belgrado, e Temisvar. Sulla fine di Maggio poi cominciare l’assedio, quando le valli sono più scarse d’acqua. Egli medesimo empirebbe i Magazzini di Lippa, Karansebes, Lugos con cinquanta mila centinaja di farina, e con settanta mila moggia di avena. In oltre ordinò a’ Governatori di Lugos, e di Karansebes, che munissero que’ luoghi con un nuovo [p. 230 modifica]trinceramento. La proposta piacque alla Corte, e Leopoldo ordinò, che fussero trasportati a Seghedino, Varadino, e altre piazze del Vicinato frumenti per tre mesi a tutte le truppe. Ma la tardanza, o altra mancanza ruppe l’ottimo disegno. I Sassoni non giunsero al Tibisco se non sul fine d’Agosto.

L’Elettore però fu a Vienna a’ ventitre di Giugno. Il Maresciallo Caprara, destinato sotto di lui, raggiunto al Campo, vi trovò da quaranta mila soldati. L’Elettore, capitatovi dopo, visitò tutti i contorni di Peter-Varadino, e avanzò al di sotto di questa Fortezza sù sito eminente con alla sinistra il Danubio, e alla diritta una piccola Valle bagnata da fiumicello.

Lo stesso giorno arrivò a Belgrado il Gran Signore. Gettò due ponti, l’uno a Semlino sul Savo, l’altro a Panzova sul Danubio, minacciando nel tempo stesso la Schiavonia, e la Transilvania. Teneva sospesi i Cesarei, del dove fusse per avanzarsi. Ed essendo egli come nel centro, poteva finger d’incamminarsi ad una parte, e colà tirarvi i Tedeschi, obbligandoli ad un lungo giro, poi rivolgersi all’altra, ed arrivarvi prima che gli stessi Tedeschi vi potessero ritornare. Egli tenne questo metodo. Avanzò la flotta navale, più forte assai della Cristiana, sino a Sallanchement contra Peter-Varadino, e Titul, in apparenza d’assalire l’uno, o l’altro. Coll’esercito tragittò il Danubio, e si collocò sotto le mura di Temisvar in positura d’entrare nella Transilvania, assai prima, che l’Elettore vi arrivasse cogli Alemanni. Custodiva quella Provincia il General Veterani. Accrebbe il presidio di Lippa la più esposta. Con cinque mila Cavalli, e pochi fanti alloggiò sù i confini, verso dove potesse facilmente congiungersi all’esercito Capitale.

L’Elettor Sassone, lasciato un grosso corpo di soldatesche alla custodia di Peter-Varadino, con quattro giorni di viaggio arrivò al Tibisco, e lo trapassò a Betsch. Colà incontrò paludi vaste, che gli ostavano andar avanti. Il Caprara aveva ordinato, che sù quelle fussero dirizzati ponti, e per coprirli vi avea spediti alcuni reggimenti. L’Ufficiale, che s’era incaricato il lavoro, quantunque applicato, e faticante, questa volta, non si sa perchè, non gli aveva fabbricati; Del che se ne dolse acremente il Caprara, e ne intentò accusa al Consiglio di guerra. Per questa mancanza fu impedito procedere, e dar battaglia al Sultano sotto Temisvar. Nè meno si poteva camminare sulla sponda sinistra del Tibisco, per non prestar il fianco al nemico: cosa pericolosa. Convenne per tanto ripassar il fiume, perdere più giornate, ed andar a ritrovare l’altro ponte della piccola Canissa, ed ivi travalicarlo. Nel mentre che gl’Imperiali sono costretti a consumar tanto tempo ne’ giri d’un nuovo viaggio, il Sultano distaccò quindici mila Turchi, che circondata Lippa senza premetter trincee, avvicinati al fosso, lo riempirono di fascine, ed altri materiali. Indi replica[p. 231 modifica]rono tanti assalti gli uni dopo gli altri, che stancarono la Guarnigione, la quale avendo resistito con disperato valore per quattr’ore continue, finalmente abbattuta di forze, ed oppressa dalla moltitudine ostile fu superata a viva forza, e fu tagliata a pezzi alla riserva del Comandante Baron Foldo, con alcuni pochi. Il Sultano ordinò, che Lippa si distruggesse col fuoco. I Cannoni, e le munizioni da bocca, e da guerra raccolte dal Veterani per l’assedio progettato di Temisvar in copia, fussero trasportate in questa Piazza. Il Conte Solari, avendo preinteso, che i Turchi si avvicinavano all’Ungheria superiore, accrebbe con gran prestezza le Guarnigioni Cesaree del Gran Varadino, di Giula, e di Lenos con nuove Soldatesche.

L’Elettor Sassone era arrivato sul Maros; e tanto Egli, quanto il Caprara avevano scritto al General Veterani, che si collocasse in positura da congiungersi facilmente con loro. Quando giunse notizia al Campo Cesareo, che dalla flotta Navale Ottomana erasi fatto sbarco sotto Titul con cinque mila Soldati; i quali nel primo giorno erano giunto al labro del fosso. E non comparendo soccorso, né per terra dal General Herbeville accampato a Cobilla, né per acqua dall’Ammiraglio Ascemberg, i Presidiarj eransi resi a patti. S’intese pure, che il Gran Signore s’andasse ritirando verso Temisvar, come in mossa al Danubio; e però fu creduto per errore, che s’incamminasse verso Peter-Vardino. L’Elettore, troppo intimorito, e persuaso da qualche Generale, che il Sultano la volesse a quella Piazza, ritornò al Tibisco, per essere a tiro di soccorrerla. Di questo moto retrogrado de’ Cristiani si prevalse Esso Sultano, per dar addosso al Corpo del General Veterani. Avvertito questi, che comparivano ne’ suoi contorni grosse bande di Turchi, e di Tartari, non seppe persuadersi, che contra di lui marciasse l’armata Monsulmana1. Era stato ragguagliato, che l’Elettore fosse giunto poco lungi da Lippa; ma non aveva ricevuto avviso, che poi avesse dato addietro. Giudicò che gli Ottomanni, tenendo prossima l’armata Cristiana, non avrebbero osato di rivolgersi verso di lui colle maggiori forze; tanto più che dall’Elettore non aveva ricevuto niun avviso del recesso. Certificato finalmente dalle Guardie avanzate che gl’Infedeli si dilatavano per le Campagne in apparenza di gran moltitudine, si preparò alla meglio che potette per la difesa. Aveva eletto un posto vantaggioso con bosco ad un fianco, palude all’altro, ed avanti certo fosso, sulla sponda del quale alzò riparo tumultuario, e vi collocò quattro Cannoni.

Quindici mila Gianizzeri, sei mila Albanesi, venti mila Cavalli circondarono il Campo Alemanno del Veterani. Aveva Egli sotto le insegne cinque mila Cavalli, mille Ungheri, e mille Fanti Tedeschi. [p. 232 modifica]Sul far del giorno i Barbari eressero due batterie, colle quali tutta la mattina fulminarono i Cristiani. Indi sotto gli occhi del Sultano, che vi accorse colla presenza, vennero all’assalto, ora tentando di diroccare il riparo, ora piantando scale per salire sopra. A’ stanchi, e a’ feriti sottentravano truppe fresche, mantenendo sempre viva la zuffa. Per cinque ore i Cesarei, risoluti di non morire invendicati, sostennero la battaglia con ogni sorte d’arme. Tre volte cacciarono fuori i nemici, che si erano intrusi nelle trincee. Co’ corpi estinti chiusero le aperture fatte. Dieci volte ripulsarono gli aggressori. Contra la piena de’ Barbari il Veterani animava le truppe ad operare con fermezza, e con generosità. Finalmente vedendo defaticati, e quasi privi di forza i suoi Soldati; poichè i medesimi dovevano far fronte continuamente a’ nuovi battaglioni, e squadroni Turcheschi, che si davano a vicenda la muta; pertanto applicò alla ritirata, nella quale volle tenersi al retroguardo. Di tempo in tempo colle ultime file rivolgeva la faccia. Allora, chi scrive una moschettata, cogliendolo nella mamella sinistra, e chi ne annovera cinque, lo gettarono da cavallo mezzo morto. Raccolto da’ suoi, fu collocato nella propria carrozza, per essere condotto in salvo. Il cocchio incagliò nella palude, senza poterlo muovere. E però fu d’uopo metterlo a cavallo con l’assistenza di due a’ lati; perchè da sè solo non poteva reggersi. Dovendo poi viaggiar lentamente, fu sopraggiunto da’ Barbari, che cacciatolo di sella, lo trucidarono a loro voglia. Presentata la testa dell’ucciso al Gran Signore, esso commiserò la disgrazia di soggetto, dotato di segnalata virtù; e ordinò, che unito al capo il busto, fusse seppellito onorevolmente. I Turchi medesimi lo esaltavano col nome di Gloria de’ Cristiani. Era Cavaliere d’una fedeltà inalterabile verso l’Augusto Signore, in cui non la cedeva a’ sudditi nazionali. Appresso tutti riportava il vanto d’eccellente integrità, di singolare modestia, di temperante astinenza, di savissimo consiglio, e di robustissimo valore. Fra tanti Capitani, che finirono di vivere nel corso della presente guerra, di niuno fu tanto compianta la morte con sincero, ed affettuoso dolore, dopo la perdita del Serenissimo di Lorena, quanto quella di sì Illustre Generale. Urbino sua Patria può con ragione gloriarsi di Personaggio eminente in tante doti preclare. Nella battaglia perirono da tre mila Cristiani: e degl’Infedeli, chi scrisse cinque, chi otto mila, tra’ quali il Beglierbec di Romania, il Bassà d’Albania: molti Capi de’ Gianizzeri, e degli Spay. Per questi, benchè poco rilevanti avvantaggj, s’insuperbirono tanto il Sultano, quanto i suoi Generali. Crebbero in orgoglio, e in isperanze; finchè due anni dopo il Principe Eugenio diede loro disfatta così orribile al Tibisco, che li costrinse a concordia, la più disavvantaggiosa di quante avesse mai [p. 233 modifica]pattuite l’Imperio Ottomano. Di tale percossa non occorre favellare; poichè può leggersi minutamente circonstanziata in più Istorici Italiani.

Con questa pacificazione l’Imperatore estese il suo dominio a più centinaja di miglia in un Paese fertilissimo, e capace di ridursi a grande popolazione, co’ frutti del quale accresceva al doppio i suoi eserciti, e poteva mantenerli abbondantemente. Riebbe quasi tutta l’Ungheria, per divorar la quale eransi affaticati per lo spazio di due secoli i Gran Sultani, nè per anche avevano potuto ingojarla tutta. Quanta parte abbiano avuto i Generali Italiani, tanto nel riacquisto di quel Reame, quanto nel conservarlo soggetto, ed ubbidiente a Cesare, può rintracciarsi più ampiamente appresso gli Scrittori di quel tempo, e da noi si è accennato brevemente in questa Scelta. Essa termina col secolo decimo settimo di nostra Salute. Dalle notizie sin ora prodotte, e da altre facili a ritrovarsi negl’Istorici, accennati sul principio dell’Opera, rimane provato, come l’Italia può gloriarsi, d’aver illustrato il secolo trascorso con eccellenti Condottieri d’eserciti, arricchiti di cospicui talenti, e di scienza perfetta a ben governare la guerra in tutti i suoi movimenti. Hanno pur anco abbondate egregie gesta militari, degnissime d’ammirazione, e di applauso al pari di quelle d’altre Nazioni.

Aggiungo due riflessioni, capaci di dar risalto maggiore alle virtù, e alle azioni preclare de’ Generali Italiani. I Comandanti d’altre Nazioni sortirono comune la Patria co’ loro Soldati; perciò in avvantaggio possedettero quella estimazione, ed affezione, che la natura suole inspirare verso a’ Capi Nazionali con un impegno speciale per la gloria de’ medesimi; là dove gl’Italiani dovettero reggere quasi sempre Milizie straniere. Quindi ebbero bisogno di un gran capitale di talenti, per comperare, ed ottenere la loro stima, e il loro amore. Più lungamente ebbero a travagliare, e penare per meritarsi gran concetto, e grande propensione. Ciò non ostante conseguirono appresso di loro credito segnalato, e benevolenza singolare. Il che dimostra, che l’abilità, e i pregj loro furono assai illustri, e le loro gesta molto strepitose, e stupende, se giunsero a renderli apprezzati sopra l’ordinario, e assai ben voluti dalla moltitudine delle Soldatesche a loro Forestiere.

L’altra riflessione considera le memorie di pietà, di modestia, di moderazione, di carità, e di altre virtù Cristiane, encomiate dagli Scrittori anche Oltramontani nel Marchese Carlo Andrea di Torrecuso, ne’ Conti Mattia Galasso, Raimondo Montecuccoli, Pietro Strozzi, Enea Piccolomini, Federigo Veterani, Mi[p. 234 modifica]chele d’Asti, Principe Eugenio di Savoja, ed altri. L’aver Essi saputo combinare le virtù morali colla professione dell’armi è impresa arduissima a riuscire, ed è pur anche accopiamento, non così obvio a rinvenirsi, se vogliamo prestar fede al Poeta, ove dice Nulla fides pietasque viris qui Castra sequuntur; e se abbiam credenza alle Istorie di tutti i Secoli. Sarà dunque questo eccellente pregio, quanto raro, altrettanto decorosissimo, onorevolissimo, e lodevolissimo ne’ sopraccitati Generali d’Italia, ne’ quali risplendette con ammirazione singolare.


  1. P. Vagner Istoria suddetta tomo 2 pag. 296, 297.