Azioni egregie operate in guerra/1689

1689

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1689.

I
N quest’anno i due Eserciti Cristiano, ed Infedele furono non molto potenti. Quello del Sultano per le ribellioni, e perturbazioni, che regnavano nel di lui Imperio: Quello di Cesare, per essere trapassate al Reno oltre le truppe degli Elettori, e de’ Circoli Alemanni, molti Reggimenti Imperiali con oggetto di riacquistare a tre Elettori le Città loro primarie, cadute l’Autunno passato in potere del Re Cristianissimo. Questa debolezza di forze fu cagione, che tardi assai si cominciasse a guerreggiare in Ungheria. Le truppe Imperiali acclamavano per loro Capo il Generale Co. Antonio Caraffa1; tanta era l’estimazione, ed affezione loro a’ talenti egregj di questo celebre Capitano. Ma l’Imperatore abbisognava della di lui attività infaticabile, e industria provvida al Reno, per raccogliere Magazzini copiosissimi di munizioni da bocca, e da guerra al sostentamento delle imprese colà disegnate. Nella Primavera, e nell’Estate trascorse Egli per la Svevia, e Franconia, ed alto Reno, a congregare vettovaglie, muovere condotte di barche, e di carri, per introdurle ne’ Magazzini Alemanni, e di là al Campo. Sollecitò la pigra lentezza delle Città di Francfort, Norimberga, ed altre, meglio proviste d’artiglierie, di polvere, e di altri attrezzi Militari, perchè le spedissero con celerità agli assedj meditati. Instancabile ne’ passi, nelle esortazioni, nell’uso delle industrie, mai non si diede riposo, acciocchè il bisognevole corresse da più parti agli eserciti assedianti.

In Ungheria sù destinato il Principe Luigi di Baden, e Generali subalterni, oltre a molti Alemanni i Conti Piccolomini, Veterani, Castelli, e Marchese Patella Italiani. L’Esercito capitale era composto di circa ventiquattro mila Combattenti. Solo agli ultimi d’Agosto lo mosse il Principe contra un corpo di Cavalleria nemica, alloggiata sulla Morava. Reggeva l’ala diritta il Veterani, la sinistra il Piccolomini. Precedevano co’ Dragoni il Santa Croce, e cogli Ungheri, il Diac, e il Csaki. Il primo a raggiungere i Barbari fu il Veterani, e ad assalirli di fronte, e di fianco. Superate strade ardue, e sortito da un bosco, sopraggiunse il Piccolomini2. Allora i Barbari si diedero ´ [p. 218 modifica]alla fuga, lasciando in abbandono i Cavalli voti, dodici stendardi, e altre spoglie. La sera medesima il Principe di Baden accostò al ponte del fiume tutto l’esercito. Di là s’alzava una foltissima selva, in cui il Generale Staremberg, ed altri Ufficiali avevano collocati alcuni battaglioni, i quali assaliti da tre mila Gianizzeri, versavano in pericolo di dover perdere il posto per il violento attacco nemico; quando furono opportunamente soccorsi dal Conte Solari, il quale cacciati i Barbari, eresse un trinceramento, con cui assicurava il possesso del bosco. Il Baden, ristorate le milizie con breve sonno, e col cibo, venne avanti l’aurora: tragittò il fiume con tutto l’esercito: Appoggiò il lato destro alla Morava, e il sinistro al bosco, e quivi introdusse la Cavalleria, come in aguato. Propizia una densa nebbia coprì le mosse, e le disposizioni degl’Imperiali. Svanita questa, le due armate furono a veduta. I Turchi sul principio si persuasero di aver a fronte la sola Fanteria, e però a più caldo, ed impetuoso furore pugnarono con Cannoni, e colla Moschetteria. Fecero impeto contro i Cavalli di Frisia, per atterrarli, ed entrare colla Cavalleria de’ Spay ne’ pedoni Cristiani. Due ore durò il fuoco violentissimo; allorchè dal Bosco uscì il Generale Castelli alla testa de’ Dragoni. Collo strepito raddoppiato delle trombe, e de’ timpani, ostentò numero maggiore di truppe. Ingannati i Barbari diedero addietro, e cederono tanto di sito, in cui la Cavalleria Tedesca ebbe agio di ben ischierarsi. Da Cristiano, fuggito dal Campo nemico, e venuto a rendersi intese il Baden, che di là da altra selva alcuni mila Gianizzeri lavoravano gagliardamente dietro a gran fosso, per ultimare certo trinceramento, da loro incominciato. Avvicinatosi il Baden colà, fu salutato da salva terribile di palle, che uccise quattro Capitani, e molti gregarj. Allora presentò gli Squadroni de’ Corazzieri; e colla comparsa d’essi talmente spaventò que’ Barbari, che gli pose tutti in fuga. Nel Campo, lasciato da coloro, raccolse preda opulenta di grano, orzo, vettovaglie, giumenti, Cannoni, e di ogn’altro genere di roba, con la preda delle quali ristorò assai bene, e arricchì i proprj Soldati. Tutto era stato abbandonato dagl’Infedeli. Giacchè la sorte favorevole continuava, il Principe volle prevalersene, col tentare un terzo combattimento sopra de’ Monsulmani. Il Cielo col mantenersi sereno, prosperò il viaggio a Nissa. Sotto quella Piazza il Serachiero aveva radunate le truppe disperse, ed accresciute per nuove milizie capitate da Costantinopoli. Alloggiava in un posto quasi innaccessibile tra il fiume Nissava, ed un monte di mediocre altezza. Con ripari ben intesi aveva assicurato la fronte del proprio esercito. Il Baden, avvicinatosi ad un miglio, gettò un ponte sulla Nissava. Ricavò da’ prigioni, che l’accampamento Turchesco era aperto di dietro. Il monte però, che copriva un loro fianco, si poteva girare attorno per certa angusta valle, e sù quella venire alle spalle de’ Turchi. Per la valle medesima s’insi[p. 219 modifica]nuò il Principe; ma tra quelle strettezze insistette, che si conservasse l’ordinanza. La strada aspra ritardò il compimento del viaggio sino a quattr’ore dopo mezzo giorno. Tre mila Turchi assalirono la retroguardia, dove era il bagaglio. Con mille Corazze il Veterani li ributtò. Dalle mosse de’ Cristiani si accorsero gl’Infedeli, che quelli venivano loro alle spalle; e però si applicarono a stendere con somma fretta il trinceramento anche colà. Ma non ebbero tempo da compirlo; poichè il Baden, coperta la sinistra col fiume Nissava, oppose la diritta al monte. Non erano per anche stabilite affatto le file, quando un Corpo di Gianizzeri, calando dall’altura, assalì furiosamente. Il Generale Staremberg ripulsò bravamente i primi impeti; sinchè rinforzato da freschi battaglioni, rintuzzò il loro ardire. Violenza più gagliarda dovette sostenere l’ala sinistra, non per anco ben coperta da’ pedoni di mezzo, e dalle Corazze del Caprara. L’impressione fu così veemente, che gli Ussari furono rovesciati. Il General Piccolomini con mille Corazzieri sottentrò alla difesa; finchè ragguagliate tutte le file, il Generale Haisler cominciò coi Fanti a salire il monte. Le moschettate de’ Turchi diluviavano loro addosso, e le molestie della salita gli affaticavano. Ma la intrepidezza del loro spirito, e l’esser accostumati i Tedeschi a’ pericoli, affrettava i loro passi. Giunsero a sito più piano; ed ivi colle scariche veementissime sloggiarono i Barbari, e li cacciarono più in alto. Gli Ottomani, vedendo insuperabili gl’Imperiali, e conoscendo d’esser ridotti a posti così rinserrati, che appena potevano maneggiare le armi, cercarono strada, ove salvarsi. Non trovandone altra, buona parte si gettò nella Nissava, per tragittarla a nuoto, e parte uscì dal trinceramento. L’oscurità della notte salvò a molti la vita; Con tutto ciò ne perirono, o uccisi, o affogati nell’acque da dieci mila. I Corazzieri medesimi scesero da Cavallo, ed augumentarono la strage de’ vinti. le tre vittorie furono gloriosissime, tanto al Principe di Baden quanto agli Ufficiali, e a’ Soldati Cesarei. Erano soli sedici mila, e gl’Infedeli quaranta mila. Il vincere fu parto d’imperterrita bravura, d’invincibile fermezza, e d’ordine costantemente regolato, nel mantenere il quale si segnalarono sopra modo i Generali. Copia grande di vettovaglie ritrovate nel Campo ostile rallegrò, e confortò gli stanchi, ed affannati Cesarei. Nissa venne in loro potere, e tutto il paese sino al monte Emo.

Di là si rivolse il Principe al Danubio, per impossessarsi di Orsova, di Vidin, e del corso di quel fiume. Prima però disfece un corpo di cinque mila Cavalli, e tagliò a pezzi altre milizie di Gianizzeri, la ruina de’ quali persuase il Presidio di Vidin a convenire per la resa. Il Principe di Baden distribuì le truppe alla conservazione de’ grandi acquisti, da lui fatti. Pose Governatore in Nissa il Generale Co. Enea Piccolomini con cinque mila Alemanni, metà Fanteria, e metà Cavalli, oltre gli Arciduchi, ed Ussari. Ma perchè questi erano in[p. 220 modifica]sufficienti a far fronte contra il Seraschiero, accampato a Soffia con maggior numero di truppe, lo stesso Baden dopo la presa di Vidin, gli spedì altri reggimenti in rinforzo. Frattanto le vettovaglie mancavano, e il riscuoterle con violenza dagli abitanti del circonvicino Paese era un inimicarsegli. Dall’altra parte le Soldatesche, defatigate da una penosa Campagna, chiedevano d’esser ristorate con buoni quartieri. La virtù, e le maniere industriose, ed affabili del Piccolomini provvidero a sì importante necessità. Cogli esempj della propria sofferenza, e con soavi parole si guadagnò l’affetto delle Soldatesche3. Colla cortese amorevolezza, e co’ tratti obbliganti si comperò la benevolenza de’ terrazzani, i quali gratuitamente gli somministrarono viveri in abbondanza. Col tenore del viver suo s’acquistò Egli il credito di Personaggio innocente, dolce, temperante. L’estimazione così onorevole gli fece ottenere, quanto sapeva addimandare. Assicuratosi della fedeltà de’ Paesani, avanzò i passi, ed occupò Cassovia, e Mitrovitza, due porte d’ingresso nella Bossina. Pristina lo accolse spontaneamente; indi entrato in ampie Campagne, fu ricevuto da moltitudine di Contadini, venutigli incontro, che l’acclamarono qual liberatore, ed Uomo Celeste. Contribuirono alle truppe, con che reficiarsi in copia, e lautamente. Giunse in Scopia, Città popolatissima, e molto ricca, abbandonata da’ Terrieri. Ivi fece un grossissimo bottino di grano, ed altro, valevole a ben sostentare i suoi. Diede poi addietro, e lasciati presidj su’ Confini della Bossina, acquartierò la maggior parte de’ Reggimenti. Adagiate le Soldatesche, si portò a Pristina, per ultimare certi trattati, a’ quali aveva dato principio cogli Epiroti, o Arnauti di quella Provincia. Vennero a riceverlo il Patriarca de’ Clementini, l’Arcivescovo colla Croce alzata, ed una Processione piena di Sacerdoti cogli ornamenti delle loro dignità, e gradi, con un popolo sterminato, celebrando con profuse dimostrazioni di gaudio la di lui comparsa. Co’ Capi di quel contorno stabilì i seguenti patti. Che quelli, i quali volevano arrolarsi, fussero distribuiti in reggimenti all’uso Alemanno, ed istruiti negli esercizj, e nella disciplina medesima. Quando ciò fusse riuscito, l’Imperatore avrebbe acquistato una nazione, in tutte le età celebrata per pregio d’insigne militare fortezza. La Fanteria degli Arnauti, così chiamano i loro Pedoni, non la cede in valore a’ Gianizzeri.

Così belle speranze furono disturbate dalla morte inopportuna del Generale Enea Piccolomini. Incomodato da molestissimo abscesso venutogli sotto un braccio, non volle risparmiare sè medesimo, nemmeno quanto bastava per una moderata cura. Vi si aggiunsero dolori colici asprissimi, che coll’uccidere il corpo, trasportarono a vita migliore l’anima, ben meritevole di premio immortale. Dalle mani dell’Ar[p. 221 modifica]civescovo fu fatto partecipe de’ Santi Sacramenti. Indi con tutte le solennità maggiori di quel Paese se gli celebrarono pomposissimi funerali fra le lagrime di tutti, che lungamente lo compiansero, qual Padre comune. Era amato con tanta svisceratezza, come se fusse Re d’Albania. Quasi se lo figurassero essi un novello Re Pirro, destinato dal Cielo, a rialzare gloriosamente l’antica felicità della loro nazione. Tenevano ancora disseminato tra loro un certo Presagio, che prometteva ad essi in avvenire un Monarca, il quale godesse per trastullo di condurre seco pellegrini animali; e perchè il Piccolomini si dilettava assaissimo d’aver seco Bestie forastiere, anco in campo, que’ Paesani si diedero a credere, che sopra di lui cadesse quel Vaticinio. La medesima amabilità di tratto, soavità di costumi, e gentilezza di conversare, lo rendevano caro agli Ufficiali d’altre Nazioni, non così facili a gradire la compagnia degl’Italiani. L’Imperatore si dolse al sommo della perdita di Capitano cotanto insigne, perchè si prometteva, che dovesse divenire superiore, o almeno eguale al celeberrimo D. Ottavio Piccolomini, da lui conosciuto, che già fu per grandissime benemerenze elevato dal Padre Ferdinando terzo alla dignità di Principe, come di lui, e delle di lui gesta egregie si è favellato altrove.

Al defonto Piccolomini fu surrogato da’ Cesarei il General Veterani. Questi, trovandosi assente, scrisse ordine espresso, e pressantissimo al Colonnello Strasser, rimasto al comando della Cavalleria Cesarea nella Servia, di tenersi sulla difensiva, e di non arrischiare neppur la minima zuffa cogl’Infedeli. Ritirasse a Kasianika le schiere tutte più inoltrate: guernisse con ripari que’ siti angusti. In breve avrebbe di soccorso il reggimento Piccolomini. Lo Strasser, avido di gloria, ed impotente a soggettarsi agli altrui comandi, si dipartì in tutto dalle commissioni avute con danno suo gravissimo, e degl’interessi Imperiali4. Ricevette notizie d’alcuni mille Tartari, che vagavano in que’ contorni. Circa il numero variavano le relazioni. Egli prestò fede a quelli, che riportarono essere assai minori del vero. Quando se gli vide d’avanti, s’accorse dello sbaglio preso. Sul principio vi provvide schierando le truppe con i fianchi, coperti da una palude, e con un passo stretto alle spalle. Poi dubitando, che gl’Infedeli si dileguassero altrove, ed Egli perdesse l’opportunità di riportar un’insigne vittoria, deliberò di uscire in campagna più aperta. Tutti gli Ufficiali tanto maggiori, quanto inferiori lo scongiurarono, che non esponesse sè medesimo, e tutti loro ad un evidente sbaraglio. Conservasse a Cesare quelle veterane milizie, delle quali v’era sì gran bisogno nelle circostanze correnti. Osservasse la moltitudine vasta de’ nemici, che gli avrebbero circondati, e trucidati. Si contenesse nel posto preso, e si ricordasse dello [p. 222 modifica]scrittogli dal Veterani. Si contentasse di riparare i colpi, ma non di vibrarli. Lo Strasser s’ostinò nel suo parere, e soggiunse, che a lui toccava dar legge, e ad essi l’ubbidire. Correva il primo giorno dell’anno

  1. P. Vagner tomo 2 pag. 114.
  2. P. Vagner tomo 2 pag. 115, 116, 117.
  3. P. Vagner Istoria suddetta tomo 2 pag. 123, 124, 125.
  4. P. Vagner Historia Leopoldi Cæsaris tomo 2 pag. 129.