Azioni egregie operate in guerra/1647
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1647.
Ferdinando III Augusto.
Al Defonto Galasso aveva Ferdinando surrogato il Generale Milander nella direzione del proprio Esercito. I Ministri della Corte, informati, che il Milander erasi invecchiato nelle guerre, si lusingarono, che avesse conseguita grand’arte, ed insigne perizia per ben maneggiarla; e però consigliarono Cesare, a dichiararlo Capo Supremo. Aveva Egli militato contra la Casa d’Austria al governo delle truppe Assiane. Ma o la età avanzata gli aveva indebolito il capo, o le abilità fossero sempre state scarsissime, colla sua, non ben misurata condotta, ruinò malamente gli affari di Casa d’Austria, e li sottopose a rischi peggiori. Stava l’Imperatore accampato coll’Esercito sopra un monte, poco discosto da Egra. Alloggiava dentro di certo Castelletto con a canto un piccolo borgo, dove dimoravano le artiglierie con un quartiero di Dragoni, e Croatti. Il General Helm Urangel, Cugino del Generale, pretese di fare un bel colpo coll’assalire quel corpo. Prese grosso stuolo di Cavalli. Passò il Fiume Egra; e camminando a briglia sciolta fugò la prima guardia: ruppe la seconda; e intromise nel borgo seicento Cavalli, che si diedero a predare fino alle porte del Castelletto. Datosi all’arme, il General Cesareo Co. Tommio Pompei, il quale stava a tutto vegliano, benchè nel giorno antecedente avesse inteso l’ordine dato dal Milander, che niuno si movesse dal suo posto per qualsisia rumore; pure, illuminato dal buon discorso, che gli dettava, quello esser un ordine dato malamente, si spinse a tutta briglia con parte della Cavalleria di suo comando addosso gli nemici2; li caricò con tanto ardore, che tutti o gli uccise, o gli obbligò a cadere prigionieri. Gli altri Svezzesi, rimasti fuori del Borgo furono fugati con perdita d’altri trecento di loro. L’essere successo questo accidente con tanto pericolo dell’Imperatore dopo quell’ordine, spiccato dal Milander, diede molto da mormorare. All’opposto l’avere il Pompei posto in sicuro la vita di Cesare, e disfatti gli assalitori nemici, conciliò a lui grand’applauso. L’Imperatore lo chiamò d’avanti a sé, e l’onorò con molta lode, e con cortesi ringraziamenti.
Da parecchi anni era passato al servigio di Casa d’Austria il Conte Tommio, Cavalier Veronese d’Illustre, ed antica prosapia. Si trovò alla battaglia di Volfembutel; ove sostenendo la zuffa vigorosamente, ebbe ucciso il cavallo, e rimase prigione, trattato però da’ nemici con onore. Riscattato con cambio, intervenne alla battaglia seconda di Lipsia. Ivi rimase ferito; Perloché condotto a Praga fu fatto visitare dall’Arciduca Leopoldo con espressioni di ringraziamento per il gran valore, con cui aveva operato in quel fatto d’armi. Lo stesso seguì nella battaglia di Jaconitz, nella quale doppiamente ferito fu mandato a Praga nella lettica medesima dell’Arciduca, e da lui visitato personalmente, che poi gli rese nuove grazie del buon servigio prestato; e mentre continuò la cura, bene spesso l’andò regalando.
La difficoltà di sussistere a lungo nelle vicinanze d’Egra, determinò l’Imperatore a mutar posto coll’armata. Egli si ritirò a Pilsen, e ivi fermossi per esser vicino, a dar gli ordini di quanto dovesse operare l’Esercito, non molto discosto di colà. Dopo due mesi di campeggiamento senza incontro di considerazione tra le armate, s’incamminò il Milander contra gli Svezzesi, alloggiati parte in Pleucen, e parte su un monte a veduta di Triebel. Di questa separazioni riputarono i Cesarei opportuno il prevalersene a’ loro vantaggi. Fu il primo il Capitan Martellini Italiano con cinquecento Fanti scielti, sostenuti da mille Cavalli, ad assalire alcuni Forti, che coprivano la guardia avanzata del Nemico. Espugnò i Forti con la presa di quattro piccoli Cannoni, e rovesciò in fuga la Cavalleria avversaria. Il buon successo riempì di maggiori speranze lo spirito del Milander, che s’accinse a fazioni maggiori. Con tutta la Cavalleria, sostenuta da mille Fanti, attaccò la diritta degli Svezzesi. Gio. di Vert guidava la diritta: il Co. Raimondo Montecuccoli la sinistra. Il Milander si teneva nel mezzo, e il Marchese di Baden reggeva i Fanti. Si dovette traversare un sito selvoso angusto, che non permetteva di marciare se non a pochi Cavalli alla volta; con tutto ciò, superato quest’ostacolo dall’attenzione de’ Generali Cesarei, si uscì dal bosco, e formati cinque, o sei squadroni, si attaccarono da tre mila Cavalli i nemici. Sopravvennero altri Imperiali, sortiti dalla selva. Dopo lungo contrasto di due ore furono rotti gli Svezzesi con perdita di più di mille dugento di loro, ed acquisto di 19 Stentardi.
L’armistizio, stabilito tra il Duca di Baviera, e le due Corone di Francia, e di Svezia, durò appena sei mesi. Era stato persuaso l’Elettore, che questa sua neutralità coadiuverebbe molto ad avanzare i trattati della pace generale, come stava pur’espresso negli articoli, concordati per quella tregua, ch’ella dovesse promuoverla. Ma poi da Persone autorevoli, e degne di fede intese, che dopo l’armistizio suddetto, tanto i Plenipotenziarj Svezzesi in Vestfalia, quanto i Protestanti alzavano le pretese a depressione della Casa d’Austria, e a propagazione della libertà di coscienza nell’Imperio. Intendeva ancora continui rimproveri, che contra di lui si spargevano ne’ pubblici congressi da’ Cattolici per la neutralità abbracciata. Dal Fratello Elettor di Colonia fu ragguagliato, come gli Svezzesi contra il convenuto proseguivano le ostilità a’ danni di lui. Per esprimere accertatamente la cagione primaria, per cui l’Elettore recedette dalla neutralità, ripeterò le parole di Nobile Istorico, e savissimo Politico, ove dice, che dalla tregua conclusa da lui, scorgendo l’Elettore l’eccidio della Religione, e dell’Imperatore, ruppe ben presto la neutralità cogli Svedesi3. Altra ragione lo mosse, ed era la necessità, che aveva il Mondo Cattolico, di conservare gran Stati, e grande possanza nella Casa d’Austria, la quale posta a’ confini degli Ottomani, era il più prossimo, e maggior propugnacolo della Cristianità contra le invasioni pericolosissime degli Infedeli. Altro riflesso ebbe forza nel di lui spirito; ed era, come non compliva la depressione della Causa d’Austria loro nazionale, per condursi sotto la soggezione, e dipendenza degli Stranieri.
Risolse per tanto l’Elettore, di sagrificare sé medesimo, e i suoi Stati a qualunque evento per bene comune della Religione, e di Cesare, fortissimo sostegno d’essa. Intimò agli Svezzesi le cagioni di tale determinazione. Spedì poi parte delle sue truppe, ad augumentare l’Esercito Cesareo sotto al Milander, che con tale rinforzo obbligò i nemici ad uscir di Boemia con perdita di gente. Allora i più savj Generali proposero d’inseguir gli Svezzesi, e tentare la loro distruzione; giacché le circostanze d’allora lo permettevano. Ma il Milander contra l’opinione comune volle condurre l’armata Cesarea per fini suoi particolari nel Langraviato d’Assia. Il viaggio fu lungo, e costò gran patimenti alle Soldatesche. La dimora riuscì peggiore, per esser quella Provincia, quanto feconda di bravi guerrieri, altrettanto scarsa di provvisioni da alimentarvi una grossa armata. Consumò il tempo in assedj di piccole Piazze. Finalmente dovette ritirarsi di colà coll’Esercito, mezzo ruinato, e particolarmente la Cavalleria per mancanza di foraggj.