Atlante Astronomico/II. La Luna
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II. — LA LUNA.
1. | Short | 6358 | Metri. |
2. | Newton | 6898 | » |
3. | Casatus | 6471 | » |
4. | Curtius | 8831 | » |
5. | Blankanus | 5079 | » |
6. | Clavius | 5015 | » |
7. | Phocylides | 2584 | » |
8. | Maurolico | 4504 | » |
9. | Tycho | 6098 | » |
10. | Schickard | 2764 | » |
11. | Aliacensis | 4387 | » |
12. | Werner | 4867 | » |
13. | Campanus | 1920 | » |
14. | Petavius | 3613 | » |
15. | Fracastoro | 2594 | » |
32. | Godin | 2261 | Metri. |
33. | Agrippa | 2422 | » |
34. | Ariadeus | — | » |
35. | Hyginus | — | » |
36. | Reinhold | 2725 | » |
37. | Hevelius | 3255 | » |
38. | Julius Caesar | 1614 | » |
39. | Copernicus | 4510 | » |
40. | Kepplerus | 2799 | » |
41. | Plinius | 2637 | » |
42. | Manilius | 2333 | » |
43. | Erathosthenes | 4601 | » |
44. | Marius | 1364 | » |
45. | Macrobius | 4679 | » |
46. | Bessel | 1278 | » |
47. | Kleomedes | 3615 | » |
48. | Linneo | — | » |
16. | Bullialdus | 3216 | Metri. |
17. | Catharina | 5313 | » |
18. | Arzachel | 3099 | » |
19. | Alpetragius | 3220 | » |
20. | Alphonsus | 2144 | » |
21. | Gassendi | 2541 | » |
22. | Theophilus | 4917 | » |
23. | Albategnius | 3399 | » |
24. | Ptolemaeus | 3266 | » |
25. | Parry | 1483 | » |
26. | Bonpland | — | » |
27. | Fra Mauro | 1859 | » |
28. | Messier | 2066 | » |
29. | Delambre | 4340 | » |
30. | Grimaldi | 3097 | » |
31. | Riccioli | 3436 | » |
49. | Archimedes | 2081 | Metri. |
50. | Timocharis | 2545 | » |
51. | Lambert | 2214 | » |
52. | Eulerus | 2226 | » |
53. | Aristarchus | 2091 | » |
54. | Posidonius | 2042 | » |
55. | Antolycus | 3033 | » |
56. | Aristyllus | 3229 | » |
57. | Helikon | 1832 | » |
58. | Mairan | 2760 | » |
59. | Atlas | 3177 | » |
60. | Hercules | 1736 | » |
61. | Eudoxus | 4968 | » |
62. | Aristoteles | 3487 | » |
63. | Plato | 2801 | » |
64. | Endymion | 4508 | » |
65. | Harpalus | 4831 | » |
Regione lunare intorno a Fra Mauro (1), Bonpland (2), e Parry (3) durante il sorgere del Sole. Regione lunare intorno ad Arzachel (1), Alpetragius (2), ed Alphonsus (3) allo spuntar del Sole.
1. La Luna è opaca e manca di luce propria; lo dimostra abbastanza il disco color nero intenso (cap. I par. 9) sotto cui essa appare durante le eclissi totali di Sole.
La Luna gira attorno alla Terra, e tutte e due unite girano attorno al Sole, sì che questo trovasi sempre a lato dell’una e dell’altra, nè mai fra le due. La Luna, satellite della Terra, portata dal suo moto prende posizioni diverse (fig. 1) rispetto al Sole; la Luna ruota intorno a sè stessa, e sugli orizzonti lunari, così come sui nostri, il Sole sorge, culmina, tramonta, illuminando gli oggetti disseminati sovr’essi ora dall’una ora dall’altra parte, ora dall’alto.
La Luna risplende per luce che riceve dal Sole, e che essa, appunto perchè opaca, riflette verso la Terra. Molti fatti lo dimostrano, fra gli altri lo spettro della luce sua, che, l’intensità esclusa, ha tutti i caratteri dello spettro della luce solare. Della Luna Fig. 1. si vedono quindi in un dato momento solo le parti che, rivolte verso la Terra, sono ad un tempo illuminate dal Sole, e poichè queste parti, causa i moti della Luna, mutano incessantemente, in modo incessante mutano pure gli aspetti della Luna (fasi).
V’è un momento in cui essa dalla Terra non si vede. Trovasi allora nel punto A (fig. 1) della propria orbita, fra il Sole e la Terra (congiunzione), e mentre Sole e Terra sono sempre in uno stesso piano (eclittica), essa, nella congiunzione, in generale giace, sebbene di poco, o sopra o sotto il piano stesso. Nella posizione A, la Luna volge alla Terra le parti su cui non arrivano i raggi del Sole, e perciò appunto riesce invisibile (Luna nuova).
Tosto dopo la Luna appare nel cielo ad occidente come un’esilissima falce luminosa (Luna falcata), e, tramontato il Sole, tramonta essa pure. Si trova in quel momento nel tratto della propria orbita che va dal punto A al punto B, in un punto vicinissimo ad A. Il suo moto la trasporta più e più verso B, ed essa appare come falce sempre più grande e lucente; ogni sera tramonta sempre più tardi, finchè, arrivata in B, mostra a chi la guarda dalla Terra luminosa la metà a destra del suo disco (primo quarto); illumina allora la prima metà delle nostre notti.
Prosegue il suo cammino lungo il tratto B C della sua orbita, e nel frattempo mostra illuminata una porzione ogni giorno maggiore del proprio disco, e tramonta ogni giorno più tardi. Arrivata in C (opposizione) sorge all’estremo oriente nell’istante istesso in cui il Sole tramonta ad occidente; per tutta la notte illumina i nostri orizzonti, ed il suo disco appare intiero, rotondo, tutto luminoso. Egli è che il Sole, collocato molto lungi al di là di S, colpisce in quel momento in piena fronte tutta la parte che essa volge alla Terra, e la rende quindi per intero visibile (Luna piena).
La Luna non si arresta mai nel suo moto, oltrepassa il punto C e si avvia pel tratto C D A dell’orbita. Percorrendolo, ripassa per aspetti analoghi a quelli per cui passò lunghesso il tratto C B A. Di tonda e piena che era in C, essa prende a mostrare ogni giorno illuminata una porzione sempre minore del proprio disco, e a sorgere ogni giorno più tardi. Arrivata in D mostra, sempre a chi la guarda dalla Terra, luminosa solo la metà a sinistra del suo disco (ultimo quarto), e splende sull’orizzonte solo per la seconda metà delle nostre notti. Di mano in mano che da D prosegue verso A continua a mostrare luminosa una parte sempre minore di disco, ed appare più e più falcata; l’ora del suo nascere si avvicina sempre più all’aurora, finchè sotto forma di un filo sottile, arcuato (falce lunare) sorge un giorno appena pochi istanti prima del Sole. Essa trovasi allora fra D ed A in un punto vicinissimo ad A, e, trascorso quel giorno, invano la si cerca in cielo; solo qualche tempo dopo la si vede riapparire ad occidente, e percorrere e ripetere le medesime fasi ad intervalli di 29 giorni, 12 ore, 44 minuti e 2,9 secondi (lunazione).
2. La Luna falcata, vista con cannocchiali astronomici anche modesti, di 5 oppur 7 centimetri d’apertura, appare così come la rappresenta la tavola VI, rispetto alla quale giova premettere un’osservazione importante, tanto più che essa va estesa alle tavole IV, V, VII, VIII e IX. I cannocchiali astronomici rovesciano le immagini degli oggetti, e fanno vedere a sinistra ciò che è a destra, in alto ciò che in basso, e via; anche le tavole annesse rappresentano le immagini lunari rovesciate rispetto a quelle che l’occhio nudo vede.
Nella Luna falcata un arco di circolo segna il contorno esterno della falce luminosa, un altro arco ne segna il confine interno, e a lato di questo il rimanente disco lunare mostrasi terminato da un contorno regolare, distinto e come sotto un velo cinereo (luce cinerea). Apparenze analoghe si riproducono durante lo svolgersi successivo delle fasi (tav. VII), con questa differenza, che quanto più cresce la fase tanto più debole diventa la luce cinerea, sì che questa, visibile perfino all’occhio nudo a falce sottile, lo è appena nei cannocchiali quando la Luna trovasi nel suo primo o nel suo ultimo quarto, scompare affatto tre giorni dopo il primo quarto, ricompare solo tre giorni avanti l’ultimo quarto.
Gli archi di circolo che durante le fasi segnano i contorni della falce luminosa (tav. VI e VII) non sono continui, distesi, uniformi, geometrici, ma appaiono, l’interno sovratutto, ineguali, discontinui, variamente rotti e frastagliati. Talora mostrano punti luminosi, d’un bianco vivo ed abbagliante, che risplendono circondati da uno spazio oscuro, e che all’occhio maravigliato appaiono come staccati dalla superficie lunare e sovr’essa sospesi, quasi picchi, dai quali il Sole che sorge illumina le cime, lasciando nell’ombra i fianchi. Talora mostrano punti vivamente lucidi, staccati per brevissimo tratto da una serie di altrettali punti attigui, e questi nel loro insieme dànno origine ad un filo esile, luminoso, argenteo, quasi una serie di picchi illuminati, una cresta di montagna vista al sorgere o al tramontare del Sole. Talora invece mostrano tanti punti lucidi, i quali si succedono in guisa da dare origine ad un cerchio splendente, ed allora nella parte chiusa da questo cerchio si scorge un’ombra oscura e nera, così come sulla Terra succede di una cavità, sulla quale cada in direzione obliqua la luce del Sole.
La parte lucida della falce, chiusa dai due contorni appena descritti, non è di questi più uniforme, nè presenta minore o meno stupenda varietà di apparenze. Sono ancora parti luminose, abbaglianti, stranamente conformate, rotte e frastagliate in mille guise, e attorno ad esse e con esse intrecciate parti più pallide, più oscure e che meno affaticano l’occhio.
Di mano in mano che sul nostro satellite le fasi si avvicinano al plenilunio, diminuiscono sulla sua superficie sempre più i vivi contrasti di luce e di ombra perfetta. La tav. IX, là dove rappresenta in iscala grande una delle più notevoli regioni lunari, Plato, quale appare a Luna falcata e quale due giorni prima del plenilunio, dà di questa diminuzione un concetto chiaro e concreto. A Luna piena (tav. IV e V), sul disco tutto luminoso due grandi campi risaltano, uno più l’altro meno splendente. Essi si intrecciano, si intralciano in mille modi, ma i loro dettagli sfuggono, si confondono e si perdono in quella luce viva che il Sole su di essi dardeggia. Alcune poche conformazioni soltanto saltano all’occhio e richiamano l’attenzione; sono certi sistemi di righe, di striscie lucidissime che divergono da un punto, e intorno ad esso come aureole si svolgono. Amplissima fra queste, che direi raggiere lucide, è quella che si svolge attorno alla regione Tico, il numero 9 delle tavole IV e V; meno ampie ma più marcate sono quelle che divergono dalle regioni Copernicus, Kepplerus, Aristarchus i numeri 39, 40, 53 delle tavole stesse. Ultimo quarto della Luna. Gassendi, vasto cratere lunare, poco dopo il sorgere del Sole. Julius Caesar allo spuntar del Sole.
Senza dubbio la figura della Luna è sferica, e ne fanno fede il suo disco perfettamente circolare, e la maniera con cui esso successivamente si illumina. Se la sua superficie fosse piana, verrebbe tutta nello stesso tempo vestita, e parimenti poi tutta in un istesso punto spogliata di luce, e non prima le parti che guardano verso il Sole, ed a poco a poco le seguenti, fino a diventar tutte luminose nell’opposizione.
Senza dubbio la superficie della Luna è aspra, formata di parti alte diversissimamente, con strutture molteplici, complesse, capaci di riflettere la luce in modo diverso. Senza di ciò, essa che è opaca, non potrebbe mostrare regioni lucide e regioni relativamente buie, e nell’une e nell’altre dettagli fuggevoli di luci e di ombre.
3. La luce cinerea essa ancora nasce dall’opacità della Luna, ed a produrla contribuisce la Terra, la quale pure è opaca. Il Sole illumina contemporaneamente e Terra e Luna, e se questa splende per luce solare che riflette verso la Terra, non v’è ragione perchè a sua volta la Terra non splenda e non rifletta verso la Luna la luce del Sole, e se la Luna a chi la guarda dalla Terra presenta fasi, ragione non v’è perchè fasi analoghe non débba presentare la Terra a chi dalla Luna la guardasse. In questioni come la presente si può per un momento far astrazione dal moto della Terra e supporla fissa in T (fig. 1). Quando la Luna è in congiunzione ossia in A, la Terra, che è in T, rivolge ad essa l’emisfero suo che è tutto illuminato dal Sole, e ver essa riflette la massima quantità di luce solare. Quando la Luna passa in opposizione ossia in B, la Terra rivolge ad essa l’emisfero al quale i raggi solari non arrivano, e ver essa non riflette punto luce. Nel primo caso la Luna volge alla Terra l’emisfero non illuminato dal Sole, e la Terra volge alla Luna l’emisfero illuminato. Nel secondo caso le parti si scambiano; diventa luminoso il disco lunare rivolto alla Terra, oscuro il disco terrestre rivolto alla Luna. Evidentemente le fasi contemporanee della Luna e della Terra sono complementari; alla Luna-nuova corrisponde quella che potrebbe chiamarsi Terra-piena, alla Luna-piena quella che Terra-nuova. Nessuna maraviglia quindi che la Luna prima e dopo il novilunio, ossia mentre trovasi vicino al punto A della propria orbita, mostri più intensa e distinta la luce cinerea. Egli è che in quel frattempo essa riceve dalla Terra la maggior quantità di luce solare riflessa, egli è che la luce cinerea o secondaria della Luna non è altro appunto che luce solare riflessa dalla Terra verso il suo satellite.
4. Basta seguire attentamente il corso della Luna durante lo svolgersi successivo di tutte le sue fasi, per persuadersi che di essa noi vediamo sempre a un dipresso le medesime conformazioni e lo stesso emisfero. La Luna impiega lo stesso tempo a compiere una rotazione intorno a sè ed una rivoluzione intorno alla Terra, epperciò dei due emisferi lunari, l’uno è sempre rivolto alla Terra, l’altro è sempre alla medesima opposto, e rimarrà, meno piccole porzioni, perpetuamente celato al nostro occhio indagatore, ed uno degli arcani del cielo impenetrabili alla nostra curiosità.
Meno piccole porzioni, fu detto. Sulla Luna piena infatti, ad epoche anche molto lontane, le medesime macchie e conformazioni occupano in apparenza sempre la regione centrale del disco, ma chi osserva precisamente, si avvede che esse in realtà vanno avvicinandosi di quantità sensibili ora verso l’orlo orientale ora verso l’occidentale, oscillando, librando, intorno ad una posizione media. Questa oscillazione, librazione, affetta ugualmente tutti i punti della superficie lunare, si estende quindi anche ai punti collocati verso l’orlo, e fa sì che noi li vediamo ora avvicinarsi, ora allontanarsi dal medesimo, divenendo per tal guisa successivamente invisibili e visibili alcuni punti della sfera lunare collocati nell’emisfero opposto alla Terra.
5. La librazione aumenta la superficie visibile della Luna, ma non ne rende gran che più difficile lo studio e la rappresentazione. Della Luna si ha, stando in Terra, una veduta prospettica, veduta che, grazie alle fasi, appare durante una lunazione sotto punti di vista e sotto illuminazioni sempre diverse. Un corpo, illuminato di fianco, getta dalla parte opposta un’ombra che dipende dal suo contorno, dalla sua altezza, dall’altre dimensioni sue, e che muta se la sorgente luminosa cambia di posizione. Di un corpo, dato il punto di vista, si può sempre, per mezzo della prospettiva e con un sapiente uso di luce e di ombre, fare sopra un piano la rappresentazione fedele. Data la posizione della sorgente di luce, si può quindi risalire sempre dall’ombra, che un corpo proietta, al contorno, all’altezza e all’altre dimensioni di esso. Dato il punto di vista, si può dalla rappresentazione prospettica di un corpo risalire alla sua forma reale. E poichè rispetto alla Luna sorgente unica di luce è il Sole, del quale in ogni istante la posizione è nota, e poiché della Luna noi vediamo una proiezione prospettica, nulla si oppone a che, studiando questa e misurando attentamente sovr’essa le ombre fuggevoli proiettate dai corpi, noi risaliamo e alle conformazioni reali della superficie lunare e alle dimensioni loro. Gettiamo gli occhi su qualunque delle tavole annesse, e, per fissare le idee, sulla figura della tav. VII, che rappresenta la regione Iulius Caesar, quale appare mentre sovr’essa, ed alla sinistra sua sorge il Sole. Bisognerebbe essere ciechi per non vedere, fra altri dettagli, le numerose cavità di cui è sparsa, cavità quasi esattamente circolari, chiuse all’ingiro e formate da argini annulari, che quasi baluardi si innalzano sul piano circostante. Vi sono in queste cavità parti in luce e parti in ombra; sulle prime già arriva, sulle seconde non arriva ancora il Sole; uno studio paziente di queste luci e di queste ombre permetterà di esprimere in numeri le altezze relative non che le assolute dei baluardi che accerchiano questa e quella cavità.
Non è difficile quindi osservando e riosservando, facendo uso sapiente delle diverse vedute prospettiche corrispondenti alle diverse fasi, distinguere sulla superficie lunare i luoghi piani e gli aspri, le regioni altissime, le alte, le basse, e delle singole regioni assegnare le forme reali e le dimensioni. Nè più difficile è fare della superficie visibile lunare e de’ suoi dettagli la carta. Per gran tempo tenne, fra le carte della Luna, il primato quella di Beer e Mädler, di cui il diametro è poco meno che un metro; si ha ora la carta di Schmidt, frutto di 34 anni di lavoro, superiore a tutte le altre e per grandezza di formato (misura 2 metri) e per ricchezza di dettagli. Fra le descrizioni della superficie lunare primeggiò per lungo tempo l’opera di Mädler; si hanno ora i libri di Nasmyth-Carpenter e di Neison, ricchi, fra altre cose, di belle fotografie dei dettagli. La nostra tavola IV-V rappresenta in piccola scala la Luna; è sparsa di nomi in gran parte latini, e sono quelli coi quali gli astronomi usano indicare le diverse regioni; sui margini per 65 delle principali regioni lunari dà il numero che ciascuna di esse porta nella carta, il nome e, pochissime eccezioni fatte, l’altezza in metri sulla regione circostante.
6. Importa farsi un concetto concreto delle dimensioni degli oggetti più piccoli che ancora si possono distinguere sulla Luna, e che possono essere riprodotti su una carta di dettaglio. Per questo bisogna partire dalla distanza che separa i centri della Luna e della Terra. Essa durante una lunazione cambia continuamente, ma in media la si può ritenere uguale a 384400 chilometri. A questa distanza, la quale è certo errata meno di 200 chilometri, un angolo ampio un minuto secondo d’arco abbraccia coi suoi lati, sottende, 1863 metri. Questa dimensione, che equivale a 1/1865 del diametro apparente lunare, è quindi invisibilissima e molto ma molto al di sotto di ciò che l’occhio nudo può ancora distinguere sulla Luna. I cannocchiali aumentano d’assai la potenza dell’occhio, ma non oltre un certo limite. Col più potente dei cannocchiali d’oggi giorno, il quale ha 97 centimetri d’apertura e 17 metri di distanza focale, per distinguere un oggetto sulla Luna bisogna che esso abbia in ogni direzione dimensioni di almeno 320 metri, per riconoscerne la forma bisogna che esso in ogni direzione misuri almeno 641 metri. Sono questi i numeri che segnano oggi l’ultimo limite del visibile sulla superficie lunare, ed in massima si può ritenere, che quanto sulla Luna appare con forma distinta e suscettibile di essere disegnata misura in ogni direzione 1 chilometro circa almeno.
7. Attorno alla Luna non esiste atmosfera di densità apprezzabile e che in qualche modo si possa paragonare a quella della Terra.
Se essa esistesse, grazie alla sua trasparenza non assoluta, farebbe sì che i contorni delle diverse regioni lunari, visti contemporaneamente e sotto uguali circostanze di illuminazione, nel plenilunio ad esempio, apparirebbero più distinti verso il mezzo del disco, dove lo strato atmosferico che la luce deve attraversare è minore, confusi ed incerti verso il contorno, dove questo strato è più potente. Nulla di ciò si osserva sulla Luna.
Se essa esistesse, lo spettro della luce lunare sarebbe diverso dall’osservato. In quanto deriva da luce solare riflessa, riprodurrebbe, come di fatto riproduce, le righe oscure proprie del Sole; in quanto deriva da luce che attraversa un’atmosfera propria alla Luna, conterrebbe righe oscure speciali, prodotte dall’assorbimento dell’atmosfera stessa. Di queste righe le osservazioni più rigorose non dànno pur traccia.
Se essa esistesse, diverso dovrebbe essere il valore del diametro apparente lunare che si ottiene per mezzo di misure micrometriche dirette, e per mezzo del tempo che passa fra l’immergersi e l’emergere d’una stella, la quale si occulti dietro il corpo della Luna. Sarebbe diverso grazie alla rifrazione, la quale fa sì che un astro, occultandosi, scompare per noi più tardi, ricompare più presto di quello che farebbe se non esistesse atmosfera. Le osservazioni più precise e i calcoli più scrupolosi riducono la diversità di cui trattasi a 2 secondi d’arco, e questa diversità, tenuto conto del fenomeno d’irradiazione, accennerebbe ad un’atmosfera che sulla superficie lunare avrebbe una densità 25 decimillesimi di quella, che la nostra atmosfera, ad una temperatura centigrada di zero gradi e sotto una pressione di 760 millimetri, prende alla superficie terrestre. Da un’atmosfera così tenue, dato che pure esista, non può derivare nessuno dei fenomeni che l’atmosfera della Terra produce; con un’atmosfera così tenue è compatibile solo uno stato di cose, che appena si differenzia da quello che la mancanza assoluta di atmosfera produrrebbe.
Se non esiste atmosfera, non esistono vapori; e se questi mancano, devono pur mancare alla superficie della Luna materiali allo stato liquido, acqua ad esempio.
L’atmosfera è attorno alla Terra come un velo brillante, che propaga e moltiplica la luce per mezzo di ripercussioni indefinite. Ad essa dobbiamo la luce diurna diffusa, ad essa il nostro cielo azzurro, che è una pura parvenza, ad essa i nostri crepuscoli, le nostre sere, le nostre aurore. Sulla Luna, dove atmosfera non c’è, tutto questo manca. Là vedremmo il Sole sopra un fondo nero cupo; il suo splendore avrebbe una intensità accecante, e, ciò malgrado, gli oggetti su cui i suoi raggi non cadessero direttamente o da altro corpo riflessi sarebbero completamente oscuri. Attorno a noi non avremmo che luce abbagliante o tenebre; uno schermaglio, che impedisse alla luce solare diretta di arrivare al nostro occhio, basterebbe per far là vedere su un fondo scuro intenso le stelle di pieno giorno.
8. La Luna irradia calore, ma appena i termomoltiplicatori più delicati l’avvertono. Il calore lunare cresce durante ravvicinarsi delle fasi al plenilunio, decresce con legge meno rapida che lo splendore coll’allontanarsi della Luna dal punto di sua massima fase. La Luna, in quanto è sorgente di calore, può Erathostenes con parte della catena degli Apennini durante il sorgere del Sole. Regione lunare intorno a Tycho, al tramonto del Sole. Catena lunare del Caucasus durante il tramonto del Sole. Plato, tosto dopo il sorgere del Sole. Plato, due giorni prima del plenilunio. Regione intorno a Linneo (L) secondo Lohrmann e secondo recenti fotografie. Canale Hyginus secondo Schröter, Lohrmann e Schmidt. Aspetti della regione lunare Hyginus corrispondenti a illuminazioni diverse. nel novilunio e nel plenilunio essere sostituita da un vaso di latta annerito, di area uguale alla superficie apparente lunare e ripieno d’acqua a temperature rispettivamente di 10 e 84 gradi centigradi. Da questi fatti non si può ancora arguire quale sia la temperatura assoluta alla superficie della Luna; dietro alcune esperienze delicate e difficili fatte sullo spettro del calore lunare, pare che essa possa ritenersi uguale a quella dell’acqua che agghiaccia.
Senz’aria, senz’acqua, fredda come il ghiaccio, la superficie della Luna più si studia e più appare in condizioni diverse da quelle della Terra.
9. Sul disco lunare si scorgono già ad occhio nudo ampie estensioni di colore grigio-scuro, in parte separate per contorni ben netti dalle regioni attigue più luminose, in parte penetranti nell’interno di queste e svolgentisi fra esse sotto le forme più varie. Vedendole, si resta naturalmente portati a paragonarle ai nostri mari, tant’esse appaiono a prima giunta, oltre che vaste ed oscure, piane e monotone: col nome di mare vengono universalmente distinte (tavole IV e V), ma sarebbe più proprio dirle macchie.
Di queste macchie alcune sono più piccole, un poco più lucide ed offrono nella loro estensione qualche maggior varietà di accidenti. Alle medesime si dà il nome di paludi e di laghi, così come, guidati dall’analogia delle apparenze, si chiamano seni certe parti rientranti dei mari, circondate per lunghi tratti da estensioni luminose, talora ben limitate e definite come nel bellissimo Sinus Iridum, talora meno distinte e terminate da contorni meno splendenti come nel Sinus Medii.
Tutte queste macchie più o meno oscure, mari, laghi, seni, paludi, occupano circa i due quinti dell’emisfero lunare per noi visibile. Sono più numerose ad est ed a nord (tav. IV e V), meno nelle parti centrali e verso ovest, mancano affatto nelle alte latitudini meridionali della Luna. Dei mari, dei laghi, dei seni, delle paludi terrestri hanno le apparenze, ma in realtà non sono nulla di tutto ciò. Nessuna, sotto ad un cannocchiale abbastanza forte, presentasi sotto forma di una vera superficie piana e liscia; tutte, quale più quale meno, sono scabre, ed alcune anzi sono in diverse direzioni corse da lunghe striscie sottili, più alte del loro fondo. I materiali, onde esse sono formate, certo quindi sono allo stato solido, e appaiono oscuri solo perchè riflettono verso la Terra minor quantità di luce solare. Non possono essere allo stato liquido anche perchè sulla Luna o non esiste atmosfera o ve n’è solo una tenuissima, colla quale sono inconcepibili le nubi, le nebbie, le pioggie, la circolazione dei vapori, l’acqua, in generale qualunque fluido.
Alle macchie lunari Evelio cominciò dal dare nomi tratti dalla Terra, e ne venne il Mare Adriaticum, il Mare Mediterraneum, il Sinus Syrticus e via. Riccioli tosto dopo prese invece a denominarle bizzarramente, partendo dai concetti dell’astrologia intorno all’influenza delle diverse parti lunari sulla temperatura, sulle stagioni, sui fenomeni atmosferici, sullo spirito e sul corpo umano. Così sulla Luna i selenografi notano ora il Mare Faecunditatis, il Lacus Mortis, la Palus Somnii, il Sinus Epidemiarum, la Peninsula Deliriorum. Così anche su quelle regioni lontane lo spirito umano ha trovato modo di perpetuare la memoria delle proprie aberrazioni.
10. Si incontrano sulla superficie lunare alcune configurazioni speciali, che non hanno parallelo sulla Terra, e sono certe scanalature, certi incavi stretti e lunghi che si estendono in linee rette o leggermente serpeggianti per miglia e miglia, talora fino a 200 chilometri. Hanno in tutto il loro svolgersi una larghezza uniforme, che mai oltrepassa i duemila metri, e solo eccezionalmente alcune si allargano qua e là in forme circolari o piazze di diversa ampiezza, per riprendere tosto dopo il loro corso normale. Appaiono subitanee sulla superficie lunare, scompaiono d’un tratto, e non hanno punto d’origine o di fine singolarmente apparente. Esse non sono collegate ad una regione speciale della Luna, solo mancano interamente nelle regioni più scabre e rotte. Nelle fasi si mostrano soventi come righe oscure, poichè di solito vedesi nella cavità l’ombra di uno degli orli; nel plenilunio si vedono invece come linee sottili e lucenti. La tavola VII rappresenta alcune di queste righe oscure, quali, al sorgere del Sole, si distendono attraverso alla regione lunare Gassendi; la tavola IX rappresenta il canale Hyginus, quale fu disegnato da diversi osservatori e quale appare sotto diverse illuminazioni.
Si sono paragonate queste scanalature a fiumi, a canali artificiali, perfino a strade lunari. Il fatto che esse vanno indifferentemente per valli e per monti, evitando solo le regioni più scabre della Luna, l’assenza di punti determinati che ne segnino l’origine e il fine, il loro abito generale distruggono affatto l’idea che esse possano essere o fiumi o sistemi di correnti, che esse abbiano pure in un’epoca selenologica anteriore potuto formare il letto dei medesimi. Nè si può pensare seriamente a strade lunari, prima per la loro larghezza e disposizione, e poi perchè tale è un’idea figlia dell’antico errore, che vedeva nella Luna una copia della Terra. Molto probabilmente i canali lunari sono semplici squarciature della superficie, originate da contrazioni delle masse superficiali, così come noi vediamo avvenire in iscala molto minore sulla Terra nelle calde stagioni, quando per soverchia siccità il terreno si fende. Tali squarciature di superficie possono essere sul nostro satellite state prodotte dal forte raffreddamento a cui esso senza dubbio soggiacque, e per ciò appunto non sono fenomeni fuggevoli ma forme permanenti e immutabili della Luna, forme notevoli anche pel numero loro, di esse l’infaticabile Schmidt avendone notate più che mille.
11. La parte della Luna, che appare all’occhio più luminosa, è quasi senza eccezione aspra, disuguale, seminata di altissime eminenze, variamente aggruppate. Appaiono in generale addossate le une alle altre senz’ordine apparente, separate fra loro da profondi burroni. Qualche volta formano una specie di altipiano aspro e disuguale, che da una parte cade poi rapidamente a picco nella pianura sottostante; più di rado sorgono isolate in mezzo ad una macchia oscura, quasi scogli staccati, solitarii, ripidi, dirupati. Le altezze loro sul piano circostante si ottengono misurando le lunghezze delle ombre che proiettano; raggiungono perfino 8831 metri (Curtius tav. IV e V), altezza prodigiosa, se si pensa che appartiene ad un corpo il cui diametro è poco più che un quarto di quello della Terra, e che, date le proporzioni, equivale ad un picco il quale si innalzasse su questa a 35 chilometri circa. Le montagne lunari hanno contorni più erti e più frastagliati delle nostre, e questa loro struttura dirupatissima dimostra essa pure l’assoluta mancanza di sistemi di correnti e di acqua sulla superficie della Luna.
Raramente le montagne lunari sono disposte in guisa da apparire come una catena lunga e non interrotta, dalla quale partano diramazioni e catene minori. Si dà il nome di Apennini ad una catena che sorge ad ovest del Mare Imbrium, e che fra le catene lunari è di gran lunga la maggiore. Si svolge per 700 chilometri circa, e le sue cime più alte, Conon e Huygens, si spingono a 5400 ed a 5600 metri. Nè questi Apennini però, nè le altre minori catene della Luna, i Carpati, le Alpi, il Caucaso (tav. VIII), i Pirenei, le Ande, possono in qualche modo paragonarsi alle catene terrestri di cui portano il nome. Di queste non hanno le lunghezze, e sovratutto le valli laterali. Il lungo serpeggiare delle nostre Alpi e delle nostre Ande, le valli spaziose alle quali esse danno luogo, le diramazioni, le pendenze successivamente più dolci che le nostre montagne prendono verso la base, fino a confondersi insensibilmente colle maestose pianure che si partono dai loro piedi, non hanno riscontro sulla Luna, e ciò perchè su questa manca l’acqua, la grande livellatrice terrestre. Le catene e le montagne lunari son rupi a contorni aspri e salienti, nelle quali tutto è rotto, tutto procede a salti, e nelle quali mancano affatto passaggi, trasformazioni, gradazioni insensibili.
12. Nè i mari, nè i canali, nè le montagne, nè le catene costituiscono il vero dettaglio tipico e caratteristico della superficie visibile lunare:... “quello poi, di che vi è maggior frequenza,“ scriveva Galileo or fanno più di 250 anni, „sono alcuni argini (userò questo nome, per non me ne sovvenire altro, che più gli rappresenti) assai rilevati, li quali racchiudono e circondano pianure di diversa grandezza, e formano varie figure, ma la maggior parte circolari; molte delle quali hanno nel mezzo un monte rilevato assai, e alcune poche sono ripiene di materia alquanto oscura, cioè simile a quella delle gran macchie, che si veggono con l’occhio libero; e queste sono delle maggiori piazze; il numero poi delle minori e minori è grandissimo, e pur quasi tutte circolari...„
Getti il lettore l’occhio sopra qualunque delle tavole annesse, dalla IV alla IX, e vedrà quanto vera e quanto confermata dalle osservazioni posteriori sia questa sintesi del nostro genio veramente immortale, Galileo. La forma di argine anulare, rilevato, che contorna e chiude una cavità, universalmente campeggia; mutano le dimensioni, i contorni della cavità sono più o meno regolari, l’interno di esse appare più o meno profondo ed accidentato, ma la forma generale è una sola, e richiama alla mente quella dei nostri crateri.
A queste che Galileo chiamava piazze maggiori e minori noi, gúidati dall’analogia, diamo ora il nome di crateri, sebbene impropriamente. I più grandi crateri dei vulcani terrestri appena si avvicinano, quanto a dimensioni, ai più piccoli della superficie lunare. Nei crateri della Luna si vede sempre in modo chiaro e distinto un fondo; sulla Terra in gran parte sono dessi invece vere bolgie, nelle quali l’occhio, per quanto si spinga, non discerne cosa alcuna.
Vi sono crateri sulla Luna che hanno ottanta, cento, perfin duecento e più chilometri di diametro. Fra questi crateri maggiori c’è Arzachel con 106 chilometri di diametro (tav. VI), Gassendi con 89 chilometri (tav. VII), Tico con 87 chilometri (tav. VIII), Plato con 97 chilometri (tav. IX). L’interno loro mostrasi qualche volta relativamente piano ed uniforme, più spesso sparso di monti, di brevi catene, di crateri minori, di accidenti vari. I contorni loro di rado si svolgono anulari ed uniformi; quasi sempre sono formati da un sistema complesso ed intralciato di montagne; qua e là appaiono rotti e variamente frastagliati, altissimi per certi tratti, bassi nei tratti contigui. Si direbbe che questi crateri maggiori sono antichi crateri stati sconvolti da un cataclisma.
Più numerosi sono nella Luna i crateri di medie dimensioni, e i cui diametri vanno da 15 a 40 a 60 e più chilometri. La loro forma è più regolare di quella che riscontrasi nei crateri maggiori; la figura circolare spicca in essi meglio disegnata anche attraverso agli accidenti della loro conformazione; lo si vede in Alpetragius (tav. VI) che ha un diametro di 43 chilometri, in Erathosthenes (tav. VIII) uno dei più vasti fra questi crateri mediani, e di cui il diametro misura 60 chilometri. Non si esagera portando da 3 a 4 mila il numero di questi crateri medii, a contorno regolare. Nella regione meridionale della Luna (tav. IV e V) sono essi tanto frequenti, che l’un l’altro si toccano.
I crateri piccoli, detti semplicemente crateri, con diametri minori di 15 chilometri, sono sulla Luna innumerevoli. Schmidt opinava che con un cannocchiale capace di un oculare il cui ingrandimento sia 600 se ne vedono non meno di 100 mila; egli stesso ne ha catalogizzati 32 mila e più. Questi crateri sono anche più regolari di forma che non i mediani, e sono sparsi per ogni dove. La superficie lunare, in qualunque punto si studia, porta l’impronta di commossioni gagliarde e vaste; vedendola tutta disseminata di crateri, di dirupi, di squarciature, senza volerlo, si corre col pensiero all’epoca lontanissima che Sulla Luna-Paesaggio di fantasia pur deve avere a tante rovine preesistito, e con terrore si immagina il periodo che separa quell’epoca lunare dall’attuale, periodo di transizione, forse di gagliardissima attività vulcanica, periodo nella storia fisica della Luna epico in sommo grado.
13. Dopo quanto si è scritto non è difficile immaginare un paesaggio quale esiste sull’emisfero della Luna a noi visibile. Ai fatti già noti basterà aggiungere quest’uno, che cioè il diametro della Luna misura 3482 chilometri, e 0,273 del diametro terrestre.
La tavola X-XI dà di quel paesaggio uno schizzo a grandi linee. L’orizzonte disseminato di crateri di ogni dimensione, di picchi altissimi e dirupati, di lunghe squarciature, di cavità circolari; arido, senz’acqua e quindi senza fiumi, senza laghi e mari; privo di atmosfera, e quindi senza luce diffusa, senza gradazioni di luce, senza contrasti di luce e di ombre, luminoso abbagliante là dove arriva diretto un raggio solare, tenebroso in ogni altro punto; non terminato, non chiuso all’ingiro e per ogni parte da una volta celeste azzurra, ma da una color nero d’inchiostro, sulla quale si proietta il Sole grande apparentemente così come vedesi dalla Terra, sulla quale contemporaneamente di pieno giorno si vedono qua e là, lungi dal Sole, i pianeti, le stelle, la Via lattea, e sulla quale si proietta ancora la Terra nostra rossiccia, sparsa di macchie diversamente luminose, ognora mutabile di forma e d’aspetto e, quand’è piena, sotto forma di un disco imponente, largo più che tre volte quello sotto cui noi vediamo e Sole e Luna.
14. Dopo quanto si è scritto non è difficile nemmeno attaccare la questione antica e attraente dell’abitabilità del nostro satellite. Se si volesse solo accennare quanto a questo proposito fu scritto, non basterebbe un volume. Si dovrebbe parlare dello spiritoso viaggio nella Luna di Cyran de Bergerac, dei grandiosi viaggi di Fontenelle, dei Micromégas di Voltaire, del mondo nella Luna di Wilkins, dell’uomo della Luna di Godwin, dei privolves e subvolves di Keplero, e narrare anche la pazza ascesa di Astolfo nella Luna, il quale là trova evaporate le menti di tanti suoi coetanei, episodio splendido, e mai privo di attualità, dell’Orlando di Ariosto. Sul terreno della fantasia pura noi nè dobbiamo, nè possiamo mettere il piede. Senza atmosfera, o, ciò che è lo stesso, con un’atmosfera di tenuità quasi infinita, senz’acqua, vita o animale o vegetale analoga a quella della Terra è inconcepibile sulla Luna. Con ciò non s’intende già che là sulla Luna sia un mondo spento; è temerità il negare la vita in qualcuno dei corpi celesti, qualunque esso sia, solo perchè le condizioni del medesimo sono inconciliabili colla vita a noi d’intorno sulla Terra. Non possiamo estendere la limitazione del nostro pianeta e della nostra mente all’universo.
La vita è troppo multiforme, troppo varia nel suo svolgersi, perchè noi possiamo pretendere di intuirla completamente col nostro spirito. Sulla Terra medesima essa ha preso, nelle diverse età geologiche, forme interamente diverse, ed ancora oggi nessuna mente, che non fosse guidata dall’osservazione dei fatti, potrebbe concepire tutte le forme sotto alle quali la vita a noi si mostra, e dalle condizioni di essa sui continenti ideare la vita quale si svolge nelle profondità dell’Oceano, o dalla vita umana ideare le strane e mirabili trasformazioni per le quali passa quella di un insetto. È probabile che anche sulla Luna una certa vita vi sia, ma se vita esiste, essa ha certo forme diverse dalle vite che hanno soggiorno in Terra; la Luna non è una copia, e tanto meno una colonia della Terra; vita lunare e vita terrestre possono in nessun modo essere paragonate fra loro, e la questione se la Luna sia abitata da uomini è oramai perfettamente oziosa.
15. Si dura fatica a credere che mentre attorno a noi tutto si muove, si agita, si trasforma, sulla Luna la materia anche inorganica debba essere condannata ad una immutabilità assoluta. Noi non arriviamo certo a vedere gli ultimi dettagli della Luna, ma se sulla sua superficie avvenissero mutamenti analoghi ad alcuni della Terra, se là estensioni di boschi ampi e parecchi chilometri quadrati scomparissero per dar luogo ad altre coltivazioni, e là sorgessero vaste città quali in pochi anni sorgono negli Stati Uniti d’America, non potrebbero sfuggire ai nostri mezzi d’osservazione. Sventuratamente un’altra cosa, oltre alla insuperabile limitazione dei dettagli visibili, rende singolarmente difficile e dubbia l’interpretazione dei fatti in questo problema delle mutazioni della superficie lunare. Le nostre ricerche intorno ai suoi accidenti si riducono in ultima analisi all’osservazione e allo studio delle varie e ineguali vicende di luce e di ombra per cui essi passano, vicende le quali mutano incessantemente, ridiventano identiche solo a intervalli lunghissimi di tempo, e perchè cambia l’angolo d’illuminazione che le produce, e perchè cambia il punto di vista dal quale le guardiamo. Più volte furono qua e là affermate mutazioni vedute, ma rimase sempre il dubbio, che si trattasse non di mutazioni reali, ma di dettagli divenuti visibili per circostanze eccezionali di illuminazione. Questo avvenne rispetto al piccolo cratere Hyginus (N. 35 tav. IV e V) attraversato dal canale omonimo (tav. IX); tanto questa regione cambia sotto illuminazioni diverse, che il giudicare di piccole mutazioni reali colla scorta sola delle minute loro apparenze diventa quasi impossibile. Un sol fatto parla finora sicuramente a favore della mutabilità della superficie lunare, e riguarda il cratere Linneo (N. 48 tav. IV e V). Ai tempi dei lavori di Lohrmann e di Madler, 1822-32, Linneo si presentava (tav. IX) come un cratere assai profondo, largo 10 chilometri circa, e come tale appariva in modo ben distinto, quando, avvicinandosi le fasi lunari, esso mostravasi più o meno ombreggiato. Tale lo rivide Schmidt negli anni 1841-43, ma a datare dall’ottobre del 1866 non riuscì più a Schmidt stesso di scorgere, sotto nessuna illuminazione, la forma craterale di Linneo. Il profondo e distinto cratere di altre volte è scomparso, e al posto suo si vede una piccola macchia (tav. IX) nel cui interno solo con difficoltà e con cannocchiali potenti si riesce a rintracciare un cratere piccolissimo.
16. Quando la Luna portata dal suo moto proprio passa pel punto C della propria orbita (fig. 1), ed il punto C contemporaneamente si trova o vicinissimo o nel piano dell’eclittica nel quale giacciono il Sole e la Terra, succede una eclissi totale di Luna. La Terra, intercettandoli, impedisce ai raggi solari di arrivare alla Luna, e questa, avvolta nell’ombra dalla Terra proiettata, scompare. Non scompare in generale per intiero. Sulla sua superficie si diffonde, anche nel momento della totalità massima, una debole luce nella quale il colore predominante è il rosso cupreo (tav. XIII), luce residua, che proviene dalla rifrazione e dalla dispersione della luce solare nell’atmosfera terrestre. Sono rare le eclissi lunari delle quali narrisi che la Luna, durante la totalità, sia divenuta per qualche istante tutta invisibile, e sono quelle del 15 giugno 1620 (osservazione di Keplero), del 25 aprile 1642 (osservazione di Evelio), del 18 maggio 1761 (osservazione di Wargentin), del 10 giugno 1816 (osservazione di Beer e Mädler). Anticamente l’osservazione del momento in cui avveniva una eclissi totale dava modo di determinare con precisione il movimento della Luna e un punto speciale dell’orbita lunare; ora tutto ciò che riguarda il moto della Luna o è abbastanza noto, o meglio si indaga con altre osservazioni; durante le eclissi lunari si fanno ora a preferenza osservazioni fisiche; in quelle del 1884 e del 1888 si indagarono ad esempio le fasi di calore, per le quali passa la Luna eclissandosi. Ne risultò che il debole calore irradiato dalla Luna scompare quasi interamente quando l’eclissi diventa totale, e che la scomparsa segue da vicino ma non è rigorosamente contemporanea alla sparizion della luce.
17. Per lunghissimo tempo si attribuì alla Luna un’azione grande, preponderante sui fenomeni naturali. Si fecero da essa dipendere i fenomeni tutti dell’atmosfera, quelli della vita animale e vegetale; si ritenne per fermo che nulla di quanto succede attorno a noi si sottrae dal suo influsso potente.
Gli astrologi, i quali facevano presiedere ad ogni organo umano un astro, avevano collocato il cervello sotto la protezione della Luna, e, come un’eco lontana di questa loro idea fantastica, rimane tuttora nel nostro linguaggio il nomignolo di lunatici applicato agli uomini bizzarri, e di umore instabile. La scienza di tutte le pretese influenze lunari sulla vita animale ha oramai trionfato, e sgombro il proprio terreno; rimangono alcuni fatti di essa vita, che hanno un periodo ciclico quasi sincrono a quello delle lunazioni, ma fra questi fatti e la Luna nessuno oramai più pensa ad un vincolo possibile come di effetto a causa.
Gli agricoltori hanno tuttora rispetto alla Luna alcuni aforismi dai quali difficilmente si allontanano; nell’abbattere le piante, nel seminare, nel raccogliere badano alla fase. In questo campo la scienza ha distrutti non pochi aforismi, i quali non reggono al controllo dei fatti; ha dimostrato che in generale il concetto di un’energica azione lunare sulla vita vegetale, di un’azione che su tutte le altre preponderi, manca assolutamente di base; trovò però che in alcuni casi speciali, nell’orticoltura ad esempio, esiste realmente una qualche azione della fase, azione di ordine secondario però, e della quale pel momento non si può dare con sicurezza ragione.
Rimangono alcuni fenomeni di fisica terrestre, e i fenomeni tutti meteorologici, il succedersi delle pioggie, dei venti, del caldo, del freddo, del buono e del cattivo tempo. Costituiscono questi il campo classico degli influssi lunari, e ancor oggi molti, troppi anzi, cercano nella Luna il loro più sicuro criterio sul tempo che farà. La scienza procedette e procede su questo terreno con cautela grande, non afferma, non nega sistematicamente; quando lo può, dimostra le affermazioni e le negazioni sue; nei rimanenti casi sta dubbiosa, lasciando ai fatti avvenire la soluzione del dubbio.
La scienza afferma e dimostra che la Luna colla sua massa è la causa precipua del flusso e riflusso dei nostri mari, ma afferma e dimostra insieme che la marea atmosferica è minima. Le diverse fasi della Luna non sono forti abbastanza per produrre da sè variazioni sensibili nello stato dell’oceano atmosferico che ci circonda, ma possono aiutare od osteggiare certi movimenti che in questo oceano sieno da altre cause iniziali prodotti.
La scienza ammette una certa corrispondenza fra le oscillazioni del magnetismo terrestre e il corso della Luna, pur confessando di ignorare per qual ragione tale corrispondenza si produca, ma nega, poichè l’esperienza non lo conferma, che le fasi lunari abbiano qualche influenza sui terremoti.
La scienza studia con esperienze rigorose l’azione termica della Luna, e afferma e dimostra che essa in generale è minima, che è insensibile e non dimostrabile nei fenomeni della meteorologia, e poichè in questi il calore è fattore principalissimo, la scienza ricaccia la Luna fra le cause meteorologiche secondarie, sulle quali nessun pronostico sicuro del tempo può fondarsi, e per arrivare a questi pronostici batte altra via.
La scienza esamina pazientemente gli aforismi dei Nostradamus di tutti i tempi, li passa allo staccio dei fatti, e, se non reggono alla prova, li rigetta, se in qualche modo reggono, accorda loro quella fiducia di cui son degni, e aspetta dai fatti avvenire la loro conferma piena. Alcune osservazioni accennano ad una qualche influenza della Luna sulla pioggia, sui temporali e sulla serenità del cielo; tutte le osservazioni affermano però che trattasi d’un’influenza di ordine secondario, ed escludono che la pioggia, i temporali, la serenità del cielo abbiano per causa efficiente la Luna; tutte le osservazioni dimostrano falsa la vulgata opinione che aspetta dai quarti della Luna qualche presagio per le variazioni del tempo.