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14 | II. — LA LUNA |
senz’ordine apparente, separate fra loro da profondi burroni. Qualche volta formano una specie di altipiano aspro e disuguale, che da una parte cade poi rapidamente a picco nella pianura sottostante; più di rado sorgono isolate in mezzo ad una macchia oscura, quasi scogli staccati, solitarii, ripidi, dirupati. Le altezze loro sul piano circostante si ottengono misurando le lunghezze delle ombre che proiettano; raggiungono perfino 8831 metri (Curtius tav. IV e V), altezza prodigiosa, se si pensa che appartiene ad un corpo il cui diametro è poco più che un quarto di quello della Terra, e che, date le proporzioni, equivale ad un picco il quale si innalzasse su questa a 35 chilometri circa. Le montagne lunari hanno contorni più erti e più frastagliati delle nostre, e questa loro struttura dirupatissima dimostra essa pure l’assoluta mancanza di sistemi di correnti e di acqua sulla superficie della Luna.
Raramente le montagne lunari sono disposte in guisa da apparire come una catena lunga e non interrotta, dalla quale partano diramazioni e catene minori. Si dà il nome di Apennini ad una catena che sorge ad ovest del Mare Imbrium, e che fra le catene lunari è di gran lunga la maggiore. Si svolge per 700 chilometri circa, e le sue cime più alte, Conon e Huygens, si spingono a 5400 ed a 5600 metri. Nè questi Apennini però, nè le altre minori catene della Luna, i Carpati, le Alpi, il Caucaso (tav. VIII), i Pirenei, le Ande, possono in qualche modo paragonarsi alle catene terrestri di cui portano il nome. Di queste non hanno le lunghezze, e sovratutto le valli laterali. Il lungo serpeggiare delle nostre Alpi e delle nostre Ande, le valli spaziose alle quali esse danno luogo, le diramazioni, le pendenze successivamente più dolci che le nostre montagne prendono verso la base, fino a confondersi insensibilmente colle maestose pianure che si partono dai loro piedi, non hanno riscontro sulla Luna, e ciò perchè su questa manca l’acqua, la grande livellatrice terrestre. Le catene e le montagne lunari son rupi a contorni aspri e salienti, nelle quali tutto è rotto, tutto procede a salti, e nelle quali mancano affatto passaggi, trasformazioni, gradazioni insensibili.
12. Nè i mari, nè i canali, nè le montagne, nè le catene costituiscono il vero dettaglio tipico e caratteristico della superficie visibile lunare:... “quello poi, di che vi è maggior frequenza,“ scriveva Galileo or fanno più di 250 anni, „sono alcuni argini (userò questo nome, per non me ne sovvenire altro, che più gli rappresenti) assai rilevati, li quali racchiudono e circondano pianure di diversa grandezza, e formano varie figure, ma la maggior parte circolari; molte delle quali hanno nel mezzo un monte rilevato assai, e alcune poche sono ripiene di materia alquanto oscura, cioè simile a quella delle gran macchie, che si veggono con l’occhio libero; e queste sono delle maggiori piazze; il numero poi delle minori e minori è grandissimo, e pur quasi tutte circolari...„
Getti il lettore l’occhio sopra qualunque delle ta-
A queste che Galileo chiamava piazze maggiori e minori noi, gúidati dall’analogia, diamo ora il nome di crateri, sebbene impropriamente. I più grandi crateri dei vulcani terrestri appena si avvicinano, quanto a dimensioni, ai più piccoli della superficie lunare. Nei crateri della Luna si vede sempre in modo chiaro e distinto un fondo; sulla Terra in gran parte sono dessi invece vere bolgie, nelle quali l’occhio, per quanto si spinga, non discerne cosa alcuna.
Vi sono crateri sulla Luna che hanno ottanta, cento, perfin duecento e più chilometri di diametro. Fra questi crateri maggiori c’è Arzachel con 106 chilometri di diametro (tav. VI), Gassendi con 89 chilometri (tav. VII), Tico con 87 chilometri (tav. VIII), Plato con 97 chilometri (tav. IX). L’interno loro mostrasi qualche volta relativamente piano ed uniforme, più spesso sparso di monti, di brevi catene, di crateri minori, di accidenti vari. I contorni loro di rado si svolgono anulari ed uniformi; quasi sempre sono formati da un sistema complesso ed intralciato di montagne; qua e là appaiono rotti e variamente frastagliati, altissimi per certi tratti, bassi nei tratti contigui. Si direbbe che questi crateri maggiori sono antichi crateri stati sconvolti da un cataclisma.
Più numerosi sono nella Luna i crateri di medie dimensioni, e i cui diametri vanno da 15 a 40 a 60 e più chilometri. La loro forma è più regolare di quella che riscontrasi nei crateri maggiori; la figura circolare spicca in essi meglio disegnata anche attraverso agli accidenti della loro conformazione; lo si vede in Alpetragius (tav. VI) che ha un diametro di 43 chilometri, in Erathosthenes (tav. VIII) uno dei più vasti fra questi crateri mediani, e di cui il diametro misura 60 chilometri. Non si esagera portando da 3 a 4 mila il numero di questi crateri medii, a contorno regolare. Nella regione meridionale della Luna (tav. IV e V) sono essi tanto frequenti, che l’un l’altro si toccano.
I crateri piccoli, detti semplicemente crateri, con diametri minori di 15 chilometri, sono sulla Luna innumerevoli. Schmidt opinava che con un cannocchiale capace di un oculare il cui ingrandimento sia 600 se ne vedono non meno di 100 mila; egli stesso ne ha catalogizzati 32 mila e più. Questi crateri sono anche più regolari di forma che non i mediani, e sono sparsi per ogni dove. La superficie lunare, in qualunque punto si studia, porta l’impronta di commossioni gagliarde e vaste; vedendola tutta disseminata di crateri, di dirupi, di squarciature, senza volerlo, si corre col pensiero all’epoca lontanissima che