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II. — LA LUNA. | 15 |
pur deve avere a tante rovine preesistito, e con terrore si immagina il periodo che separa quell’epoca lunare dall’attuale, periodo di transizione, forse di gagliardissima attività vulcanica, periodo nella storia fisica della Luna epico in sommo grado.
13. Dopo quanto si è scritto non è difficile immaginare un paesaggio quale esiste sull’emisfero della Luna a noi visibile. Ai fatti già noti basterà aggiungere quest’uno, che cioè il diametro della Luna misura 3482 chilometri, e 0,273 del diametro terrestre.
La tavola X-XI dà di quel paesaggio uno schizzo a grandi linee. L’orizzonte disseminato di crateri di ogni dimensione, di picchi altissimi e dirupati, di lunghe squarciature, di cavità circolari; arido, senz’acqua e quindi senza fiumi, senza laghi e mari; privo di atmosfera, e quindi senza luce diffusa, senza gradazioni di luce, senza contrasti di luce e di ombre, luminoso abbagliante là dove arriva diretto un raggio solare, tenebroso in ogni altro punto; non terminato, non chiuso all’ingiro e per ogni parte da una volta celeste azzurra, ma da una color nero d’inchiostro, sulla quale si proietta il Sole grande apparentemente così come vedesi dalla Terra, sulla quale contemporaneamente di pieno giorno si vedono qua e là, lungi dal Sole, i pianeti, le stelle, la Via lattea, e sulla quale si proietta ancora la Terra nostra rossiccia, sparsa di macchie diversamente luminose, ognora mutabile di forma e d’aspetto e, quand’è piena, sotto forma di un disco imponente, largo più che tre volte quello sotto cui noi vediamo e Sole e Luna.
14. Dopo quanto si è scritto non è difficile nemmeno attaccare la questione antica e attraente dell’abitabilità del nostro satellite. Se si volesse solo accennare quanto a questo proposito fu scritto, non basterebbe un volume. Si dovrebbe parlare dello spiritoso viaggio nella Luna di Cyran de Bergerac, dei grandiosi viaggi di Fontenelle, dei Micromégas di Voltaire, del mondo nella Luna di Wilkins, dell’uomo della Luna di Godwin, dei privolves e subvolves di Keplero, e narrare anche la pazza ascesa di Astolfo nella Luna, il quale là trova evaporate le menti di tanti suoi coetanei, episodio splendido, e mai privo di attualità, dell’Orlando di Ariosto. Sul terreno della fantasia pura noi nè dobbiamo, nè possiamo mettere il piede. Senza atmosfera, o, ciò che è lo stesso, con un’atmosfera di tenuità quasi infinita, senz’acqua, vita o animale o vegetale analoga a quella della Terra è inconcepibile sulla Luna. Con ciò non s’intende già che là sulla Luna sia un mondo spento; è temerità il negare la vita in qualcuno dei corpi celesti, qualunque esso sia, solo perchè le condizioni del medesimo sono inconciliabili colla vita a noi d’intorno sulla Terra. Non possiamo estendere la limitazione del nostro pianeta e della nostra mente all’universo.
La vita è troppo multiforme, troppo varia nel suo svolgersi, perchè noi possiamo pretendere di intuirla completamente col nostro spirito. Sulla Terra medesima essa ha preso, nelle diverse età geologiche,
15. Si dura fatica a credere che mentre attorno a noi tutto si muove, si agita, si trasforma, sulla Luna la materia anche inorganica debba essere condannata ad una immutabilità assoluta. Noi non arriviamo certo a vedere gli ultimi dettagli della Luna, ma se sulla sua superficie avvenissero mutamenti analoghi ad alcuni della Terra, se là estensioni di boschi ampi e parecchi chilometri quadrati scomparissero per dar luogo ad altre coltivazioni, e là sorgessero vaste città quali in pochi anni sorgono negli Stati Uniti d’America, non potrebbero sfuggire ai nostri mezzi d’osservazione. Sventuratamente un’altra cosa, oltre alla insuperabile limitazione dei dettagli visibili, rende singolarmente difficile e dubbia l’interpretazione dei fatti in questo problema delle mutazioni della superficie lunare. Le nostre ricerche intorno ai suoi accidenti si riducono in ultima analisi all’osservazione e allo studio delle varie e ineguali vicende di luce e di ombra per cui essi passano, vicende le quali mutano incessantemente, ridiventano identiche solo a intervalli lunghissimi di tempo, e perchè cambia l’angolo d’illuminazione che le produce, e perchè cambia il punto di vista dal quale le guardiamo. Più volte furono qua e là affermate mutazioni vedute, ma rimase sempre il dubbio, che si trattasse non di mutazioni reali, ma di dettagli divenuti visibili per circostanze eccezionali di illuminazione. Questo avvenne rispetto al piccolo cratere Hyginus (N. 35 tav. IV e V) attraversato dal canale omonimo (tav. IX); tanto questa regione cambia sotto illuminazioni diverse, che il giudicare di piccole mutazioni reali colla scorta sola delle minute loro apparenze diventa quasi impossibile. Un sol fatto parla finora sicuramente a favore della mutabilità della superficie lunare, e riguarda il cratere Linneo (N. 48 tav. IV e V). Ai tempi dei lavori di Lohrmann e di Madler, 1822-32, Linneo si presentava (tav. IX) come un cratere assai profondo, largo 10 chilometri circa, e come tale appariva in modo ben distinto, quando, avvicinandosi le fasi lunari, esso mostravasi più o meno ombreggiato. Tale lo rivide Schmidt negli anni 1841-43, ma a datare dall’ottobre del 1866 non riuscì più a Schmidt stesso di scorgere, sotto nessuna illuminazione, la forma craterale di Linneo. Il profondo e distinto cra-