Archivio storico italiano, serie 5, volume 7 (1891)/Rassegna bibliografica/Monticolo

Giorgio Bolognini

Giovanni Monticolo.
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Giovanni Monticolo.
Cronache veneziane antichissime. - I manoscritti e le fonti della Cronaca del diacono Giovanni
Rassegna bibliografica Rassegna bibliografica

[p. 178 modifica]Cronache veneziane antichissime, pubbl. dall’Istituto storico italiano, a cura di Giovanni Monticolo. - Vol. I, Roma 1890. In 8.°, di pp. xxxix-224.
Giovanni Monticolo. - I manoscritti e le fonti della Cronaca del diacono Giovanni. - Estratto dal Bullettino dell’Istituto storico italiano n.° 9. - Roma, Forzani 1889. - In 8.°, di pp. 298.

Il prof. Giovanni Monticolo è uno dei più valenti cultori dell’antichissima storia veneziana, e gli studi da lui fatti in questo arduo campo occupano un posto eminente accanto a quelli del Cipolla, del Simonsfeld, del Kohlschütter, del Waitz, del Fanta e di tanti altri eruditi, i quali diedero in questi ultimi tempi impulso [p. 179 modifica]vigoroso e indirizzo critico alle ricerche intese ad illustrare le origini della repubblica di S. Marco.

Ora il M. ci dà una ottima edizione di alcune cronache fra le più importanti composte a Venezia e nelle altre città del ducato, prima che il doge Andrea Dandolo scrivesse la grande opera cui deve la fama.

Le cronache veneziane antichissime di questa edizione sono quattro, cioè: La Cronaca de singillis patriarchis Nove Aquileie, il così detto Chronicon Gradense, una Cronaca brevissima delle origini del patriarcato di Grado e la Cronaca veneziana del diacono Giovanni, che è la più importante fra tutte. Terminano il volume alcune Scritture storiche aggiunte a quest’ultima.

L’edizione è condotta con quella critica minuta e scrupolosa di cui il prof. M. aveva già dato saggio ne’ suoi lavori precedenti, ed è accompagnata da note nelle quali nulla è trascurato che possa giovare in qualche modo alla piena ed esatta intelligenza del testo. Così il lettore è sempre avvertito dei passi analoghi o somiglianti od uguali a quelli di altre cronache, ed è rinviato opportunamente a dissertazioni critiche o a documenti che possano servire d’illustrazione. Anzi, allorché gli accade di riferire in nota il testo di qualche documento già pubblicato da altri poco esattamente, egli ne ristabilisce la lezione originaria ricorrendo alle fonti manoscritte.

Una parte assai importante è fatta nelle note alle indicazioni geografiche, dove il M. non trascura occasione per rettificare interpretazioni erronee date da altri critici a certi nomi di luoghi del territorio veneto. E non mancano neppure delle osservazioni filologiche là dove il barbaro latino medioevale renderebbe assai difficile l’interpretazione di alcuni punti a chi non avesse famigliarità con esso. Sicché con tali sussidi la lettura di quelle rozze narrazioni può dare anche a chi non sia profondo in tali studi un quadro quasi completo della storia veneziana di quell’epoca.

Le conclusioni del Giesebrecht, del Pertz, del Gloria, del Wüstenfeld sono tutte dal M. messe a profitto e vagliate con una critica severa ma giusta ed imparziale; anzi torna a grande lode dell’autore il non fondare le asserzioni che sopra testimonianze certe ed irrefragabili. Riesce poi di grande utilità agli studiosi l’indice dei Nomi proprî e cose notevoli che si trova in fondo al volume; giacché è resa in tal modo più facile, più breve e più esatta ogni ricerca particolare.

Come il testo è corredato di note esplicative, così è accompagnato anche da un diligentissimo apparato critico, nel quale sono indicate non solamente le varianti dei codici, ma eziandio le correzioni di taluno di essi, dove la lezione primitiva è ancora leggibile.

[p. 180 modifica]Quanto ai criteri seguiti nella edizione, e ai manoscritti adoperati, e alle relazioni che questi presentano tra loro e con altre opero conosciute o supposte, abbiamo ampie notizie e diffuse discussioni nella Prefazione di questo volume, e più ancora nell’altra opera che abbiamo preso in considerazione, la quale benché tratti specialmente dei Manoscritti e delle fonti della Cronaca del diacono Giovanni, devo pure occuparsi di tutte le questioni attinenti alle altre cronache veneziane più antiche, in virtù dei rapporti strettissimi onde queste sono legate a quell’interessante monumento della storia medievale.

Perciò, riassumendo le conclusioni del M., terremo conto dell’uno e dell’altro lavoro contemporaneamente; e cominceremo dalla Cronica de singulis patri archis nove Aquileie, che nell’edizione e nella cronologia occupa il primo posto.

La Cronica de singulis patriarchis nove Aquileie, composta da un anonimo a Grado dietro la scorta dei documenti dell’archivio di quella chiesa metropolitana, si legge nei codice membranaceo in foglio piccolo della biblioteca Barberini di Roma segnato XI, 145 già 247; esso è del secolo XIII, ma non presenta l’opera nella sua forma originale. Perciò il M. corresse in molti luoghi la testimonianza di questo manoscritto con quella di un altro più corretto e più antico, cioè l’Urbinate-Vaticano 440, il quale contiene il Chronicon Grandense, dove è compresa una parte della nostra Cronica. Questa ebbe già due edizioni, la prima incompleta a cura del Pertz1 e la seconda per opera del Waitz2. Il M. ricorda sempre la loro lezione là dove interpreta diversamente; e nella seconda nota difende con buoni argomenti l’autenticità degli atti del sinodo di Grado tenuto dal patriarca Elia il 3 novembre 5793.

Il Cronicon Gradense in questi ultimi anni fu oggetto di studi pazienti e di vari giudizi, sia rispetto alle sue fonti ed alla sua composizione, sia rispetto al suo autore.

L’edizione che ne dà il M. è la terza, perchè fu già pubblicato molto imperfettamente e sulla testimonianza di un solo codice dal [p. 181 modifica]Rossi nel 1845, come quarto libro del Chronicon Altinate4, e l’anno appresso dal Pertz5 col sussidio di tre codici, cioè: il Vaticano Urbinate 440, il Vaticano 5269, e il Marciano Latino X, 141. Il M. ha preso in esame ancora un quarto codice (il codice H, V, 44 del seminario patriarcale di Venezia), ed ha corretto in parecchi punti la lezione data dall’erudito tedesco.

Il Waitz6 per primo riconobbe in quest’opera l’accozzo di due parti affatto distinte, anzi in alcuni punti contradittorie, di cui l’una fu tratta dalla citata Cronica de singulls patriarchis nove Aquileie, e l’altra è un compendio di due piccole cronache che si trovano riunite in un sol tutto nel Chronicon Altinate e riguardano le prime vicende di Torcello e dì Grado. Perciò assai male gli conviene il titolo di Chronicon Gradense datogli dal Pertz ed accettato poi per convenzione dagli altri eruditi; onde il M. lo presenta giustamente agli studiosi come Cronaca del patriarcato di Grado e delle origini di Torcello e di Grado, nota comunemente col titolo di Chronicon Gradense.

L’importanza storica di quest’opera, osserva il M., non istà nella originalità delle notizie, ma principalmente nel fatto che, essendoci stata trasmessa anche in un codice del principio del secolo XI (il Vaticano-Urbinate 440) «ci dà un argomento sicuro, forse il solo, per dimostrare che almeno la parte corrispondente del Chronicon Altinate7 era già composta prima di quel tempo, sebbene gli antichi manoscritti del medesimo sieno soltanto della prima metà del secolo XIII»8. Il racconto presenta poco ordine e quasi nessuna unità; e ciò induce il M. a supporre che l’anonimo compilatore, più che un’opera storica, abbia voluto fare una raccolta di appunti intorno alle origini di Torcello e di Grado e alla storia del patriarcato, «con i quali avrebbe forse a suo agio composto poi una cronaca intorno a quel tema coordinando meglio la materia e togliendone le evidenti contraddizioni»9.

[p. 182 modifica]Chi fosse questo anonimo compilatore, la critica non è riuscita e forse non riuscirà mai a determinare con sufficiente sicurezza.

Due nomi hanno messo innanzi le congetture dei dotti in tale materia, cioè Giovanni diacono, autore del Chronicon venetum, del quale dovremo pure tener parola, e il patriarca Vitale IV Candiano (morto intorno all’anno 1020), figlio del doge Pietro Candiano IV, che fu ucciso, come è noto, nella sollevazione popolare del 976.

Con molta esattezza e grande acume il M. nella Prefazione al testo, e specialmente nella dissertazione sui Manoscritti e le fonti della Cronaca del diacono Giovanni (nel capitolo XIX), espone tutti gli argomenti che si potrebbero addurre in favore dell’uno e dell’altro personaggio, ma conchiude prudentemente che mancano e per l’uno e per l’altro delle prove decisive. Soltanto mi sembra che il M. propenda per Vitale, allorché dice che la compilazione fu composta probabilmente in Grado da un sacerdote della chiesa metropolitana nel principio del secolo XI10. In ogni modo sono assai interessanti ed opportune le notizie intorno alla vita di questo patriarca che il M. trae dalle cronache e dai documenti del tempo.

Occupa il terzo posto nella serie delle Cronache veneziane antichissime una breve composizione anonima la quale consta di alcuni period tratti dal Chronicon Gradense verso la metà del secolo XIV, probabilmente durante il dogado di Andrea Dandolo, allo scopo di mettere in evidenza il diritto di investitura che spettava ai dogi nella elezione dei patriarchi. Questa piccola raccolta, a cui il M. dà il nome di Cronaca brevissima delle origini del patriarcato di Grado, avendo quasi il carattere di un documento ufficialo, si legge nel Liber primus Pactorum, e nel noto codice Trevisaneo che si conserva al R. Archivio di Stato di Venezia.

Viene finalmente il Cronicon venetum di Giovanni diacono, al quale il M. dedica una completa dissertazione intesa ad illustrarne i manoscritti e le fonti.

Questo preziosissimo monumento dell’antica storia di Venezia fu oggetto degli studi assidui di molti eruditi, ed in particolar modo dello stesso M., il quale pubblicò già sul cronista Giovanni alcune altre interessami monografie11, di cui la presente si può dire la più degna continuazione.

[p. 183 modifica]Non a torto l’attenzione degli storici veneziani fu attirata particolarmente dal Chronicon venetium di Giovanni diacono, perchè, come già ebbe a notare il M. ne’ suoi studi precedenti12, nessuna altra fonte dell’antichissima storia veneziana diffonde tanta luce sopra certi avvenimenti che il Dandolo accenna appena, oppure trascura completamente. E la narrazione del cronista Giovanni diventa diffusa e acquista la massima autorità quando espone i fatti contemporanei, la maggior parte dei quali noi non potremmo conoscere d’altronde. L’esposizione delle vicende di Pietro Orseolo II (991-1009), che rivolse tutta la sua attività alla prosperità commerciale ed alla sicurezza di Venezia, e specialmente la lunga narrazione della conquista della Dalmazia intrapresa da quel doge, è veridica, minuta e chiara, tanto che in questa parte la cronaca, procedendo anche con forma meno sconnessa, si avvicina ad una vera e propria storia degli avvenimenti che si svolsero sotto gli occhi dell’autore, e nei quali anzi l’autore stesso ebbe parte non piccola né indifferente. Sebbene questi abbia posto ogni cura nel celare l’essere suo, tuttavia la conoscenza ch’egli mostra di alcuni fatti i quali non potevano essere noti se non a un testimonio oculare, indusse ultimamente i dotti a concludere concordemente che l’autore di questo Cronicon venetum non può essere altri che Giovanni diacono, in presenza del quale il doge Pietro Orseolo II e l’imperatore Ottone III s’incontrarono e si abbracciarono nell’isoletta di S. Servolo una notte d’aprile del 1001.

Notizie importanti sebbene poco copiose sul diacono Giovanni ci danno alcuni documenti che il M. ricorda nella Prefazione al testo, e che ci rivelano come l’operosità politica del nostro autore si svolse alla corte di Ottone III e di Enrico II, «mentre manca qualunque indizio ch’egli abbia avuto parte alle trattative non meno importanti che nel medesimo tempo vennero fatte tra il doge e la corte bizantina»13.

L’opera del diacono Giovanni, di cui i dotti incominciarono a indagare le fonti e i codici nei primi anni del secolo XVIII, fu chiamata da alcuni Cronaca Sagornina, perchè il padre Bernardo De Rubeis ne’ suoi Monumenta Ecclesiae Aquileiensis (cap. XXVIII), [p. 184 modifica]tratto in errore da una nota marginale del codice Marciano Lat. X, 141, credette di doverla attribuire al fabbroferraio Giovanni Sagomino della prima metà del secolo XI14. E quale Chronicon venetum omnium quae circumferuntur vetustissimum et Iohanni Sagornino vulgo tributum fu pubblicato per la prima volta nel 1765 da Girolamo Francesco Zanetti sulla testimonianza del ricordato codice Marciano, detto anche Zeniano, perchè posseduto da Apostolo Zeno.

Ma questa prima edizione cui mancava una giusta critica nell’uso dei codici e per di più la esatta interpretazione del testo, non corrispose all’aspettazione degli studiosi di storia veneziana. Pensò allora di dare una seconda edizione della Cronaca nei primi anni del nostro secolo Domenico Maria Pellegrini dell’ordine dei Predicatori e preposto alla biblioteca del suo monastero; ma la sua illustrazione (la quale del resto correggeva soltanto in parte i gravi errori dello Zanetti) rimase inedita, ed ora è tra i codici Cicogna (n. 619) al Museo Civico di Venezia.

L’onore di aver dato una seconda edizione della nostra Cronaca spetta a Giorgio Enrico Pertz, il quale, riconoscendo in essa una fonte importantissima non solamente per la storia del comune veneziano, ma anche per quella dell’impero romano-tedesco, l’anno 1846 la pubblicò nel volume VII dei Monumenta Germaniae historica, valendosi come testimonianza fondamentale del codice Vaticano-Urbinate 44015, che è il più antico ed appartiene al secolo XI, e del codice Vaticano 5269, scritto verso la metà del secolo XIII e importante perchè ci ha conservato la prima parte della cronaca che manca nell’Urbinate e che ricorda le vicende del comune veneziano dalle origini sino alla elezione del doge Maurizio. Del terzo codice ossia del Marciano, che è il meno degno di considerazione, perchè è della fine del secolo XV e deriva [p. 185 modifica]manifestamente dal Vaticano, il Pertz segnò soltanto alcune varianti più notevoli.

L’edizione del Pertz, informata a quei retti criteri che costituiscono il pregio di ogni volume dei Monumenta Germaniae, ebbe la più lieta accoglienza dagli eruditi nostri e d’oltr’Alpe; e il Giesebrecht, il Kohlschütter, il Gfrörer se ne giovarono assai nelle loro pregevolissime opere storiche.

Tuttavia anche l’edizione del Pertz, sebbene si lasciasse addietro di gran lunga quella del 1765, non andò esente da ogni difetto; e d’altra parte alcune opinioni che il Pertz mise innanzi nella Prefazione intorno al diacono Giovanni e alla sua cronaca non incontrarono l’approvazione di tutti.

Laonde mancava ancora un lavoro che, riassumendo le idee esposte dai varii critici su questo soggetto dal 1816 fino ad oggi, ed applicandole all’interpretazione del testo, completasse l’opera del dotto tedesco. A questo lavoro si è accinto il prof. M. il quale fin dal 1882, indagando il valore storico della cronaca nel suo studio pubblicato nella Cronaca liceale di Pistoia, a pag. 28 aveva rilevato giustamente alcune mende dell’edizione del Pertz.

Ora nei primi capitoli della nuova dissertazione intesa a trattare tutte le questioni che si rifericono alla composizione ed al testo della cronaca, discute anche certe opinioni dell’illustre storico tedesco, le quali per il passato furono accettate sulla sua autorità, in tutto in parte, dagli studiosi e dal M. stesso.

Il Pertz affermò essere il cod. Vaticano-Urbinate 440 l’autografo di Giovanni è scritto nella sua ultima parte in più tempi di mano in mano che gli avvenimenti si succedevano. Inoltre, siccome il Chronicon Gradense si trova nello stesso codice e scritto dalla medesima mano, trasse la conseguenza che l’autore di quest’ultima opera fosse senz’alcun dubbio il diacono Giovanni. L’opinione che attribuisce al nostro cronista la compilazione del Chronicon Gradense fu già combattuta con buoni argomenti dal Kohlschütter16 dal Simonsfeld17 e dal Waitz18, i quali osservarono la diversità dello stile ed altre differenze sostanziali assai notevoli. All’esame delle altre due opinioni il M. dedica tutto il IV capitolo della sua dissertazione, e vi si accinge dando prima una minuta ed accuratissima descrizione del codice Vat.-Urb. sul quale il Pertz fondò i [p. 186 modifica]suoi giudizi, e trattenendosi specialmente sulle correzioni del codice stesso. Sarebbe troppo lungo ricordare tutti gli ottimi argomenti onde il M. combatte le deduzioni del Pertz: basti accennare che egli, pur mostrando l'insufficienza delle ragioni addotte da questo, riconosce però che una critica minuta e coscienziosa non può decisamente affermare il contrario; e conchiude che il codice Urbinate fu scritto per certo da un veneziano al principio del secolo XI e che anche non volendo accordargli un’originalità assoluta, «si dovrà almeno ritenere che esso sia la copia più antica dell’abbozzo dell’opera, ma forse posteriore alla morte dell’autore» (p. 43).

Nè meno sottile ed imparziale è la critica del M. allorchè passa ad indagare le fonti della cronaca veneziana.

Queste sono il De sex aetatibus mundi di Beda, la Historia Langohardorum di Paolo Diacono, e probabilmente anche la Cronica de singulis patriarchis nove Aquileie, il Chronicon Gradense e un’altra composizione che nelle sue parti più antiche risale al secolo X, vale a dire il Chronicon Altinate, del quale il Simonffed dette nel vol. XIV dei Mon. Germ. hist. una eccellente edizione che corresse gli errori e le imperfezioni di quella data dal Rossi nel vol. VIII S. I, e dal Gar nel vol. V App. di questo periodico.

Siccome poi il cronista si valse di testimonianze diverse secondo che ebbe a trattare della storia ecclesiastica o politica del suo comune, oppure della storia straniera che ha relazione con Venezia, il M. stabilisce anzi tutto una triplice divisione delle fonti, e incomincia dal ricercare le opere onde il cronista Giovanni trasse la storia del patriarcato di Grado e dei due vescovadi di Olivolo e di Torcello, che erano «le tre dignità ecclesiastiche maggiori per l’importanza della loro sede» (pag. 67). Osserva in pari tempo che, mentre possiamo stabilire con bastante certezza le fonti del diacono Giovanni per la prima parte della sua cronaca, ci mancano invece indizi sufficienti per determinare le opere ond’egli attinse la materia storica dei tempi a lui più vicini.

«È superfluo (dice poi il M. a pag. 68) dimostrare che il diacono Giovanni nella composizione della sua opera si attenne alla «testimonianza d’altre scritture più antiche anche in quelle parti ove non vi possono determinare con precisione le fonti che si riferivano a cronache a noi sconosciute; se il cronista veneziano avesse tratto la materia soltanto dalla tradizione orale, il suo racconto non sarebbe stato così lucido, ma avrebbe portato in sè stesso le tracce delle alterazioni che il popolo suole introdurre o attribuendo a un sol uomo le imprese compiute in un intero periodo storico o dando al racconto un carattere leggendario e romanzesco».

Ed è appunto in questi casi che il critico è costretto a [p. 187 modifica]ricorrere a congetture più o meno probabili. Il M. però avverte sempre il lettore allorchè le prove da lui addotte «danno soltanto degli «indizi ma non gli argomenti decisivi e sicuri coi quali si dimostra in modo assoluto e definitivo la verità nella storia» p. 77); come quando, per esempio, dalle molte notizie particolari ed esattissime che il cronista veneziano dà intorno alle chiese di Grado nel sec. VIII (notizie confermate da un documento che il cronista certo non conobbe) argomenta che il diacono Giovanni si valesse del racconto d’uno scrittore contemporaneo o molto vicino a quei tempi, ma a noi affatto ignoto (cap. X pag. 74). Così il M. trova qualche indizio d’una fonte contemporanea nella narrazione del contrasto tra il patriarca Pietro, il pontefice Giovanni VIII e il doge Orso I Particiaco. All’esame di questa narrazione dedica il M. le venti pagine del capitolo XI, e riassumendo con grande ordine e chiarezza i particolari di questo contrasto, dichiara di attenersi alla testimonianza di Giovanni diacono il quale ricorda un solo concilio di Ravenna da riferirsi all’anno 887, anzichè all’opinione del Mansi19, del Iaffè e dell’Ewald20 che vorrebbero ammettere due sinodi di Ravenna tenuti da Giovanni VIII, uno nell’874 e l’altro neir877.

Quanto alle altre notizie assai brevi che il diacono Giovanni dà intorno ai patriarchi di Grado, il M., esaminando i cataloghi che di questi patriarchi abbiamo nel Chronicon Altinate e nella Cronica de singulis patriarchis nove Aquileie, conchiude che probabilmente nessuno dei due servì di fonte diretta, ma bensì un altro catalogo che a noi non sarebbe pervenuto, «perchè alcune delle notizie del cronista Giovanni mancano nelle due fonti sopra ricordate, le quali invece ci hanno trasmesso altri particolari che il nostro scrittore quasi sempre lasciò da parte» (p. 101). E qui il M. cita parecchi esempi nei quali è provata luminosamente la verità di questa asserzione. Del pari le serie dei vescovi di Torcello e di Olivolo, che il diacono Giovanni ricorda qua e là interrottamente nella sua cronaca, non concordano affatto con quelle date dal Chronicon Altinate. Ora, siccome il cronista nella designazione dei patriarchi e dei vescovi delle due sedi, pur allontanandosi dalle citate composizioni conserva sempre la medesima forma e lo stesso metodo, «può sorgere il dubbio, dice il M., che i tre cataloghi sieno pervenuti al nostro cronista raccolti in una unità per opera di un compilatore che avrebbe dato ad essi la medesima forma» (p. 107).

[p. 188 modifica]Assai più incerta è la distinzione delle fonti per quella parte della cronaca che si riferisce alla storia politica del comune veneziano. E subito nel proemio della nostra Cronaca ci si presentano tre lunghi passi relativi alla venuta dei Longobardi in Italia e alla geografia dell’antica Venezia marittima, i quali dovevano formare in origine un frammento unico, ma furono separati dal diacono Giovanni mediante alcune interpolazioni assai grossolane, talché non si può supporre ch’egli stesso ne sia l’autore. La materia di questo frammento d’anonimo (composto secondo il AL dopo l’anno 851 quando cadde il doge Pietro Tradonico) è tratta dalla Historia Langobardorum di Paolo diacono e, come acutamente osserva il nostro autore, da alcune bolle di papi.

Perduto per noi è anche il catalogo di dogi di cui si deve essere servito il diacono Giovanni per l’arida e ristretta narrazione che fa degli avvenimenti dalla morte del primo doge sino al quarto magister militium; giacché questa discorda affatto dai tre cataloghi di dogi che a noi sono noti e che si leggono nel citato codice Vaticano-Urbinate 440, nel Chronicon Altinate e negli Annales breves21.

Questo è tutto quanto possiamo stabilire delle fonti del diacono Giovanni nella storia politica di Venezia, perchè delle altre notizie date dal cronista su questo argomento sembra al M. assai difficile fare una partizione secondo la loro fonte, essendo «impossibile il confronto con altre scritture più antiche ed assai scarsi e incerti i sussidi che ci vengono dall’analisi delle sole qualità intrinseche della narrazione» (p. 118).

Però il M. crede di poter determinare con sufficiente sicurezza che tutta la parte della Cronaca dagli ultimi tempi di Pier Candiano III (942-959) sino al 1008 fu composta da Giovanni secondo i suoi ricordi personali.

La storia straniera che nei primi tempi, cioè avanti il secolo IX, ha maggiore attinenza con Venezia è quella di Costantinopoli e dell’Italia bizantina -, ora nelle pagine che il cronista vi dedica il M. non trova «una sola notizia che non ci sia trasmessa «da altre fonti più autorevoli e più antiche» (p. 120) -, ma ben diversa è la cosa allorché si tratta di determinare le opere onde il cronista Giovanni trasse le notizie di storia straniera dal secolo VIII in poi, perchè qui il M., dopo aver recato parecchi esempi, è [p. 189 modifica]costretto a conchiudere non potersi determinare quali esse fossero, sebbene il confronto con altre testimonianze dimostri «che dovevano essere scritture di grande importanza» (p. 30).

Nei capitoli seguenti, dal XIX al XKVII esamina quindi più particolarmente le relazioni dell’opera di Giovanni col Chronicon Gradense, colla Cronica de sing. patr. nove Aq., coi documenti anteriori al 1009, col Chronicon Altinate e finalmente col Liber pontificalis di Gregorio di Tours e con le opere di Beda e di Paolo diacono.

Studiando le relazioni col Chronicon Gradense, espone minutamente tutte le questioni di cui abbiamo già toccato parlando di questa composizione. Or qui possiamo notare ancora come il M. muova alcune obbiezioni a un altro valente cultore di questi studi, cioè al prof. Carlo Cipolla, il quale, pur non volendo pronunziare un giudizio definitivo sull’autore del Chronicon gradense, si mostrò peraltro disposto ad ammettere che il diacono Giovanni abbia riunito insieme materialmente il sommario del racconto sopra Torcello e Grado (che si legge nel Chronicon Altinate) con le notizie sui patriarcato di Grado, che sono evidentemente tratte dalla Cronica de sing. patr. n. Aq.22.

Come abbiamo già detto, il M. non giunge con le sue osservazioni ad alcun risultato positivo, ma ponendo innanzi tutti gli argomenti che si sono addotti e che si possono addure in tali ricerche e mostrando sottilmente il loro diverso valore, lascia lo studioso pienamente libero del suo giudizio. Nè si può far torto di ciò all’egregio autore; dobbiamo anzi riconoscere a suo merito questa prudenza, quando si pensi che molti storici, per un male inteso ardore di novità o di originalità, basano spesso le loro asserzioni categoriche sopra indizi assai incerti e discutibili.

Quanto alla Cronica de sing. patr. nove Aq., il M. inclina a credere che le somiglianze del suo racconto con quello del diacono Giovanni derivino dall’aver questi seguito una testimonianza molto affine ed ora perduta; e soggiunge che l’ipotesi di un’altra fonte a noi sconosciuta gli sembra in modo migliore giustificata dalle diversità che le due cronache presentano nel testo della nota lettera di Gregorio II al patriarca d’Aquileia Sereno, in data 1.° dicembre 723. E nel cap. XXI esamina appunto il testo di questa lettera.

Assai interessante è pure il capitolo seguente dove il M. prende in considerazione due altre famose lettere papali, di cui una è pure riportata dal diacono Giovanni, ed è quella scritta da un papa [p. 190 modifica]Gregorio al patriarca di Grado Antonino perchè esorti i Veneziani a rimettere in Ravenna l’esarca Eutichio scacciato dai Longobardi; l’altra ci fu trasmessa dal Dandolo nella sua Cronaca estesa e dal Sanudo nelle Vite dei dogi, e fu scritta da Gregorio al doge Orso per il medesimo scopo e quasi con le stesse parole.

Il M. ammette con molti altri critici l’autenticità della lettera di Gregorio ad Antonino, che fu già impugnata dal Muratori23 e dal Martens24; ma la parte affatto nuova delle argomentazioni del M. è quella in cui dimostra che la lettera, attribuita da Andrea Dandolo e recentemente dal Jaffè25 e dal Cipolla26 a Gregorio II, è da riferirsi al suo successore Gregorio III e da porsi tra il 731 e il 736. Le prove addotte dal M. in sostegno di questa sua opinione hanno senza dubbio grande valore; e per questo mi pare che anche nel titolo del cap. XXII avrebbe potuto sostituire Gregorio III a Gregorio II, o indicare il semplice nome proprio del papa se non voleva anticipare al lettore la sua conclusione.

11 Chronicon Altinate mostra qualche somiglianza con la cronaca del diacono Giovanni nel racconto delle origini di Torcello e di Grado, nel catalogo dei patriarchi gradesi e nel racconto della venuta di Longino nelle isole veneziane. Ora il M. si trova d’accordo con Enrico Simonsfed27 nello stabilire che il testo dei due primi è più antico nel Chronicon Altinate; ma la sua opinione è diversa da quella dell’illustre erudito tedesco rispetto al terzo; giacché, mentre il Simonsfeld si mostrò propenso ad ammettere l’anteriorità del racconto di Longino nel Chronicon Altinate, il M. crede che questo racconto sia posteriore ai primi anni del secolo XI (e più precisamente tra il 1008 e il 1056) e che la Cronaca di Giovanni sia stata una delle fonti del suo anonimo compilatore. Giova però avvertire che, come il Simonsfeld non intese di dare la soluzione definitiva del problema, così il M. a pag. 203 della sua dissertazione dichiara che «colle sole testimonianze delle quali per «ora abbiamo cognizione, si possono avere soltanto indizi più o meno probabili, ma non mai gli argomenti che possano risolvere il quesito in modo definitivo».

[p. 191 modifica]La Cronaca del diacono Giovanni presenta dei passi comuni anche col Liber pontificalis28 e con le opere di Isidoro29, di Gregorio di Tours30 e di Gregorio Magno31, le quali servirono di fonte a Paolo diacono nella composizione della Historia Longobardornm. Ora il M. osserva che queste somiglianze non significano che il cronista avesse tra mano quelle opere, perchè un esame attento dei periodi comuni mostra come Giovanni le imitasse involontariamente mentre si giovava della storia di Paolo. Invece è certo che il cronista conobbe direttamente l’opera di Beda32, la cui testimonianza preferì in più luoghi a quella dello storico longobardo. E rispetto all’Historia Langobardorum, il M., valendosi della stupenda edizione procurata da Bethmann e Waitz33, cerca quale dei suoi 107 codici a noi noti può essere stato usato da Giovanni; ma un accurato esame delle qualità speciali a questi codici lo porta a conchiudere che nessuno di quelli a noi pervenuti fu usato nella composizione del Chronicon Venetum.

Tre opere le quali in parte trassero la materia storica dal nostro Chronicon e quindi potrebbero aiutare a ristabilire la lezione primitiva del suo testo là dove la scrittura dei manoscritti e raschiata e sostituita arbitrariamente da un’altra, sono la Translatio S. Marci34, la Cronaca estesa del Dandolo35 e il Liber pontificatus ecclesiae Aquilegiensis36; ma in fatto non si può trarre molto giovamento dai loro confronti, essendo che l’autore della Translatio mostra di avere avuto dinanzi a sè il codice Urbinate un manoscritto derivato da esso (v. pag. 221), i passi comuni del Dandolo confermano anch’essi la lezione dei due manoscritti più antichi del Chronicon Venetum37 (cioè dell’Urb. Vat. e del [p. 192 modifica]Vat. 5269) e l’anonimo autore del Liber pontificatus ecclesiae Aquilegiensis usò manifestamente il codice Marciano, il quale, secondo afferma il M. a pag. 52, «non ha alcuna importanza per l’edizione critica dell’opera di Giovanni, non potendo dare che varianti arbitrarle e diverse dalla lezione primitiva del testo».

Un campo assai vasto di ricerche nuove ed importanti si schiude al M., allorché studia le relazioni della nostra cronaca con i documenti anteriori al 1009.

Osserva anzi tutto il fatto che maravigliò tutti quanti studiarono l’opera del diacono Giovanni, che cioè il cronista non trasse alcun profitto dalle pubbliche carte conservate nell’archivio di Stato, mentre, godendo la piena fiducia del doge Pietro Orseolo II, avrebbe potuto valersene, come se ne valse più tardi Andrea Dandolo, con grande vantaggio della verità e della esattezza storica. Non si può addurre a sua scusa l’incendio del palazzo ducale avvenuto nel 976, quando fu ucciso Pier Caudiano IV; perchè, dice il M., «si può al contrario dimostrare all’evidenza che quella fu un’omissione deliberata e che l’autore nel raccogliere la materia storica volle ricorrere soltanto alle opere dei cronisti anteriori e alla tradizione orale» (p. 169). L’incendio del 976 distrusse bensì gli antichi documenti originali, ma però «ne rimanevano sempre fuori del palazzo ducale alcune copie che quel cronista avrebbe potuto facilmente esaminare se la buona volontà non gliene fosse mancata» (Id.).

Secondo il giudizio dell’egregio autore, tutti i testi de’ documenti politici anteriori al 1009, che ci sono pervenuti in collezioni d’origine ufficiale o individuale si devono alle copie private degli antichi atti del governo. E qui il M. abbandona un momento la Cronaca del diacono Giovanni, per isvolgere maggiormente le sue idee intorno a questa materia che egli ben a ragione giudica importantissima e non sempre trattata giustamente dagli scrittori che se ne occuparono.

Nelle pagine 172-187 della sua dissertazione esamina i giudizi espressi dal Pertz38, dal Mas-Latrie39, dal Tafel e dal Thomas40, [p. 193 modifica]dal Rawdon Brown41, dal Predelli42 e dal Fanta43 intorno al Liber primus e Liber secundus pactorum, al Liber albus, al Liber blancus e al codice Trevisaneo, che sono le principali raccolte dove si trovano documenti politici anteriori al 1009. Inoltre dedica cinque capitoli dell’Appendice a questo medesimo soggetto, corredandoli del regesto o della copia di parecchi documenti finora ignoti o imperfettamente conosciuti dagli eruditi.

I giudizi che esprime l’autore in tale materia sono frutto di studi lunghi e pazienti. Egli osserva, per esempio, che le ultime carte del Liber albus furono aggiunte in un tempo posteriore alla compilazione di esso, e che il codice conosciuto dai dotti col nome di Trevisaneo (perchè è una collezione privata di documenti pubblici che appartenne nel secolo XVII a Bernardo Trevisano) fu composto sulle basi di un’altra compilazione più antica tra gli ultimi sei anni del secolo XIV e i primi diciannove del XV da un personaggio di grande autorità presso il Governo (pag. 187): ammette «che non tutte le parti deliberate del Maggior Consiglio sieno state trascritte nei registri ufficiali» (p. 246), e insomma, con critica sempre acuta e stringente, nota su questo argomento molti fatti non ancora avvertiti dagli studiosi. Anzi egli è per non allontanarsi troppo dal suo soggetto primo che il M. non ha dato ancora più ampia diffusione a questa materia; onde siamo lieti di accogliere la sua promessa che in altra circostanza tratterà il tema nella sua pienezza specialmente riguardo al codice Trevisaneo (p. 262).

Con pari desiderio sarà attesa da chi si occupa di tali studi la ristampa della dissertazione già pubblicata nel 1882 sulla Cronaca del diacono Giovanni e la storia politica di Venezia sino al 1009, che il prof. Monticolo promette di fare col sussidio delle opere di storia veneziana composte in questi ultimi anni e di nuovi documenti da lui ritrovati (pag. 1); e un’altra dissertazione speciale in cui si propone di trattare il tema tanto discusso delle più antiche relazioni delle isole veneziane coll’impero greco (v. pag. 56).

[p. 194 modifica]Possa l’egregio erudito darci presto questi nuovi saggi della sua attività; la storia di Venezia attende ancor molto da lui; ed è sperabile non sia lontano il giorno in cui egli possa attendere di proposito all’edizione critica della grande Cronaca del Dandolo. Il prof. M., il quale nel vol. XVII dell’Archivio Veneto diede già un ottimo saggio sulle varianti del codice Marciano Lat. cat. Zannetti 400, è senza dubbio uno dei pochi eruditi che potrebbero condurre a buon fine il difficile lavoro.

Verona.




Note

  1. Mon. Germ. hist. Script. VIII, 45-47.
  2. Mon. Germ. hist. Script. Langob. et Ital. pp. 393 sgg.
  3. Come avverte il M., questi atti ci sono stati trasmessi da due scritture del sec. XIV, cioè dalla cronaca del Dandolo (Rer It. Script. cod. Marciano Latino catal. Zanetti 400) e dal primo volume dei Pacta (Arch. di Stato a Venezia, I e 54 A).
  4. Nel vol. VIII S. I di questo periodico.
  5. Mon. Germ. hist. Script. VII.
  6. Ueber das Chronicon Gradense in cod. Vat. Urb. 440; in Neues Archiv. I, 375 sgg.
  7. Questo interessante monumento della più antica storia veneziana, come è noto, fu pubblicato dapprima imperfettamente in questo periodico S. I, t. VIII e App. V. Una più esatta edizione dette il Simonsfeld nel vol. XIV dei Mon. Germ. hist.
  8. Prefaz., pag. xvii.
  9. Id.
  10. Prefaz. pag. xviii.
  11. Ved. G. B. Monticolo, Intorno agli studi fatti sulla cronaca del diacono Giovanni, in Archivio veneto t. XV o t. XVII; e un altro interessantissimo lavoro sulla Cronaca del diac. Giov. e la storia politica di Venezia sino al 1009 pubblicato nel 1882 nella Cronaca del liceo Forteguerri di Pistoia.
  12. Nel citato studio sopra la Cronaca del diac. Giov. e la storia politica di Venezia sino al 1009.
  13. Prefaz. pag. xxxv.
  14. La Notizia del ricorso del fabbro ferraio Giovanni Sagomino ai dogi Pietro Barbolano e Domenico Fablianico contro il gastaldo è la prima delle Scritture storiche aggiunte nella edizione alla Cronaca del diacono Giovanni. Essa si legge anche nel codice Urbinate, ma vi è aggiunta per caso ed è di mano più recente. Tuttavia, come nota il M., il ricorso «ha un’importanza grandissima essendo un documento unico nel suo genere per l’antichità e la materia», perchè ci dà un’idea della costituzione delle arti in Venezia nel secolo XI. Nel codice Zeniano una nota marginale apposta al racconto del Sagomino dice nomen avctoris; e fu questa che trasse in errore il De Rubeis.
  15. È lo stesso che contiene il Chonicon Gradense.
  16. Venedig inter dem Herzog Peter II Orseolo. Göttingen 1868, p. 63.
  17. Der Doge Andreas Dandolo und seine Geschichtswerke - 1878 p. 56.
  18. Ueber das Chronicon Gradense in cod. Vat. Urb. 440, in Neues Archiv der Gesellschaft für altere deutsche Geschichtskunde, II. 375 sgg.
  19. Concil. collect. XVII, 292.
  20. Regesta pontificum, 2.a ediz., p. 382.
  21. Il Simonsfeld (come avverte il M.) li pubblicò dapprima nel Neues Archiv I, e poi nell’Archivio Veneto XII, 335 segg.
  22. Archivio Veneto, fasc. 56, p. 207.
  23. Annali d’Italia.
  24. Politische Geschichte des Longobardenreichs unter König Luitprand. Heidelberg, 1880. pp. 66-71.
  25. Regesta pontificum
  26. Archivio Ven., XX.
  27. Venetianische Studien I, München, Ackermann, 1888.
  28. Cfr. l’edizione fattane dal Duchesne nella Bibliothèque des écoles françaises d’Athénes et de Rome, 2.e serie.
  29. Etymologiarum libri XX; (Migne, Patrol. lat., vol. 82).
  30. Historia Francorum; ed. Arndt e Brusch nei Mon. Germ. hist. Script. rer. Merovingicarum.
  31. Dialoghi, nei Mon. Germ. hist. Script. Longob. et Ital.
  32. De sex aetatibus mundi.
  33. Nei Mon. Germ. hist. Script. rer. Long. et. It.
  34. Acta sanctorum, tomo III.
  35. Muratori, Rer. It. Script. XII; però essendo l’ediz. del Muratori molto scorretta, il M. riscontra sempre i passi della cronaca del Dandolo nel cod. Marciano Lat. 400 del cat. Zanetti, ch’è il più autorevole di tutti e probabilmente l’archetipo.
  36. Cod. Marciano Lat. X, u. 305.
  37. Il M. osserva che le somiglianze tra le due cronache sono anche maggiori se per l’opera del Dandolo si esamina il codice Marciano Lat. cat, Zanetti 400, anziché l’edizione muratoriana.
  38. Archiv der Gesellschaft für altere deutsche Geschichte des Mittelalters, vol. III. 1821.
  39. Archives des missions scientifiques, t. II, LS51.
  40. Abhandlungen der königlichen bayerischen Akademie der Wissenschaften, class. III, vol. 8, dove è pubblicata una interessante memoria col titolo: «Der Doge Andreas Dandulo und die von demselben angelegten Urkundensammlung zur Staats und Handelsgechichte Venedigs mit dem Original-Registern des Liber albus des Liber blancus und der Libri pactorum aus dem Wiener Archiv». 1885.
  41. Calendar of State papers and mss. relatinge to English affairess existing in the archives and collections of Venice and in other librarie of Northen Italy.
  42. Regesti dei Libri commemoriali della repubblica di Venezia - Prefazione.
  43. Mittheilungen des Instituts für österr. Geschichtsforschung, Supplem. 1 Bd. 1 Hft. Innsbr. 1883: Die Verträge der Kaiser mit Venedig bis zum Jahre 983.