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186 | rassegna bibliografica |
suoi giudizi, e trattenendosi specialmente sulle correzioni del codice stesso. Sarebbe troppo lungo ricordare tutti gli ottimi argomenti onde il M. combatte le deduzioni del Pertz: basti accennare che egli, pur mostrando l'insufficienza delle ragioni addotte da questo, riconosce però che una critica minuta e coscienziosa non può decisamente affermare il contrario; e conchiude che il codice Urbinate fu scritto per certo da un veneziano al principio del secolo XI e che anche non volendo accordargli un’originalità assoluta, «si dovrà almeno ritenere che esso sia la copia più antica dell’abbozzo dell’opera, ma forse posteriore alla morte dell’autore» (p. 43).
Nè meno sottile ed imparziale è la critica del M. allorchè passa ad indagare le fonti della cronaca veneziana.
Queste sono il De sex aetatibus mundi di Beda, la Historia Langohardorum di Paolo Diacono, e probabilmente anche la Cronica de singulis patriarchis nove Aquileie, il Chronicon Gradense e un’altra composizione che nelle sue parti più antiche risale al secolo X, vale a dire il Chronicon Altinate, del quale il Simonffed dette nel vol. XIV dei Mon. Germ. hist. una eccellente edizione che corresse gli errori e le imperfezioni di quella data dal Rossi nel vol. VIII S. I, e dal Gar nel vol. V App. di questo periodico.
Siccome poi il cronista si valse di testimonianze diverse secondo che ebbe a trattare della storia ecclesiastica o politica del suo comune, oppure della storia straniera che ha relazione con Venezia, il M. stabilisce anzi tutto una triplice divisione delle fonti, e incomincia dal ricercare le opere onde il cronista Giovanni trasse la storia del patriarcato di Grado e dei due vescovadi di Olivolo e di Torcello, che erano «le tre dignità ecclesiastiche maggiori per l’importanza della loro sede» (pag. 67). Osserva in pari tempo che, mentre possiamo stabilire con bastante certezza le fonti del diacono Giovanni per la prima parte della sua cronaca, ci mancano invece indizi sufficienti per determinare le opere ond’egli attinse la materia storica dei tempi a lui più vicini.
«È superfluo (dice poi il M. a pag. 68) dimostrare che il diacono Giovanni nella composizione della sua opera si attenne alla «testimonianza d’altre scritture più antiche anche in quelle parti ove non vi possono determinare con precisione le fonti che si riferivano a cronache a noi sconosciute; se il cronista veneziano avesse tratto la materia soltanto dalla tradizione orale, il suo racconto non sarebbe stato così lucido, ma avrebbe portato in sè stesso le tracce delle alterazioni che il popolo suole introdurre o attribuendo a un sol uomo le imprese compiute in un intero periodo storico o dando al racconto un carattere leggendario e romanzesco».
Ed è appunto in questi casi che il critico è costretto a ricor-