Archivio Glottologico Italiano - Vol. I/Trascrizioni

Trascrizioni

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Proemio Altri adattamenti elementari
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TRASCRIZIONI

E ALTRI ADDITAMENTI ELEMENTARI.

Arduo assunto, massime trattandosi d’indagini dialettali, questo delle trascrizioni, che è del rendere i singoli suoni per singole lettere, con accorgimenti sicuri, perspicui, e consentanei insieme, sin dove si può, alle ragioni naturali e storiche della parola. Le difficoltà teoriche si accumulan colle pratiche, e la coerenza ha dei rigori, che ripugnano all’opportunità e persino alla chiarezza. Non parlo delle insuperabili indecisioni che ci causano quelle ortografie, di cui non ci è dato conoscere con sicurezza a quali pronuncie rispondessero o rispondano. Ma se v’è chi crede, che quando ci siamo rassegnati, in simili casi, a dare all’avvertito lettore la mera riproduzione dei fonti, nel resto nessun vincolo di tradizione o nessun altro riguardo ci abbia a trattenere dalla inesorabile applicazione delle norme teoriche, egli forse non si è mai provato a osservare questa legge in un largo lavoro intorno a favelle moderne, che abbiano consuetudini ortografiche ferme ed antiche. E ormai si aggiunge anche l’inciampo della molta varietà dei sistemi di trascrizione, che furono proposti ed usati; varietà che in qualche parte dipende dalla discordia nei principj, ma assai più dalla diversità degli spedienti grafici che si son voluti o dovuti adottare. L’autore di questo primo volume dell’Archivio si è studiato di conseguire tutta quella sicurezza che le circostanze comportavano; e se è ricorso a qualche nuovo accorgimento, non l’ha fatto senza dispiacere e senza che gli fosse parso o riuscito necessario di farlo; come, d’altronde, se non adotta o propone certe squisitezze di cui non impugna la convenienza nell’ordine [p. xliii modifica]teorico, egli spera che ciò provenga da legittimi riguardi e non debba già imputarsi all’avere egli negato sufficiente attenzione ai continuati studj e alle ingegnose proposte dei dotti investigatori di questa materia, tra i quali spetta al Lepsius un posto così insigne, che tutti in fondo riusciamo seguaci suoi. E osa insieme credere, che gli altri dialettologi italiani possano acconciarsi al sistema che in questi fogli si segue e ora si verrà brevemente esponendo; senza però dimenticare, che ulteriori distinzioni occorrerà probabilmente innestarvi, a mano a mano che la esplorazione si estenda; i quali ampliamenti, riconosciuti che fossero necessarj davvero ed opportuni, si annicchierebbero poi, colla debita perspicuità, nelle nuove tavole di trascrizione che i venturi volumi potranno portar seco.

Por ciò che riguarda le vocali, la nostra indagine dialettologica ha molte e sue particolari esigenze; ed ecco imprima la figura, in cui si contiene, e ha insieme la piena sua ragione, il sistema qui seguito.

a
ȧ
ȧä
œ
oe
œ
ö
ụ̇ė̤
uüụ̈i

La dichiarazione di questa figura torna così agevole, che in molta parte può parere superflua. Abbiamo dunque:

1. a; l’a italiano.

2. ȧ, suono intermedio fra il precedente e l’

3. , che l’o aperto italiano.

4. , un o che sta fra il precedente e l’

5. o, che è l’o chiuso dell’italiano.

6. , un o così chiuso, che può dirsi un u largo.

7. u, lo schietto u italiano.

8. , suono intermedio fra quello che precede e l’

9. ü, che è l’u milanese o francese.

10. ụ̈, tramezza fra il precedente e l’

11. i 1.

12. ė, partecipa molto più dell’i che non dell’e. [p. xliv modifica] 13. , un’e distinta, ma più chiusa dell’

14. , che è l’e chiusa italiana.

15. e, un’e fra la precedente e l’

16. , che è l’e aperta italiana.

17-19. æ ä ȧ, tre stadj, che dall’e aperta italiana ci conducono prossimi all’a.

Sotto l’e aperta (,16), e in fianco all’e indifferente (e, 15), si spicca l’

20. , la così detta vocale indistinta, specie d’e volgente all’ö (22), che si ode con particolar frequenza nell’inglese2 e le succede l’

21. œ, che è, prescindendo dalla quantità, è l’eu francese di peur, laddove l’

22. ö, prescindendo ancora dalla quantità, l’eu francese di peu, che è più chiuso, ovvero più inoltrato verso l’, che non sia il precedente3.

23. ụ̇, è di base più aperta che non l' (8), al quale sta come l' (6) all’u (7).


Le sei vocali che portano i numeri 21-23 8-10 (œ ö ụ̇ ü ụ̈), e formano nella nostra figura una serie continua, son quelle che più particolarmente soglion dirsi turbate o miste.

Vocale nasalizzata è quella che si proferisce mentre è aperto il canale del naso. Così è un a nasalizzato il suono che udiamo per prima sillaba del francese entrer (ãtré) e le vocali nasalizzate si scrivono: ã õ ecc.

La vocale lunga si segna col sovrapporvi una lineetta orizzontale: ā ā̃ ō ecc.

L’unico accento qui adoperato è l’acuto (á ā́), ed ha la vera e sola funzione che a questo accento spetti; segna cioè quella sillaba o vocale, che la voce fa spiccare maggiormente. Ma potrebbe tornare opportuno, anche per qualche vernacolo moderno, pur l’accento circonflesso; data cioè una vocale accentata, che dopo il risalto importato dall’acuto, continuasse a risonare senza quello spicco. L’accento implica, in questo caso, la lunghezza della vocale che lo porta (â,ô, ecc.).

Passando alle consonanti, a nessuno riesce nuovo oggidì, come le ripartizioni che provengono dal diverso punto della bocca in cui le consonanti sono formate (gutturali, dentali ecc.), s’incrocino con [p. xlv modifica]altre ripartizioni, che dipendono dal modo in cui esce il fiato nel proferirle. Si possono, per questo capo, dividere le consonanti in tre categorie: 1. le esplosive o momentanee (p, b, t, ecc.); 2. le fricative o continue (f, v, s, ecc.); 3. le nasali (n ecc.); e le consonanti delle prime due categorie ammettono poi la suddivisione in sorde (p, t, f, ecc.) e sonore (b, d, v, ecc). Gli esempj che frapponemmo, convengono forse, in questo luogo, più che ogni tentativo di ulteriori determinazioni fisiologiche circa le tre categorie. Ma il lavoro, che per noi rimane, a ottener le serie compiute e a stabilirne una ragionevole trascrizione, è men facile che forse a prima vista non paja. Facciamo ora di disimpegnarcene, nel più breve e pratico modo, che dai sani principj sia consentito.

Incominciando dalla serie o dall’ordine che suol dirsi delle gutturali, ne abbiamo la esplosiva sorda nel c dell’ital. arca, e la esplosiva sonora nel g dell’ital. porga. La continua sorda manca alla comune favella italiana; e sarebbe lo ch tedesco di lachen (ridere) o lo χ del greco moderno. Occorre però questo suono anche fra gl’Italiani; e qui basti ricordare il c fiorentino fra vocali (la carne), che è appunto la continua sorda che cerchiamo, da noi trascritta per . Ma la teoria domanda anche la corrispondente continua sonora, vale a dire un suono che stia a , così come v sta a f. Questo suono s’ha p. e. nelle sillabe χα e χο del greco moderno, e ricorre anche in più dialetti dell’Italia meridionale. Noi lo trascriviamo per ȷ̓. Della nasale dell’ordine, finalmente, ci occorrono due diverse gradazioni; l’una diremmo il n velare, che è il qual si ode facilmente, in ogni lingua, quando precede a suono gutturale (rango ecc.), e noi trascriviamo per ; l’altra, più profonda, che diremmo n faucale, ed è per es. il n torinese (di cadéna e simili), che si potrebbe trascrivere per ṉ̇ 4.

Passiamo all’ordine che suol dirsi delle palatine. Esplosive [p. xlvi modifica]palatine, vere e proprie, son quelle che occorrono fra i Ladini nella continuazione delle antiche formolo etimologiche ca e ga, e da noi sono trascritte per e . La loro pronuncia (a tacer delle vere degenerazioni, che sono a lor luogo mostrate) varia più o meno da regione a regione; ma si può descrivere con sufficiente sicurezza dicendo, che , vale a dire la sorda, riesca intermedia fra la combinazione kj e il c ital. di selce; e la sonora, analogamente intermedia fra la combinazione gj (cioè il g ital. di ghe, seguito dalla continua j) e il g ital. di porge. Altre esplosive palatine ci saranno poi, appunto il c ital. di selce) che rendiamo per ć; e il g ital. di porge, che rendiamo per ǵ 5. Di continue sorde non so che l’Italia ne abbia per quest’ordine. Continua sonora palatina è lo j italiano di jeri. A semplice nasal palatina si accosta poi grandemente quel prodotto di nj che l’italiano ha p. e. in cígnere (= *cínjere, p. 82 n., cfr. p. 86-7 n.), o noi trascriviamo per ñ 6. Analogamente si potrebbe desiderare, per l’unificazione di lj, un l con sopra la ‘tilde’.

Arriviamo alle linguali. Di linguale, nel senso dei suoni indiani chè si ottengono colla punta della lingua ravvolta all'indietro, non avremmo in sino ad ora se non un solo elemento abbastanza accertato, ed è quella specie di d (ḍḍ) a cui può ridursi nelle nostre isole, e pure in parte del continente meridionale, un ll di fase anteriore (p. e. marteḍḍu martello) 7.- Ma linguali, o palato-linguali, chiamiamo ancora (altri le direbbero palato-dentali), le continue che ora seguono: 1. š, il suono iniziale dell’italiano scemo o del francese cheval, che è una continua sorda;- 2. , altra continua sorda, che sta fra la precedente e la sibilante italiana di sono;- 3. ž, il suono iniziale del francese jamais, che è il correlativo sonoro di š.— Nella [p. xlvii modifica]pronuncia fiorentina, il c e il g, ai quali preceda vocale e sussegua e od i, si accostano di molto a š e ž 8.

Due continue dell’ordine delle interdentali ci occorreranno abondantemente in questo primo saggio; l'una sorda e l’altra sonora. Nell’inglese hanno entrambe uno stesso rappresentante (th) e nel greco moderno, val ϑ per la sorda, δ per la sonora. Noi ne addottammo gli equivalenti islandesi: þ, ð, siccome quelli che dal lato grafico si prestavano meglio.

Quanto alle dentali vere e proprie (od alveolari), t ne è l’esplosiva sorda, e d la sonora. La continua sorda ne è la sibilante italiana di sono, orso, mosso. La continua sonora ne è la sibilante italiana di rosa, raso, oppur lo z francese, che noi trascriviamo per ; ed anche lo z italiano di zero ecc., comunque, in ispecie nel toscano, questo z di zero ecc. a molti voglia parere un suono composto (d+z̓). Si sentono gradazioni infinite tra la continua che è in rosa (róz̓a) e quella di cui si disputa se non sia piuttosto d + z̓; come si sentono gradazioni infinite fra la continua sorda che è in orso e lo z di giustizia, che è veramente una sorda composta (ts). E in ordine a queste continue è tornato opportuno di far qualche concessione, all’uso e all’etimologia. Così, per la sonora, quando altro non è che s lat. fra vocali, come appunto in rosa, scriviamo s e non ; e s ugualmente scriviamo per la sorda, quando è iniziale o attigua ad altra consonante (sono, oste, orso). Anche per la sorda fra vocali, quando risponde alla sorda della comune lettura italiana, che e quanto dire a ss (essere), serbiamo l’ortografia letteraria, che è inoltre sanamente etimologica. Ma quando la sorda vernacola, o la sonora vernacola, hanno altra radice etimologica, in ispecie quando rispondono a ć e ǵ di fase anteriore, l’amor dell’evidenza, e anche l’opportunità di scernere certe [p. xlviii modifica]gradazioni (a tacer della necessità assoluta d’uno special segno per la sonora iniziale o finale), ci portano a trascrivere la sorda per ç, e la sonora per . Così: piaçér; piȧz̓e; me plaç; z̓éner genero, çéner cenere9. Anche adoperiamo ç e per rappresentare isolatamente queste due continue.

I suoni che restano (labiali; labiodentali; r, l), non ci domandano alcun particolare avvertimento, e raccoglieremo senza più il nostro sistema di consonanti, solo ancora premettendo questa dichiarazione tecnica: che una qualsiasi consonante è denominata, nel nostro discorso, scritto o mentale, per un monosillabo mascolino, il quale consta della consonante stessa, susseguita da un a breve. Scriviamo quindi: un p, lo š, un s, ecc., intendendo che si legga: un pa, lo sciȧ, un sa, ecc.

Momentanee
o
esplosive
Nasali Continue
o
fricative
Sorde. Sonore. Sorde. Sonore.
Gutturali: c (ca). g (ga). , ṉ̇. . ȷ̈.
Palatine: c̈, ć. g̈, ǵ. ń, [ñ.]
j, [l̃]
Linguali:
.
ṣ, š. ž; r.
Interdentali:


þ. đ.
Dentali: t. d. n. s (orso), ç. -s- (rosa),z̓, l.
Labiodentali.
Labiali p. b. m. f. v.


  1. Per la scala: u̇, ü, ụ̈, i, in una stessa valle, si veggano le pag. 281-3.
  2. L’abbiamo in ispecie, tonica ed àtona, a pag. 363 e segg.
  3. I due esempj francesi sono del Lepsius. Nel corso di questo volume si manifesta qualche incertezza tra l’uso dell’œ e quello dell’ō; ma non è mai un’incoerenza da cui possa derivare alcuna oscurità.
  4. Questa distinzione non è stata introdotta nel presente volume.- E inoltre vi si troverà fatta alla consuetudine italiana una concessione che è per ora inevitabile, e consiste nello scrivere che chi ghe ghi per c gutt. + e, ecc. Non si può domandare al lettore italiano che ce ge gli valgano che ghe; ma d’altronde giova, per evitare ogni incertezza, che si segni il suono palatino in će ǵe ecc. (p e. ǵéner).
  5. È nota la disputa, dalla quale si deve qui prescindere, intorno all’essere o non essere suoni semplici, i suoni italiani che qui si fanno passare per esplosive palatine.
  6. Il puro segno del n palatino (ń) rimane così pel semplice n di anǵelo ecc.
  7. Lo Spano (Ortogr. sarda, I 17) afferma, che questo , da lui chiamato palatino, occorra anche preceduto da n (cumandu). Dato che ciò sia, la nasale gli si farà probabilmente omorganica, sì da averne per es.: cumáṇdu múṇḍu ecc.
  8. Così si manifesta, in modo breve e chiaro, la stretta parentela che è, nell' ordine etimologico, fra š e ž e le esplosive palatine. Tutti inoltre sanno, come ž possa corrispondere istoricamente a j, e come j rasenti l’i, che anche si dice vocal palatina. Ora noi incontreremo dei casi (cfr. p. 147 segg.), in cui si risentono uguali effetti da ciascun suono della serie che segue: c̈ g̈ š ž j (ñ l̃) i; e questa serie l' abbiamo allora compresa, per non saper far meglio, sotto la denominazione di suoni palatini e palatili.
  9. Questo modo è costante, in tutte le trascrizioni nostre proprie, per la sorda; per la sonora, è costante nel § 5.