Prosa I

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Proemio Egloga I

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ARGOMENTO


Descrive il sito della cima del monte Partenio, e di quali alberi sia adorna, e chi quivi soglia ridursi; dove con bella maniera introduce due pastori, cioè Selvaggio, che canta con Ergasto, il quale era dolente per le sue passioni amorose.


prosa prima.


Giace nella sommità di Partenio, non umile monte della pastorale Arcadia, un dilettevole piano, di ampiezza non molto spazioso, perocchè il sito del luogo noi consente, ma di minuta e verdissima erbetta sì ripieno, che, se le lascive pecorelle con gli avidi morsi non vi pascessero, vi si potrebbe d’ogni tempo ritrovare verdura. Ove, se io non m’inganno, son forse dodici o quindici alberi di tanto strana ed eccessiva bellezza, che chiunque li vedesse, giudicherebbe che la maestra natura vi si fosse con sommo diletto studiata in formarli. Li quali alquanto distanti, ed in ordine non artificioso disposti, con la loro rarità la naturale bellezza del luogo oltra misura annobiliscono. Quivi senza nodo veruno si vede il drittissimo abete, nato a sostenere i pericoli del mare; e con più aperti rami la robusta quercia, e l’alto frassino, e lo amenissimo platano vi si distendono, con le loro ombre non picciola parte del bello e copioso prato occupando; ed evvi con più breve ironda l’albero, di che Ercole coronare si solea, nel cui pedale le misere figliuole di [p. 6 modifica]Climene furono trasformate: ed in un de’ tali si scerne il noderoso castagno, il fronzuto bosso, e con puntate foglie lo eccelso pino carico di durissimi frutti; nell’altro l’ombroso faggio, la incorruttibile tiglia, e ’l fragile tamarisco, insieme con la orientale palma, dolce ed onorato premio de’ vincitori. Ma fra tutti nel mezzo, presso un chiaro fonte, sorge verso il cielo un dritto cipresso, veracissimo imitatore delle alte mete, nel quale non che Ciparisso, ma, se dir conviensi, esso Apollo non si sdegnerebbe essere trasfigurato. Nè sono le dette piante sì discortesi, che del tutto con le loro ombre vietino i raggi del sole entrare nel dilettoso boschetto; anzi per diverse parti sì graziosamente li ricevono, che rara è quella erbetta, che da quelli non prenda grandissima recreazione: e come che da ogni tempo piacevole stanza vi sia, nella fiorita Primavera più che in tutto il restante anno piacevolissima vi si ritruova. In questo così fatto luogo sogliono sovente i pastori con li loro greggi dalli vicini monti convenire, e quivi in diverse e non leggiere pruove esercitarsi: siccome in lanciare il grave palo, in trarre con gli archi al bersaglio, ed in addestrarsi ne’ lievi salti, e nelle forti lotte, piene di rusticane insidie, e ’l più delle volte in cantare, ed in sonare le sampogne a pruova l’un dell’altro, non senza pregio e lode dei vincitore. Ma essendo una fiata tra le altre quasi tutti i convicini pastori con le loro mandre quivi ragunati, e ciascuno varie maniere cercando di sollazzare, si dava maravigiosa festa. Ergasto solo, senza alcuna cosa dire o fare, a piè d’un albero, dimenticato di sè e de’ suoi [p. 7 modifica]greggi giaceva, non altrimenti che se una pietra o un tronco stato fosse, quantunque per addietro solesse oltra gli altri pastori essere dilettevole e grazioso: del cui misero stato Selvaggio mosso a compassione, per dargli alcun conforto, così amichevolmente ad alta voce cantando gl’incominciò a parlare.


ANNOTAZIONI

alla Prosa Prima.


Il drittissimo abete, nato ec. Di abete si formato le navi, le quali sostengono poi i pericoli del mare. Quindi Stazio nel lib. vi. lo chiama audace: Hinc audax abies.

L’albero di che Ercole ec. Questo è il pioppo, che albero vien anche appellato semplicemente, come si fa dall’Ariosto nel C. iii. st. 25:


Con un gran ramo d’albero rimondo.


In pioppo furono trasformate Fetusa, Lampetusa e Japezia, e secondo altri Fetusa, Lampezia ed Egla, figliuole di Climene e del Sole, allorchè sulle rive del Po piangevano la caduta e morte di Fetonte loro fratello. Ercole si coronò di frondi di pioppo andando all’inferno per trarne Cerbero. Le foglie divennero pallide dalla parte che toccavano la testa, ed oscure dall’altra parte a cagione del fumo infernale.

Con la orientale palma. Non senza ragione l’Autore nomina qui la palma orientale, essendo questa la più nobile dell’altre, e di tanto valore, che de’ frutti di essa, dicesi, che alcuni popoli facessero vino e pane. La palma inoltre è qui chiamata dolce ed onorato premio de’ vincitori, perchè di fatto veniva data a quelli che vincevano ne’ giuochi Olimpici. Gli antichi solevano dipingere la Vittoria in figura di donna coll’ali forate, e colla palma verde in mano.

Un dritto cipresso, veracissimo imitatore ec. Il cipresso generalmente cresce sì alto che giustamente si può chiamare imitatore delle più alte mete. Questo che l’Autore descrive, era particolarmente sì ben cresciuto, che in esso non solo Ciparisso, ma lo stesso Apollo non si sarebbe sdegnato di essere trasformato. Con che si accenna la favola del bellissimo garzone Ciparisso, figliuolo di Telefo, ed amato da Apollo, [p. 8 modifica]il quale avendo inavvedutamente ucciso un cervo, di cui era vaghissimo, non volendo più vivere pel grave dolore, fu convertito in quest’albero, che dal suo nome appunto fu detto Ciparisso, e poi Cipresso.

Non son le delle piante sì discortesi ec. Qui pare che l’Autore abbia voluto imitare Achille Tazio, il quale sul bel principio de’ suoi amori di Clitofonte e Leucippe descrivendo un bosco che avea veduto dipinto su d’un quadro rappresentante il ratto d’Europa, dice: Eravi un prato bello a vedersi per la molta varietà de fiori, e per la copia degli arbusti e degli alberi, che in essi erano qua e là piantati. I rami e le frondi di questi con vicendevoli abbracciamenti così tra loro si univano, che a’ fiori servivano di tetto. Anzi il pittore sotto le frondi vi avea dipinto l'ombra con tale artificio, che piccioli raggi di sole in alcuni luoghi illuminavano alquanto il prato, tanto cioè quanto il pittore volle che aperte fossero le conteste frondi.